I numeri e le prospettive del covid nel Veneto sono drammatici. A ieri, mercoledì 28 ottobre, ci sono 2143 positivi in più, 53 nuovi ricoveri, altri 6 pazienti in terapia intensiva, 11 persone hanno perso la vita. “Con l’andamento attuale dei ricoveri non critici – si legge nella nota del sindacato – tra un mese scatterà il semaforo rosso per il sistema sanitario regionale. Cosa succederà a quel punto e, soprattutto, cosa stiamo facendo per evitare che accada?”.

È questo il cuore delle 6 domande che la Cgil ha rivolto al Presidente della Regione, Luca Zaia. 

Pochi giorni fa lo stesso Zaia ha illustrato il nuovo piano di sanità pubblica, scandendo i diversi step dell’emergenza con gli ormai famosi cinque colori. L’ultimo è il rosso e indica una situazione a tal punto critica che, a dire delle autorità regionali, si sfiora la paralisi dell’intero sistema sanitario veneto e la sospensione di tutte le prestazioni ospedaliere ordinarie. Questa condizione, ha detto Zaia, è simile a uno scenario di guerra. In fase 5, ha dichiarato il governatore, "è come se bombardassero gli ospedali".

Non siamo nella situazione dello scorso marzo perché, allora, un ricoverato su tre finiva in terapia intensiva, mentre adesso ci finisce uno su nove. Una buona notizia, senza dubbio. Ma in ciascuna delle cinque fasi previste ci si entra non solo sulla base dei posti occupati nelle terapie intensive, ma anche in base ai ricoveri nelle aree non critiche. E la capienza delle aree non critiche non è infinita. Si entra nell’ultima fase, quella più drammatica secondo le stesse previsioni della Regione, quando si superano i 2400 ricoverati non gravi.

“Prendiamo allora le cifre di oggi esclusivamente sotto questo punto di vista – scrive il sindacato –. Abbiamo avuto nelle ultime ventiquattro ore 53 ricoveri in più. Siamo a 802 in totale, quindi ancora in seconda fascia (che va dai 301 ai 900 posti occupati, fase azzurra). Il Presidente prevede, in costanza di questo andamento, di entrare in terza fascia (da 901 a 1500 posti occupati, fase gialla) tra due giorni. Facciamo l’ipotesi che l’incremento dei contagi rimanga costante (2000 circa al giorno con 50 ricoveri non critici), anche se è molto probabile una crescita della curva: il semaforo, se non facciamo nulla, se non subentra alcuna novità, diventerà rosso esattamente tra 32 giorni, quando supereremo i 2400 ricoveri. E saremo solo a fine novembre”.

Se si proseguirà allo stesso ritmo, per Natale ci avvicineremo ai 4.000 ricoveri.

Consideriamo che il numero massimo di posti letto di degenza non intensiva è stato raggiunto, durante la prima ondata di contagi, il 1 aprile scorso con 1718 ricoverati. 

"Per rallentare la curva epidemiologica, il Governo - dichiara Christian Ferrari, segretario generale della Cgil del Veneto - ha varato un Dpcm restrittivo per diverse attività economiche (che – come abbiamo già chiesto all’Esecutivo - vanno ristorate in tempi brevissimi così come va garantito un reddito ai lavoratori che operano in quei settori). La logica di queste scelte dolorose è chiara: far sì che le persone si muovano il meno possibile, escluso che per andare a scuola (con gran parte degli studenti delle superiori in didattica a distanza), a lavorare o a fare le cose essenziali, perché ogni occasione di socialità – stante l’attuale livello di circolazione del virus – è a potenziale rischio di contagio.

La pensa così anche Angela Merkel che, con dati meno drammatici dei nostri, ha rivolto ai tedeschi un appello accorato, pregandoli di incontrare meno persone possibili e suggerendo una sorta di auto lockdown. Oggi la cancelliera proporrà ai governatori dei Land, come scrive Bild, un lockdown light a partire dal 4 novembre, con chiusura di bar, ristoranti, centri sportivi, teatri e cinema.

Il presidente Zaia è di parere diverso: con mascherine, distanziamento e igiene delle mani (che a suo avviso i veneti già rispettano nella stragrande maggioranza dei casi, e su questo ha ragione, ma nonostante ciò i contagi non rallentano) si può fare tutto: andare al cinema, in piscina, in palestra, al bar, al ristorante.

Secondo lui il Dpcm non servirà a contenere i contagi, ma danneggerà solo l’economia. 

Lamenta l’assenza di altri provvedimenti sugli assembramenti, sui centri commerciali e su altro ancora.

Intanto va sgombrato il campo da un equivoco: è in suo potere assumerli, quei provvedimenti, perché le regioni possono adottare misure più restrittive rispetto a quelle del Presidente del Consiglio. Ed è assolutamente il caso che lo faccia.

Soprattutto è suo dovere, insieme a tutta la Giunta, ma direi a tutti noi (società civile, forze sociali, categorie economiche; per tornare al livello istituzionale: sindaci, presidenti di provincia…), porsi alcune domande cruciali.

  1. Cosa possiamo fare per evitare che il sistema sanitario regionale collassi tra non molte settimane?
  2. Come evitiamo che medici, infermieri, operatori sociosanitari ripiombino in un incubo insostenibile, fatto di carichi di lavoro disumani e ad altissimo pericolo di contagio, che ne metterebbero a rischio la salute e in alcuni casi la vita?
  3. Come garantiamo a tutti i cittadini veneti i servizi sanitari e, se non ci riusciremo, quali saranno le conseguenze sulla salute delle persone, soprattutto le più fragili?

Il nuovo piano di sanità pubblica ci indica esattamente le coordinate dell’iceberg contro cui c’è il pericolo concretissimo di andare a sbattere. Averlo approvato, quel piano, aumentando i posti di terapia intensiva, prevedendo gli ospedali Covid e implementando il tracciamento grazie ai test rapidi, ha semplicemente spostato più in là l’ostacolo; un ostacolo che però non dobbiamo raggiungere, perché se succedesse non saremmo in grado di superarlo.

  1. Stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo, per deviare una rotta che ci porterà senza ombra di dubbio a sbattere?
  2. Oppure pensiamo che in poche settimane sul lato del vaccino, o su quello delle cure, arrivi la soluzione alla radice del problema?
  3. O invece confidiamo che il Governo nazionale vari misure ancora più drastiche per poi lamentarcene?

Il Presidente Zaia ha detto che fornire i dati quotidianamente, come ha ripreso a fare dalla sede della protezione civile, è una questione di trasparenza fondamentale in una democrazia, per informare i cittadini e renderli consapevoli di cosa sta succedendo. 

Quei dati però vanno letti, interpretati e bisogna trarne tutte le conseguenze. Anche se lo si fa nella maniera più ottimistica, ed è senza dubbio ottimistico – alle condizioni date – immaginare un andamento costante di contagi e quindi di ricoveri, non ci si può non porre le domande di cui sopra. Sono questioni ineludibili, che abbiamo poco tempo per provare ad affrontare. A breve sarà troppo tardi e non avremo l’alibi di non averlo saputo prima, ma solo la responsabilità di quello che succederà".