“La situazione delle persone disabili durante l’emergenza Covid è stata drammatica, e non credo di esagerare. Sono molte le persone non autosufficienti che hanno perso la vita, è giusto ricordarlo per onorarne la memoria”. Inizia con una presa d’atto drammatica, questa intervista con Nina Daita, responsabile politiche della disabilità della Cgil nazionale.

Durante il lockdown i disabili sono stati dimenticati, abbandonati a loro stessi. Chiusi i centri di riabilitazione e quelli diurni, sospese le attività domiciliari e le terapie di sostegno.

Chiudere i centri diurni è stato non solo giusto ma anche doveroso. Ma non si è pensato alle conseguenze che queste chiusure avrebbero comportato. Penso soprattutto ai ragazzi con disabilità mentale che d’improvviso hanno perso la possibilità di incontro con altri ragazzi, le attività quotidiane legate alla socialità e alla riabilitazione fisica, cognitiva e comportamentale. Soli in casa, come sole le famiglie, spesso sole le madri ad occuparsi di questi figli. Da questo punto di vista è certamente positivo l’aver concesso giorni di congedo e di permesso aggiuntivi ai lavoratori o lavoratrici che curano disabili. Strumenti indispensabili ma che certo non possono sostituire le cure e le attività specializzate. La fatica di una quotidianità mutata ha spesso travolto queste famiglie.

Nel decreto Rilancio vi sono alcuni articoli che prevedono interventi a favore delle persone con disabilità. Qual è il giudizio della Cgil?

Nel decreto Rilancio vengono confermate disposizioni che erano state assunte da provvedimenti precedenti: si tratta dei dodici giorni di permessi lavorativi aggiuntivi sia per chi assiste familiari con disabilità, sia per i lavoratori disabili. Sono stati confermati anche i congedi. Il provvedimento, poi, ha stanziato delle risorse, ma a mio parere troppo poche. Il fondo per la non autosufficienza è stato incrementato di 90 milioni, bene ma pochi, tanto più che 20 milioni sono vincolati alla realizzazione di progetti per la vita indipendente. Ottimo proposito, ma 20 milioni sono del tutto insufficienti. Come pochi sono i 40 milioni destinati alle strutture semiresidenziali.

Poi c’è la questione del lavoro. Il nostro Paese ha una normativa avanzata sul collocamento obbligatorio delle persone con disabilità, che prevede che ogni azienda debba assumerne, in proporzione al numero di dipendenti, pena sanzioni economiche. Sembra che tutto questo sia saltato con il Covid...

Il decreto ha confermato la sospensione delle condizionalità della legge 68/99 (quella che norma il diritto al lavoro delle persone con disabilità, ndr) fino al 20 luglio. Ed è chiaro che quando si sospendono le condizionalità di fatto è sospesa la legge. Questo significa che dall’8 marzo i centri per l’impiego hanno sospeso tutti gli inserimenti lavorativi. Quindi l’orientamento, la formazione, le convenzioni, insomma tutto ciò che riguarda il collocamento delle persone con disabilità è stato sospeso, comprese le sanzioni per quelle aziende che non hanno dipendenti disabili.

È bene ricordare che già prima dell’emergenza sanitaria erano iscritti nelle liste speciali del collocamento obbligatorio circa 800 mila lavoratori e lavoratrici portatori di disabilità. È evidente che l’emergenza occupazionale c’è per tutti, moltissime aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione e la prospettiva non è affatto rosea. Ma in questa situazione non è possibile che per qualcuno l’emergenza sia più emergenza che per altri. Proprio per questo la Cgil, insieme a Cisl e Uil, ha chiesto che la ministra del Lavoro Catalfo istituisca e convochi al più presto un tavolo operativo di rilancio delle politiche attive a favore delle persone con disabilità. Cosa bisogna fare? Più risorse economiche, più risorse umane nei centri per l’impiego, più formazione, più tirocini; occorre fare in modo che il diritto al lavoro sia esigibile anche per loro.

Che cosa significa il lavoro per le persone con disabilità?

È la realizzazione della propria dignità. Per noi lavorare significa partecipare alla vita democratica ed economica del Paese. Significa avere una vita decente, autonoma e – appunto – dignitosa. Non vogliamo essere né un peso né una risorsa, ma lavoratori e lavoratrici come tutti gli altri. Il lavoro ci fa sentire uguali agli altri. E ovviamente il lavoro è anche la possibilità di sostentamento. Ricordo a tutti noi che l’assegno per gli invalidi dal 75 al 99 per cento è di 280 auro. Al tavolo che abbiamo chiesto alla ministra del Lavoro porteremo anche il tema delle risorse destinate agli invalidi. Se non ci fossero le famiglie chi potrebbe sopravvivere?​