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L’attacco congiunto Usa-Russia all’Europa punta all’isolamento dell’Unione. Il presidente statunitense, Donald Trump, ha usato toni di minaccia affermando che l’Europa deve stare molto attenta e che è costituita da "nazioni decadenti con leader deboli". Dal canto suo il presidente russo, Vladimir Putin, ha confermato l’asse antieuropeista con Trump e ha accusato l'Ue di ostacolare i tentativi del presidente statunitense per arrivare alla pace in Ucraina.
Fanno buon gioco a Washington e Mosca le debolezze del’Unione europea e le divisioni interne che vedono i sovranisti remare contro e appoggiare invece Stati Uniti e Russia. “Tutta la discussione che c'è stata parte dalla Strategia nazionale di sicurezza che il presidente Trump ha presentato nei giorni scorsi”, ci dice Salvatore Marra, responsabile dell’area Internazionale della Cgil, al quale rivolgiamo una serie di domande.
Il documento cosa dice, rivela reali novità?
L’unica vera novità è che sono state messe per iscritto cose che già sapevamo. Questa strategia dice e conferma innanzitutto l’America first trumpiano: nessuno può mettere in discussione la sicurezza e la prosperità degli Stati Uniti d'America riaffermando il suprematismo americano dal punto di vista dell'economia, della finanza, delle grandi corporazioni e della difesa, quindi del militare. Quindi si mettono nero su bianco gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti da utilizzare per raggiungerli.
Il documento analizza la situazione attuale con l’ottica delle priorità statunitensi ed è interessante che Trump a questo proposito dica: "Con tutto il rispetto per tutti i Paesi del mondo, però gli Stati Uniti non si possono occupare di tutto, noi ci occupiamo di quello che ci interessa di più". Se noi leggiamo tra le righe, l’inquilino della Casa bianca sembra mandare un messaggio cinico agli Stati europei: "Non possiamo fare a meno di voi, altrimenti vi avremmo scaricati tanto tempo fa”. Trump, ricordiamo, ha sempre detto che gli europei hanno vissuto sulle spalle degli statunitensi per gli asset strategici, l’intelligence e l’innovazione digitale.
Forse il tema è che c’è del vero in quanto affermato dagli Usa, anche se poi usato strumentalmente?
Tutti i maggiori economisti dicono una cosa univoca dal punto di vista della grandeur degli Stati Uniti: negli ultimi anni hanno operato bene dal punto di vista economico, facendo ciò che invece non ha fatto l’Unione europea, vale a dire investire capitali pubblici e privati nell'innovazione, quindi digitalizzazione, intelligenza artificiale, transizioni. L’Europa ha perso un treno che adesso sarà molto difficile da recuperare.
C’è anche un altro punto sul quale vorrei porre l’attenzione, nonostante lo definirei la cosiddetta scoperta dell’acqua calda, ed è che Donald Trump ha messo nero su bianco anche che la presidenza americana stringerà alleanze e sosterrà i partiti patriottici, i nazionalisti europei (“La crescente influenza dei partiti patriottici europei è davvero motivo di grande ottimismo”, ndr). Non ci voleva un genio delle analisi internazionali per sapere che Trump è alleato di Vox, di ASD, di Meloni e del Rassemblement National, in gran parte presenti alla inaugurazione della sua presidenza. Quindi qual è anche qui non vi dovrebbe essere sorpresa.
Direi che dovremmo concentrarci sulle frequnti circostanze in cui il Parlamento europeo vota provvedimenti omnibus sulla deregulation delle norme di sostenibilità ambientale e diritti umani, non scordiamoci che ha votato un orrendo pacchetto razzista sulle migrazioni con i voti dell'estrema destra, ma si dovrebbero sinceramente e profondamente interrogare il partito socialista, ma anche il Partito popolare che dà l’impressione di avere deciso di essere antieuropeista: se è così, lo dichiari anche i suoi elettori, perché stiamo parlando di partiti forti che con l'aiuto di Trump vogliono sabotare il progetto dell'Unione Europea.
Se aggiungiamo le dichiarazioni di Vladimir Putin, dal quale inoltre non si può prescindere vista la guerra in Ucraina, possiamo dire che l’Europa è sul punto di essere ‘stritolata’ ?
La idee esplicitate da Trump fin da subito, addirittura dalla campagna elettorale che portò alla sua prima elezione, sono molto, ma molto vicine all'autocrazia putiniana, da tutti i punti di vista. Quindi, anche in questo caso, trovo ingiustificato uno shock, o anche una reazione sorpresa alle dichiarazioni del presidente russo. Comunque Trump ha messo per iscritto che la vede come i russi.
