È un mondo di rifugiati. Dal 2015 a oggi le persone costrette a abbandonare le proprie case a causa di guerre, violenze e persecuzioni sono raddoppiate. Erano circa 60 milioni dieci anni fa. Ora (2024) hanno superato i 122 milioni. Sono i dati raccolti dal nuovo rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr (l’Agenzia Onu per i rifugiati). Per questo numero spropositato di esseri umani - la loro somma equivale alle intere popolazioni di Italia e Francia messe insieme - ogni giorno è la Giornata del rifugiato, non solo oggi, 20 giugno, appuntamento annuale dedicato al tema dalle Nazioni Unite.

L’Unhcr segnala il sintomo di una febbre: nel giro di un anno (2023-2024) i rifugiati sono aumentati del 6%. Ma l’Agenzia denuncia un fatto, se vogliamo, ancora più grave: la penuria di medicine per curare questa febbre, ossia l'impatto devastante della carenza di fondi umanitari. Mentre il numero di sfollati è salito vertiginosamente, le risorse a disposizione dell’Unhcr sono rimaste ferme ai livelli del 2015, in un contesto segnato da gravi tagli, aggravati dal blocco dei finanziamenti statunitensi, uno dei principali contributori fino a oggi. Effetto Trump: l’Agenzia è stata costretta a tagliare circa il 30% del personale a livello globale.

Il Rapporto: miti da sfatare

Il Rapporto Global Trends ci avverte anche che più della metà di queste persone – circa il 67% – rimane nei Paesi confinanti con i territori dai cui conflitti è in fuga. Tra le crisi umanitarie più gravi, spiccano quelle in Sudan (14,3 milioni di sfollati), Siria (13,5 milioni), Afghanistan (10,3 milioni) e Ucraina (8,8 milioni). Ma i tagli alle risorse rischiano di provocare nuovi esodi forzati, anche verso l’Europa.

Altro dato che smentisce qualche certezza diffusa nel “primo mondo”: il 73% dei rifugiati è ospitato in Paesi a basso o medio reddito, che rappresentano solo il 9% della popolazione globale e meno dell'1% del Pil mondiale. Alcuni esempi emblematici sono il Ciad, l’Etiopia, la Repubblica democratica del Congo e l’Uganda, dove si registrano presenze massicce di rifugiati. E 6 persone su 10 sfollate - leggiamo sempre nel Rapporto - non oltrepassano mai i confini del proprio Stato. Sono i cosiddetti sfollati interni, saliti nel 2024 a 73,5 milioni. A questi si aggiungono 42,7 milioni di rifugiati internazionali.

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Nel mondo il 67% è favorevole ad accogliere rifugiati

Eppure, nonostante il clima politico globale tenda sempre più spesso a criminalizzare chi cerca protezione, gran parte dell’opinione pubblica continua a sostenere il diritto d’asilo. È quanto emerge da un nuovo sondaggio realizzato dall’istituto Ipsos in collaborazione con l’Unhcr. L'indagine ha raccolto le opinioni di oltre 22.000 persone in 29 Paesi. Anche in un anno difficile come il 2025, segnato da tagli drastici agli aiuti umanitari e da un’intensificazione dei conflitti, quasi sette intervistati su dieci (67%) hanno espresso solidarietà verso chi è costretto a fuggire dal proprio Paese. Un segnale chiaro, in controtendenza rispetto alle narrazioni securitarie sempre più diffuse.

L’Italia è al di sopra della media, “con il 71% della popolazione che avvalora questa posizione”, si legge nel sondaggio. L’analisi evidenzia, però, anche uno “scetticismo generale” in molti Paesi, dove il 62% degli intervistati pensa che i richiedenti asilo siano mossi dalla “ricerca di opportunità economiche” e non siano realmente in “fuga dal pericolo”. “In Italia - leggiamo - la percentuale di scettici si riduce al 54%. Questa opinione alimenta le preoccupazioni relative alla sicurezza delle frontiere e al welfare, portando il 49% degli intervistati a esprimere il proprio sostegno alla chiusura totale delle frontiere del proprio paese ai rifugiati. In Italia, la maggioranza è di opinione contraria, e solo il 40% sostiene questa misura drastica”.

“C'è una chiara discrepanza tra compassione e azione”, commenta Dominique Hyde, direttrice delle relazioni esterne dell'Unhcr. “L'opinione pubblica crede ancora nel diritto di cercare sicurezza e vuole che i Paesi ricchi facciano di più, ma il contesto economico e il clima politico globale stanno erodendo il sostegno individuale. I bisogni sono più urgenti che mai. Il sistema umanitario appassirà senza uno sforzo congiunto da parte dei governi, delle organizzazioni, del settore privato e dell'opinione pubblica per costruire soluzioni e speranza per coloro che sono costretti a fuggire”.

