Regno Unito: il salario minimo di 15 sterline potrebbe non essere il modo migliore per contrastare la povertà
The Guardian 30 settembre 2021

Nella conferenza annuale del partito Laburista di Brighton, martedì i laburisti hanno sostenuto il salario minimo di 15 sterline. Sebbene il voto non fosse vincolante ed è improbabile che il leader del Partito Laburista Keir Starmer lo adotti, il dibattito avviato ha riguardato se l’aumento del livello salariale possa aumentare la disoccupazione mentre l'economia si riprende dalla pandemia.
Non è chiaro chi abbia suggerito la cifra dell'aumento salariale, ma fa eco alla campagna degli attivisti statunitensi “fight for $15”, somma che secondo i lavoratori di McDonald in Gran Bretagna dovrebbe essere pagata in sterline. La campagna in Gran Bretagna, sostenuta dal sindacato dei panettieri e alimentaristi, Bakers, Food and Allied Workers Union, è stata pubblicizzata da uno striscione fotografato vicino a Starmer due anni fa. La mozione approvata martedì è stata presentata dal sindacato Gmb. Starmer ha promesso un salario minimo di 10 sterline, lo stesso salario del manifesto dei laburisti del 2019 e ha continuato a fare pressione sul Tuc.
Sono circa 2 milioni i lavoratori che guadagnano il salario minimo fissato a 8.91 sterline l’ora per gli over 23 anni e definito dal governo salario nazionale di sussistenza. I dati forniti dalla Commissione sulla retribuzione bassa, che consiglia il governo in merito alla fissazione del tasso salariale, suggeriscono che la paga di 6.6 milioni di lavoratori, circa un quinto della forza lavoro totale, è meno di 10.90 sterline l'ora.
Gli aumenti costanti del salario minimo sono stati decisi negli ultimi vent'anni dopo che Tony Blair lo lanciò nell'aprile del 1999 ad un livello iniziale di 3.60 sterline per gli over 22 anni. Da allora il salario minimo è aumentato più velocemente dei redditi medi e dell'inflazione senza danneggiare i posti di lavoro, diventando uno dei più alti del mondo occidentale.
Nonostante l'opposizione iniziale dei Conservatori, i governi successivi guidati dai Tory lo hanno aumentato, raggiungendo l'obiettivo di portare il tasso principale al 60% dei redditi mediani entro il 2020. I Conservatori hanno promesso di “porre fine alla retribuzione bassa”, aumentando il salario minimo di due terzi dei redditi mediani, portandolo a 10.50 sterline l'ora, entro il 2024. Nessun paese dell'Unione europea e del G20 ha un salario minimo che si avvicina ai due terzi dei redditi mediani.
Tuttavia, il benchmark di riferimento su cui è ancorato il salario minimo a malapena si è spostato. Questo è dovuto al fatto che il Regno Unito ha registrato i peggiori dieci anni di crescita del salario medio in tutto il 19° secolo.  A giugno di quest'anno un lavoratore guadagnava lo stesso salario settimanale del febbraio del 2008, depurato dell'inflazione.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, lo scorso anno la retribuzione oraria mediana nel Regno Unito era di 13.65 sterline, ciò vuol dire che un aumento immediato del salario minimo a 15 sterline si ripercuoterebbe su una vasta serie di porti di lavoro, tra cui alcune occupazioni in genere considerate essere al di fuori delle fasce retributive basse, come i consulenti dei media e gli agenti immobiliari.
Sebbene esistano poche prove rispetto al fatto che il salario minimo abbia ridotto i livelli occupazionali nel Regno Unito negli ultimi vent'anni, gli economisti affermano che un aumento improvviso del salario minimo potrebbe causare la perdita di posti di lavoro. Giles Wilkes, membro dell'Institute for Government, ha affermato che l'aumento a 15 sterline potrebbe aumentare di 73 miliardi di sterline il costo del salario per i datori di lavoro. “I posti di lavoro scomparirebbero”, ha aggiunto.