Davanti all’insistenza della Francia affinché la Russia faccia parte del prossimo G7 facendolo diventare di fatto un G8 come ai tempi di berlusconiana memoria, la risposta di Putin è stata paradossale perché ha detto "mah quasi quasi non mi interessa, tanto ormai il G7 non conta di più niente dal punto di vista strategico globale". Schiaffi in faccia. Riportiamo invece l’attenzione all’analisi di quello che sta facendo l'Europa che anziché reagire seriamente si limita a dire "non accetteremo interferenze", come ha fatto il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa.
Da quello che dice, si evince che nella Ue i leader nazionalisti in realtà cedano sovranità facendosi dettare le regole da tecnocrati e presidenti d’oltre oceano: il nazionalismo è quindi solamente una forma di propaganda?
Fanno le anime belle perché sono irritati dalle interferenze dell’Unione europea, ma le vere interferenze sono altre. Le interferenze sono messe in atto in sede europea con provvedimenti legislativi votati dal Parlamento, quando accetta che si suggerisca, e in fondo si imponga, l’abbassamento degli standard dal punto di vista del lavoro, o della protezione sociale perché i Paesi non se li possono più permettere anche a causa delle spese in armi e difesa.
Le interferenze sono anche Trump che viene in Europa e dice basta con i regolamenti sulla privacy e sui diritti perché sono un fardello amministrativo per le sue aziende che devono speculare sul digitale. Queste sono le interferenze. Aggiungiamo poi che noi abbiamo un asset strategico che si chiama modello sociale europeo di welfare, peculiarità europea che nessun altro ha, e invece di proteggerlo lo stiamo demolendo.
Quanto tutto ciò dipende anche da una mancata opera di riforma dell’Europa, prima fra tutte quella che riguarda la necessità del voto all’unanimità per approvare decisioni strategiche?
Credo che più che la sola questione del voto all'unanimità, sia necessario affrontare una riforma istituzionale seria. Il problema è che fare una riforma istituzionale per la quale serve una maggioranza difficile da raggiungere a causa di alcuni Paesi che sono apertamente sabotatori del progetto dell'Unione Europea.
Qui entra in gioco anche l’impegno del sindacato: la Cgil l'anno prossimo a rivedrà il suo programma fondamentale scritto a da un europeista come Bruno Trentin e sarebbe un torto alla sua memoria e alla storia del sindacato non avere il coraggio di dire che forse dobbiamo ripensare questa Europa perché così non ha funzionato, di ricominciare da capo con alcuni Paesi che vogliono condividere maggiormente le cooperazioni rafforzate.
È dal lavoro che si deve ripartire e, se la politica si può permettere di farsi trovare impreparata, non può farlo il mondo del lavoro. Ci sarà un congresso del sindacato europeo a maggio e ci sarà quello della Cgil nel 2027 e saranno momenti importanti di riflessione, partendo dall'assunto che abbiamo bisogno dell'Europa, ma di un’Europa che sia sociale, non turbo-liberista che sacrifica i diritti per gli interessi delle grandi multinazionali e quindi si pieghi poi a Trump e alle sue esigenze.
Chiudiamo insistendo sul futuro dell’Europa. Abbiamo parlato di Usa e Russia versus Unione europea, ma spesso ci dimentichiamo che esiste una potenza come la Cina: quanto l’Europa potrebbe avere interesse a volgere il suo sguardo a Pechino?
Avere snobbato la Cina e averla guardata con sufficienza è un dato di fatto, nonostante alcuni Paesi abbiano anni fa firmato il progetto per “la via della seta” e il governo Meloni (dopo la recessione) ha sottoscritto un memorandum bilaterale con il presidente Xi Jinping per la cooperazione Italia-Cina in alcuni ambiti. In realtà esistono rapporti commerciali, ma senza la costruzione di una vera piattaforma di dialogo che si costruisce solo e soprattutto attraverso il dialogo con il governo cinese.
Senza prescindere dalla conoscenza della situazione cinese in ambito di diritti umani, va ricostruito un rapporto di fiducia tra l’Unione europea e la Cina anche proprio in chiave di estensione dei diritti. La Cgil sta continuando a lavorare con il sindacato cinese perché ritiene che costruire un clima di fiducia con le istituzioni di Pechino è fondamentale per affrontare le sfide globali che non possiamo ignorare, perché altrimenti a pagarne le conseguenze sarebbero i lavoratori che noi rappresentiamo.


