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Richieste in calo nell’Unione Europea

Venendo all’Unione Europea, le domande di protezione internazionale presentate nei Paesi UE sono state 997.000. Si registra quindi un calo del 12% rispetto al milione e 130.000 del 2023. In base ai dati Eurostat forniti dalla Fondazione Ismu ETS, con quasi 159.000 richieste d’asilo, l’Italia è terza dopo Germania e Spagna. Le richieste presentate nel nostro Paese rappresentano il 16% del totale UE e, dal 2021, il numero di domande di protezione in Italia è in continua crescita: nel 2024 si è registrato il valore più alto degli ultimi dieci anni.

La Fondazione Ismu ETS sottolinea che nel 2024, in Italia, riguardo alle decisioni di prima istanza, “quasi due terzi delle richieste di protezione (oltre 50.000 su 78.000 esaminate) hanno avuto esito negativo. Il dato italiano - affermano gli esperti della Fondazione - è superiore alla media UE, dove le decisioni negative rappresentano il 48,6%. Nel 2024, dunque, nel nostro Paese è stato accolto poco più di un terzo delle domande di asilo, e in particolare lo status di rifugiato è stato riconosciuto solo a 6.000 persone, pari al 7,6% del totale”.

Il caso italiano: solo il 10% di domande accolte

Relativamente alle decisioni di prima istanza sulle domande d’asilo, il report rileva che “negli anni considerati (2012–2024) in Italia lo status di rifugiato è stato riconosciuto mediamente nel 10% dei casi, a fronte di una media UE del 23%. Il dato più alto in Italia si è registrato nel 2021, con il 17% di riconoscimenti sul totale delle domande esaminate. Nel complesso dei Paesi UE, invece, l’anno con la percentuale più elevata è stato il 2015, con il 39% delle concessioni di protezione secondo la Convenzione di Ginevra”.

Secondo la Fondazione, “i più alti tassi di esiti negativi in Italia, rispetto alla media UE, dipendono principalmente dal fatto che nel nostro Paese sono molto numerose le domande presentate da cittadini di Paesi con tassi di riconoscimento molto bassi, come Marocco, Egitto, Tunisia e Bangladesh, nazionalità per le quali il tasso di rigetto si attesta tra l’80% e il 90%”. Inoltre la Ismu ETS ricorda che “una significativa peculiarità italiana è rappresentata dalla protezione umanitaria, non prevista in molti Stati membri: nel 2024, sul totale degli esiti positivi, i permessi umanitari concessi sono stati il 41% (oltre 11.000 casi), mentre nella media UE tale forma di protezione incide per il 17%. Il peso della protezione sussidiaria, invece, è simile tra Italia e UE: 38% contro 40%”.

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Siria, Venezuela, Afghanistan

Per quanto riguarda il dato relativo al totale dei Paesi UE, il numero più elevato di riconoscimenti di protezione dipende dal fatto che i richiedenti provengono da Paesi con alti tassi di decisioni positive: Siria (92%), Venezuela (89%) e Afghanistan (81%), che sono anche i Paesi a cui più frequentemente viene concesso lo status di rifugiato. Nella media UE, è l’Eritrea il Paese con la più alta percentuale di riconoscimento dello status di rifugiato (oltre due terzi), seguita da Afghanistan (54%) e Somalia (36%). Il 29% dei rifugiati è donna.

Gli effetti del decreto Cutro

In Italia, in seguito al tragico naufragio di migranti avvenuto il 26 febbraio 2023 a Cutro, il governo guidato da Giorgia Meloni ha approvato rapidamente il decreto-legge n.20, poi noto come “decreto Cutro”. Il provvedimento ha introdotto un ulteriore irrigidimento delle norme sull’immigrazione. In particolare, è stato ristretto l’accesso alla protezione speciale, una forma di permesso che fino ad allora consentiva ai migranti di rimanere in Italia per motivi umanitari o legati alla famiglia. Tra le altre misure contenute nel decreto figurano l’aumento della durata massima della detenzione nei Centri per il rimpatrio (Cpr) da 120 a 135 giorni e l’introduzione di una nuova detenzione preventiva alle frontiere per i richiedenti asilo.

Siamo in un clima di “criminalizzazione”, come spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, a Collettiva: “Il tema dei diritti delle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiati sotto attacco è un tema sempre verde. (...) La criminalizzazione ha colpito Ong che fanno scelte di soccorso in mare, questo governo con una serie di decreti ha ulteriormente inasprito rendendo l'esternalizzazione una vera e propria politica, da ultimo con l’accordo con l'Albania, in precedenza con quello con la Tunisia”.

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