Tom Ironside, direttore delle attività economiche e della regolamentazione del British Retail Consortium, l'organismo commerciale per alcuni dei più grandi datori di lavoro del Regno Unito, ha detto: "I commercianti al dettaglio sostengono l'obiettivo di salari più alti nel settore e hanno lavorato duramente negli ultimi anni per assicurare miglioramenti di produttività necessari per garantire la sostenibilità di tali aumenti. Tuttavia, sarebbe insostenibile l'aumento del salario nazionale di sussistenza al livello proposto da alcuni ambienti, si aggiungerebbe in modo molto significativo alle pressioni complessive che il settore del commercio al dettaglio sta già affrontando".
Kate Nicholls, l'amministratore delegato di UK Hospitality, che rappresenta migliaia di ristoranti, bar e alberghi, ha detto: "Un aumento improvviso significativo a 15 sterline in un momento gravemente impegnativo per i locali rischierebbe di far perdere posti di lavoro e di aumentare i prezzi, entrambi danneggerebbero il settore proprio mentre sta cercando di riprendersi dai costi delle chiusure e dalle restrizioni commerciali subite durante Covid".
È probabile che la cifra di 15 sterline diventi la più realistica, soprattutto se i redditi aumenteranno bruscamente, come prevedono alcuni economisti in seguito all'aumento delle pressioni inflazionistiche e alla carenza di manodopera nell'economia britannica dopo i confinamenti.
Si teme che gli aumenti del salario minimo possano indurre i datori di lavoro a realizzare altri risparmi, riducendo termini e condizioni di lavoro. L'uso diffuso dei contratti a zero ore è visto dai datori di lavoro come un modo per risparmiare imponendo ai lavoratori più flessibilità.
La catena di caffetterie Pret a Manger ha aumentato di recente la retribuzione oraria iniziale a 9.40 sterline, ma questa decisione è stata presa dopo aver smesso di pagare i lavoratori in pausa, tanto che qualche lavoratore con un turno di otto ore ha già visto diminuire la sua retribuzione del 6%.
Quando Morrisons ha detto a gennaio che avrebbe garantito ai lavoratori la retribuzione di almeno 10 sterline, ha ammesso di aver coperto un quarto del costo eliminando uno schema discrezionale di bonus annuale. Tesco ha preso la stessa decisione nel 2019, mentre Sainsbury's ha tagliato le pause pagate, i bonus annuali e la paga premium per la domenica.
Con il salario minimo in vigore, un adulto che lavora una settimana di 37.5 ore guadagnerebbe circa 17.400 sterline l’anno. I dati del governo suggeriscono che un aumento a 15 sterline collocherebbe un lavoratore a tempo pieno nel 40% superiore degli attuali redditi in Gran Bretagna al lordo delle tasse.
Dave Innes, capo economista alla Joseph Rowntree Foundation, ha detto: "Secondo me, questo dimostra che potremmo raggiungere il limite di quanto possiamo migliorare gli standard di vita migliorando il salario minimo". "I lavoratori poveri con cui parliamo potrebbero non lamentarsi necessariamente del salario orario, ma delle ore a disposizione per affrontare il costo della vita e rispondere ai loro impegni familiari".
Gli esperti ritengono che un modo efficace per affrontare la povertà sarebbe bloccare i contratti a zero ore e garantire che i dipendenti abbiano modelli di lavoro più affidabili.
I lavoratori che percepiscono il salario minimo non usufruiscono delle ore di cui hanno bisogno. Il 15% del decimo dei lavoratori britannici meno pagati desidera più ore, rispetto al solo 3% del decimo più pagato.
Nye Cominetti, economista senior della Resolution Foundation, ha detto: "Conta anche la prevedibilità delle ore. Ovviamente, un cambiamento delle ore di lavoro potrebbe avere ogni settimana un grande impatto sulla retribuzione. Si può fare di più per i lavoratori con bassa retribuzione che con il solo salario minimo".

