Semilibertà per i manager tedeschi della Thyssenkrupp. Non sconteranno neanche un giorno pieno in carcere, ma potranno recarsi al lavoro. La notizia è arrivata nella serata del 17 giugno per decisione della Corte distrettuale di Essen in Germania. Un fulmine in un cielo che già di per se non era certo sereno, perché la vicenda giudiziaria seguita alla strage della Thyssenkrupp continua a gridare vendetta. Dopo 7 anni di processi, combattuti a colpi di ricorsi e appelli. A 13 anni da quella notte del 6 dicembre 2007, nella quale 7 operai dell’acciaieria di Corso Regina a Torino vennero investiti dalle fiamme di un rogo che si sviluppò sulla linea 5 e persero la vita. La fabbrica era in dismissione. Erano gli ultimi mesi, prima dell’annunciata chiusura. Tra le linee regnava la confusione. Ogni testimonianza di quel periodo racconta quanto fossero disattese le più elementari regole di salute e sicurezza, tanto più importanti in una produzione a rischio come quella siderurgica.

Il lungo iter processuale iniziò il 15 gennaio 2009 e si concluse il 13 maggio 2016 con la condanna, in via definitiva, pronunciata da un tribunale italiano, per Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i due manager di Thyssenkrupp, a 9 e 6 anni. Dopo quattro anni e ulteriori ritardi nell’esecuzione, dovuti anche all’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di coronavirus, ai due è stata adeguata a 5 anni la pena, secondo la legislazione tedesca, ed è stata concessa la semilibertà. Indignazione e sconforto sono stati espressi dai parenti delle vittime. Una notizia vergognosa, l’ha definita Antonio Boccuzzi, l’unico superstite di quella notte. Per una vicenda che sembra non finire mai e non trovare mai fino in fondo giustizia.

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