Se qualcuno lo definisce “dietrologo” Paolo Cucchiarelli, scrittore e giornalista d’inchiesta, autore di numerosi volumi sulla storia più oscura dell’Italia dell’ultimo mezzo secolo, risponde con un sorriso proponendo a sua volta l’anomalo appellativo di “evidenziologo”. Il suo ultimo lavoro appena uscito, “Ustica & Bologna. Attacco all’Italia” (La nave di Teseo, pp.656, € 24,00), è una ricostruzione documentatissima che accomuna con cognizione di causa le due stragi che segnarono l’anno 1980, e quelli a venire. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Nel suo libro lei tratta insieme le stragi di Ustica e Bologna. Una combinazione cronologica, o c’è dell’altro?

Credo nel libro venga dimostrato che ci sia sicuramente dell’altro. Tutti i protagonisti parlano di questo legame, senza però che nessuno lo spieghi mai veramente. Penso a Francesco Cossiga, all’epoca Presidente del Consiglio; penso alle dichiarazioni del maresciallo Franco Parisi prima della sua morte per suicidio, o all’ex 007 Francesco Pazienza, o a Stefano Delle Chiaie, scomparso giusto l’anno scorso. Non è solo il tempo a legare le due stragi, ma le strutture presenti in entrambe le occasioni, la logica militare che di fatto diviene una logica terroristica, muovendosi in quei mesi del 1980 come se l’Italia fosse sotto scacco. Nel libro riporto anche le cronache di quei giorni da parte dei quotidiani, che a mio parere restituiscono una spiegazione politica complessiva di quanto accaduto.

A proposito dei protagonisti di questo libro, possiamo illustrare brevemente il profilo di Marco Affatigato?

Si tratta di un elemento di spicco dell’estremismo nero degli anni Settanta, una presenza sinora mai messa a fuoco per intero. Eppure pare si trovasse sul DC9 di Ustica, così come alla stazione di Bologna: ma perché in entrambe le vicende, e con un ruolo primario? Sul DC9 viene indicato a bordo da una telefonata, e negli anni si capisce essere un camerata impegnato in una missione mai chiarita. Nel corso degli ultimi anni l’ho incontrato più volte in previsione di questo libro, e ha raccontato tantissime cose per la prima volta, che naturalmente ho deciso di pubblicare dopo aver compiuto adeguati riscontri. Nel 2012 sono andato nel carcere dove era detenuto, chiedendogli quanto uranio ci fosse nell’aereo. Alzando una tazzina di caffè mi rispose: quanto se ne può contenere qui dentro. Durante il suo racconto, pezzo per pezzo mi sono accorto che a un tratto parlava di personaggi apparentemente secondari, uno scienziato atomico pakistano, per dire... E nel colloquio avuto con lui in carcere mi ha confermato tutto, riscontri da me accertati direttamente presso l’Ente Atomico Internazionale. Tante cose si incrociano, tante persone, ad esempio Griffin, ritenuto il venditore dell’uranio finito sull’aereo di Ustica, altro uomo-cardine delle rivelazioni di Affatigato, del quale si dovrebbe approfondire meglio il motivo della sua presenza a Bologna. Poi ad esempio ci sono tutte le vicende legate a Edwin Wilson, a capo del Secret Team statunitense anche in Libia, dove venivano portate armi ed esplosivi, aerei, navi, di tutto. D’altra parte, in quegli anni, la maggior parte dei terroristi internazionali venivano addestrati in Libia, compresi gli italiani.

Sono passati quarant’anni, e ancora non si è voluta far conoscere la verità su Ustica. Perché secondo lei?

Semplicissimo. Quando una nazione, uno Stato, si deve piegare a una realtà internazionale superiore, i suoi servizi segreti fanno quello che devono fare, vale a dire tutelare la ragione di stato, senza stellette sulle divise, senza bandiere sugli aerei, di fatto lavorando per realtà internazionali. Quindi tutelano le ragioni di stato mischiando le carte, depistando la magistratura, per coprire uno Stato che si è piegato ad altri, e non lo può raccontare. Per essere più chiaro posso ricordare un episodio riportato anche nel libro.

Prego.

Nel 1981 l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, racconta in un’intervista di aver saputo dai servizi segreti che volevano ucciderlo. Al che un giornalista gli chiede perché non si facesse nulla, perché non si era reagito. La risposta di Pertini fu fulminante: “E che dobbiamo fare? Dichiarare guerra alla Libia?” Ecco, per quanto riguarda Ustica, alla Libia evocata da Pertini sostituiamo Francia, Usa, e Israele, e il gioco è fatto.

Nei suoi libri lei si è occupato di numerosi misteri che hanno caratterizzato la storia italiana dell’ultimo mezzo secolo, da piazza Fontana ad Aldo Moro. Ora questo nuovo, corposo volume. Il nostro è un Paese dannato, condannato alle stragi?

Mi viene da dire che la parola “mistero” dovrebbe essere bandita dal linguaggio giornalistico, a meno che non si lavori all’Osservatore romano... Ho cercato di ricostruire una storia italiana che parte dall’ottobre del 1968, quando Aldo Moro propone una “strategia dell’attenzione”, che poco dopo verrà trasformata in “strategia della tensione”. Credo sia una arco temporale che si chiuda nel novembre del 1980, con la fine della solidarietà nazionale, ed è un arco temporale in cui si è cercato di trovare una soluzione italiana alle sue anomalie. In epoca di guerra fredda eravamo un paese di confine tra Est e Ovest, in cui operava il Partito comunista più importante dell’Occidente, che ospitava nel suo seno lo Stato Vaticano, con un sistema politico bloccato dalla forza della Dc. In questo quadro, l’ultimo tentativo di dialogo è stato quello tra Moro e il Pci, con l’obiettivo di portarci verso una salvaguardia democratica, cercando di evitare una crisi di sistema politico, economico e ideale.

Nel 1980 finisce una politica iniziata con la Resistenza, per noi è un anno che possiamo paragonare al nostro Muro di Berlino. Da quel momento in poi l’Italia cambia pelle, inizia la folle corsa del debito pubblico, entrano in scena i nani e le ballerine, sino a Tangentopoli. Ma la fine della politica è nel 1980.

Si può dire che prima hanno ucciso Moro, poi hanno ucciso un modo di far politica.