Per leggere l'articolo originale: £15 UK minimum wage may not be the best way to tackle poverty

 

Energia: tante sfumature di verde
Le Monde, 28 settembre 2021

Questo inverno, il costo dell’energia sarà una delle principali preoccupazioni per gli europei. Il prezzo dell’elettricità sul mercato elettrico a termine è quasi raddoppiato dall’inizio dell’anno, mentre i prezzi del gas quotati a Rotterdam sono aumentati del 300%. I governi sono stati colti di sorpresa e cercano di attutire lo choc dei consumatori. In Francia, i più vulnerabili riceveranno un voucher energetico. In Italia, sono stati sbloccati 3 miliardi di euro per proteggere il potere d’acquisto delle famiglie. In Spagna, il governo ha diminuito subito le tasse sull’elettricità. La Commissione europea lavora per definire un quadro in cui gli Stati membri saranno autorizzati a sovvenzionare l’energia senza violare le regole comunitarie. Anche se non c’è ancora panico, resta alta l’agitazione. La storia è sempre la stessa. L’energia diventa una preoccupazione solo quando il prezzo aumenta. I consumatori prendono coscienza dell’importanza delle scelte in materia energetica quando le loro bollette del gas e dell’elettricità aumentano, mentre tutto dovrebbe essere considerato nel lungo termine: la costruzione delle infrastrutture, il finanziamento e la valutazione dell’impatto sull’ambiente.
Mentre tutti sono concentrati sulle tariffe dell’energia, sta acquistando importanza un altro dibattito: quello relativo alla tassonomia europea. Si capisce subito dal titolo che il tema non riscuota molta importanza nell’opinione pubblica. Tuttavia, il tema è fondamentale e interesserà il modo in cui l’Unione europea dei 27 orienterà la politica energetica. La tassonomia consiste nel definire la sostenibilità di una attività economica per orientare i finanziamenti verso la transizione ecologica. Se una fonte energetica non rientra in questa classificazione, incontrerà difficoltà grandi nel trovare i capitali necessari perché si sviluppi e rischierà di trovarsi subito fuori gioco. La questione va inquadrata nell’impegno assunto dall’Unione europea di ridurre le emissioni di CO2, causa principale del riscaldamento climatico, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica nel continente europeo entro il 2050, avvalendosi di investimenti, stimati dalla Commissione europea in 350 miliardi di euro l’anno. La griglia degli investimenti in corso di elaborazione dovrebbe permettere di individuare la strada per la transizione ecologica passando al vaglio 70 settori di attività economiche che rappresentano il 93% dei gas a effetto serra emessi sul territorio europeo, tra questi il settore delle costruzioni, del trasporto, dell’industria e dell’energia. Quest’ultimo settore è motivo di dibattito acceso. Quali sono le fonti energetiche sostenibili? Il problema è che esistono cinquanta sfumature di verde: dalle energie rinnovabili al gas naturale, più pulito del petrolio, ma emette CO2, al nucleare, quasi neutro rispetto al carbone, ma genera scorie da immagazzinare.
Il continente è diviso su questo tema. Da un lato, la Germania, la Danimarca, l’Austria, il Lussemburgo e la Spagna, che insistono per includere il gas naturale nella tassonomia, e, dall’altro, la Francia, che spinge per includere il nucleare. La Commissione, che non vuole né gas e né nucleare, tergiversa nella speranza di arrivare ad una decisione entro la fine dell’anno. È stato delineato un primo tentativo per superare la divisione, che consiste nel qualificare il nucleare e il gas nella griglia futura, a condizione che il primo non causi alcun danno all’ambiente e che il secondo emetta pochissima CO2. Si tratta di una soluzione ingannevole, dal momento che nessuno di queste precondizioni sono realistiche. La questione dello stoccaggio delle scorie nucleari si scontra con l’accettazione dell’opinione pubblica, mentre le precondizioni per il gas richiedono un sistema per la cattura di CO2, che ostacolano la soluzione economica. La soluzione sarebbe negoziare un periodo di transizione per organizzare l’eliminazione del nucleare e del gas. Berlino lo accetterà, dato che è stato completato il gasdotto Nord Stream 2 che porta il gas russo in Germania? Il paese, dopo aver rinunciato al nucleare, si è ridotto a gestire le centrali nucleari a carbone, ancora più inquinanti.
L'energia eolica e solare da sole non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno energetico della Germania nei prossimi anni, a meno che non si riduca la crescita. La futura coalizione di governo sarà d'accordo? Bruxelles incontrerà, allo stesso tempo, difficoltà a convincere la Francia che l'atomo debba essere escluso dalla classificazione europea, anche se lo usa per il 67% della sua elettricità ed è una delle fonti più efficienti di emissioni di CO 2. La Francia ha un tasso di emissioni pro capite pari alla metà di quello della Germania. Per quanto riguarda la questione dei costi, l'Agenzia Internazionale dell'Energia sottolinea che "l'estensione della vita delle centrali nucleari è uno dei modi più convenienti per fornire fonti di elettricità a bassa emissione di carbonio fino al 2040". L'Europa deve decidere tra i due mali, il riciclaggio delle scorie nucleari e il riscaldamento globale. Di fronte ai numerosi Stati membri che, da un lato, non vogliono sentire parlare di nucleare e, dall’altra, il gas rimane una fonte di energia inquinante, non sembra che il dilemma si stia per risolvere, il che non fa prevedere che la Commissione trovi un compromesso. “Sarebbe una grande notizia per gli Stati Uniti e il Regno Unito, che vedono male il fatto l'UE possa stabilire uno standard globale in materia di finanza verde", avverte Philippe Lambert, co-presidente del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo. “Pur non essendo una potenza geopolitica, vogliamo darci i mezzi per realizzare questa ambizione? “. Ma Berlino e Parigi dovrebbero essere pronti a pagarne il prezzo.

Per leggere l'articolo orginale: Energie : tant de nuances de vert


I poveri in Italia soffrono per l'aumento dei costi dell'energia
Financial Times, 27 settembre 2021

Maria Grazia Zingarello non poteva credere alle sue orecchie quando il governo italiano ha avvisato che le bollette dell'elettricità avrebbero potuto subire, nei prossimi tre mesi, un aumento del 40%.
“Se i prezzi aumenteranno di nuovo, non saprò a chi rivolgermi”, ha affermato la badante di anziani da Milano, di 49 anni, che già incontra difficoltà per pagare l'affitto, le bollette e comprare da mangiare. “Guardo spesso il calendario e penso che non riuscirò ad arrivare alla fine del mese”.
Il suo salario mensile di 1.000 euro è l'unica entrata stabile nell'appartamento di piccole dimensioni che condivide con le sue due figlie e i due nipotini.
La famiglia incarna i motivi per cui i governi europei si stanno allarmando sempre più a causa dell'aumento dei costi del gas e dell'elettricità e discutendo sulla presentazione di pacchetti di provvedimenti d'emergenza per cercare di proteggere le famiglie e le piccole imprese che hanno combattuto per restare a galla durante la pandemia del coronavirus.
Il presidente del Consiglio in Italia, Mario Draghi, ha presentato, il 23 settembre, un pacchetto da 3 miliardi di euro per attenuare l'aumento dei prezzi dell'energia, volto ad aiutare le famiglie più povere e le piccole imprese a pagare le bollette.
Il piano congela le bollette del gas e dell'elettricità per 3 milioni di famiglie. Sono esclusi gli oneri di sistema per tutte le famiglie e 6 milioni di piccole imprese, e la riduzione dell'aliquota dell’IVA sul gas che passerà nel quarto trimestre dal 22% al 5%.
Nel discorso tenuto, giovedì, alla Confindustria, Draghi ha detto che la decisione presa contiene “un valore sociale forte”. Il governo italiano ha già speso 1 miliardo di euro intervenendo direttamente nel mercato energetico per ridurre i prezzi al consumo. L'Italia copre oltre due terzi del suo fabbisogno energetico con le importazioni, di queste il gas rappresenta oltre la metà del consumo di energia residenziale del paese, molto più alto rispetto alla Francia, alla Spagna e alla Germania. Questo significa che l'impennata del prezzo del gas sta facendo salire rapidamente le bollette.
L'inflazione dei prezzi al consumo in Italia dovuta all'aumento dell'energia è salita al tasso annuale del 20% ad agosto, ad un ritmo velocissimo raggiunto in quasi 40 anni e più veloce del 15.4% della zona euro.
Gli italiani spendono molto del loro reddito per l'elettricità, per il gas e per altre spese per l'alloggio in proporzione al resto della zona euro, così che l'aumento dei prezzi dell'energia hanno un impatto grande sul bilancio famigliare, soprattutto su coloro che hanno redditi più bassi.
L'aumento dei costi dell'energia “sta costringendo le famiglie più povere a rinunciare ai bisogni primari”, ha affermato Isabella Catapano, direttrice generale dell'Albero della Vita, organizzazione benefica che lotta contro la povertà. “Le bollette hanno un costo fisso, devono essere pagate. Così le famiglie sono costrette sempre più a spendere meno per altre cose, come per gli alimenti di qualità o per le attività educative e ricreative dei loro figli”.
Il tasso di disoccupazione in Italia è ancora al di sopra del 9%, due volte superiore a quello tedesco, e nel 2020 la povertà assoluta ha riguardato 5.6 milioni di persone.
L'aumento dei costi dell'energia sta colpendo anche le imprese. I prezzi dei prodotti industriali hanno registrato un'impennata al tasso annuo del 12.3% ad agosto, nettamente superiore a meno 1% registrato all'inizio dell'anno.
Silvia Barbati, 37 anni, che gestisce una palestra nel quartiere Trieste di Roma, è preoccupata per l'aumento dei prezzi che potrebbero significare che i sacrifici fatti dalle piccole imprese come la sua durante due anni di confinamenti saltuari a causa della pandemia sono stati vani. Ha affermato: “La nostra attività è stata già ridotta drasticamente durante il Covid e ora stiamo cercando di rialzarci. Spera davvero che le prossime bollette non vadano alle stelle”.
Molte famiglie e piccole imprese sentono che non riusciranno a stare a galla, ha detto paolo Peroso, presidente di Amici di Porta Pia, associazione di commercianti situata al centro di Roma.
“Al momento c'è molta confusione e paura...è un assurdo che tutte le bollette possano subire un aumento improvviso del 30 o del 40%”, ha aggiunto: “Sarebbe difficile assorbire l'aumento, soprattutto per coloro che devono mantenere illuminate le vetrine dei negozi e i frigoriferi tutto il giorno”.

Per leggere l'articolo originale: Italy’s poor feel the pain from surging energy costs


Giovani manifestanti chiedono di agire per la tutela del clima
The New York Times, 25 settembre 2021

Centinaia di migliaia di giovani in tutto il mondo sono tornati nelle piazze venerdì per chiedere che si agisca per fermare il riscaldamento del pianeta. Per molti di loro è stata la prima volta da quando la pandemia da coronavirus li ha costretti ai confinamenti. I manifestanti si sono radunati in Bangladesh, in Kenya, nei Paesi Bassi e in molti altri paesi. Ma l'invito all'azione è stato più urgente in Germania, dove diverse centinaia di migliaia di persone hanno manifestato in più di 400 città per fare pressione su chi vincerà le elezioni politiche di domenica affinché metta la protezione del clima in cima all’agenda. Greta Thunberg, la diciottenne attivista per il clima che ha iniziato le proteste del Fridays for Future a Stoccolma nel 2018 rinunciando ad andare a scuola in modo da costringere il mondo ad affrontare il cambiamento climatico, è apparsa come ospite in una protesta a Berlino e ha detto alla folla: “Sì, dobbiamo votare e voi dovete votare, ma ricordate che votare non sarà sufficiente”, invitandola a rimanere motivata e a mantenere alta la pressione sui politici. Ha aggiunto: “Possiamo ancora cambiare la situazione. Le persone sono pronte per il cambiamento”. “Chiediamo il cambiamento e noi siamo il cambiamento.”
Persone di tutte le età hanno marciato attraversando il centro di Berlino, poi si sono radunate sul prato davanti al Parlamento tedesco, il Reichstag. Migliaia di persone hanno manifestato in proteste analoghe in altre città del paese. I tedeschi eleggeranno domenica i nuovi rappresentanti al Parlamento, e mai prima d'ora la questione del cambiamento climatico ha assunto un ruolo così importante nelle elezioni tedesche. Nonostante i quattro governi succedutisi con Angela Merkel avessero l'ambizione di ridurre le emissioni di carbonio nel 2005, questi non sono riusciti a ridurre significativamente l'impronta di carbonio della Germania, che, secondo la Banca Mondiale, rimane nei primi dieci paesi più inquinanti del mondo. I giovani attivisti per il clima, ispirati da Thunberg, sono riusciti a mettere il dibattito sul clima in primo piano nel dibattito politico tedesco. I giovani attivisti sono riusciti a portare quest'anno il governo in tribunale, costringendo una rivisitazione della legge del 2019, volta a portare le emissioni di carbonio del paese quasi a zero entro il 2050, con l'inserimento di obiettivi più ambiziosi e dettagliati per ridurre le emissioni gas serra entro il 2030. Recenti sondaggi hanno mostrato che nel prossimo governo tedesco potrebbero entrare a far parte ambientalisti di sinistra che secondo molti porteranno il vero cambiamento. Il Partito Socialdemocratico, in testa da diverse settimane, davanti ai conservatori del Partito Cristiano Democratici, con i Verdi saldamente al terzo posto, fa sperare che la vittoria di qualsiasi partito includerà i Verdi nel prossimo governo. Ma alcuni giovani tedeschi temono che anche i Verdi attenti all'ambiente possano non attuare una politica abbastanza efficace che acceleri l'abbandono del carbone della Germania, attualmente prevista per il 2038. “Gli ultimi mesi hanno dimostrato quanto i partiti abbiano gestito in modo disonesto la campagna sul clima, senza aver nemmeno iniziato a sostenere misure sufficienti per combatterla”, ha affermato Maia Stimmimg, portavoce di Fridays for Future Germany. “La Germania, come uno dei principali paesi inquinatori, deve finalmente fermare la distruzione”, ha aggiunto. 'Senza una nostra pressione massiccia dalle strade, nessuna coalizione manterrà dopo le elezioni il limite di 1,5 gradi.” Alexandra Petrikat, imprenditrice e madre di due bambini piccoli che hanno partecipato alla manifestazione a Berlino, si è detta favorevolmente sorpresa da quanto pacifici e rispettosi siano stati i manifestanti. Allo stesso tempo, ha detto che il loro messaggio è stato forte e chiaro. “Credo che abbiamo inviato il segnale che chiunque formerà il prossimo governo non potrà chiudere gli occhi davanti alle nostre richieste', ha affermato Petrikat. “Non ci arrenderemo. Continueremo a crescere e manterremo alta la pressione”.

Per leggere l'articolo originale: Young protesters demand action to protect climate
 

Abbiamo tentato la transizione verso “posti di lavoro verdi”, ma i padroni stanno chiudendo la nostra fabbrica di auto
The Guardian, 21 settembre 2021

Più di 500 lavoratori, me compreso, della fabbrica Gkn Automotive di Birmingham hanno votato per lo sciopero per salvare il nostro stabilimento e la produzione britannica. È l'ultima cosa che avremmo voluto fare, ma non ci è stata lasciata altra scelta.
Attualmente, produciamo e assembliamo componenti per la trasmissione dell’auto, la sezione più importante dell’auto che trasferisce la potenza dal motore alle ruote. Nel 2019, il 90% dei componenti della GKN era destinato ai tradizionali motori a combustione, ma, entro il 2025, tutto questo potrebbe essere dimezzato, con i veicoli elettrici che richiedono il 15% dei componenti, e i motori ibridi circa il 40%. Il passaggio all’elettrico continuerà, dal momento che le fabbriche del Regno Unito svelano nuovi piani per i veicoli prima della messa al bando dei motori a combustione interna nel 2030.
Per salvaguardare in futuro i nostri posti di lavoro e l'industria automobilistica britannica, dobbiamo passare a produrre componenti per i veicoli elettrici, compresi i nuovi sistemi di propulsione e gli e-drive. La GKN ha sviluppato un nuovo e-drive con il finanziamento del governo britannico nell’impianto di ricerca nell'Oxfordshire, ma purtroppo non avremo la possibilità di vedere la creazione di nuovi “posti di lavoro verdi” per i lavoratori britannici. Melrose, proprietari della GKN, hanno deciso di chiudere il nostro stabilimento nel 2022 e traferire i posti di lavoro all'estero.
Ci siamo resi conto che se volevamo un futuro verde per l'industria automobilistica britannica e salvare i nostri posti di lavoro qualificati, non potevamo lasciar fare ai nostri padroni e che dovevamo prendere in mano la situazione. Abbiamo messo insieme un piano alternativo di 90 pagine che descrive in dettaglio come potremmo riorganizzare la produzione per risparmiare denaro e produrre questi nuovi componenti.
Il nostro è il primo piano per la transizione di uno stabilimento automobilistico proposto da sindacalisti nel Regno Unito, e riecheggia il piano Lucas del 1976, quando i delegati sindacali della Lucas Aerospace, sempre a Birmingham, proposero di convertire il loro stabilimento in prodotti socialmente utili.
Ora, come allora, il nostro piano alternativo propone di salvare i posti di lavoro a Birmingham mentre trasforma lo stabilimento in una risorsa per sostenere l'industria britannica in generale. Questa è una vittoria per la forza lavoro, l'industria e l'ambiente. Se questo non è ciò che si intende con la frase "giusta transizione", allora non so cosa sia. Eppure, Melrose ha rifiutato di portare avanti il nostro piano.
Melrose, un’azienda d'investimento specializzata nell'acquisto e nella rivendita di aziende manifatturiere, ha acquisito la GKN dopo un'OPA ostile nel 2018. Il nostro sindacato, Unite, all'epoca criticò l'acquisizione, sostenendo che il proprietario non dava garanzie di lungo termine in quanto il suo curriculum parlava di un’azienda che cercava di ristrutturare le aziende acquisite e di rivenderle dopo tre o cinque anni.
La nostra fabbrica è stata chiusa tre anni dopo. Le informazioni relative alle origini della GKN risalgono al 1759 e il nostro impianto di Chester Road ha visto, dalla sua apertura nel 1956, lavorare generazioni della stessa famiglia. Ora stiamo assistendo al futuro di centinaia di lavoratori qualificati del settore manifatturiero aggiungersi alle statistiche locali sulla disoccupazione.
A Birmingham ci sono cinque dei dieci collegi elettorali del Regno Unito con i più alti tassi di disoccupazione. Erdington, che è la sede del nostro stabilimento, presenta un tasso di disoccupazione del 12.5%, nettamente superiore alla media nazionale.
Birmingham ha già vissuto questo. Quando la fabbrica Rover di Longbridge chiuse nel 2005, la chiusura ebbe un impatto per anni. Amicus, il sindacato predecessore di Unite, ha partecipato ad una ricerca che ha mostrato che nonostante il 90% dei lavoratori abbia trovato un'occupazione alternativa, il 66% si è trovato in una situazione finanziaria peggiore, il reddito medio è sceso di oltre 6.000 sterline e il 25% ha riferito di essersi indebitato o di dipendere dai risparmi per sbarcare il lunario.
Ogni azienda automobilistica nel mondo si sta preparando alla transizione. Il futuro non può essere costruito su posti di lavoro esternalizzati o delocalizzati, dove i lavoratori di diversi paesi sono messi l'uno contro l'altro nella corsa al ribasso.
Se tutti noi vogliamo vedere la transizione della produzione britannica verso nuove tecnologie rispettose dell'ambiente in modo che ci siano opportunità di lavoro in futuro, abbiamo bisogno di mantenere posti di lavoro e competenze come le nostre per far sì che ciò accada. Sosteneteci. Stiamo lottando anche per il vostro futuro.

Frank Duffy è organizzatore sindacale di Unite presso lo stabilimento Gkn Automotive di Birmingham

Per leggere l'articolo originale: We tried to transition to green jobs, but the bosses are closing our car factory down