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Negli ultimi vent'anni il reddito reale delle famiglie nell'Unione europea è cresciuto del 22%. Tranne che per due Paesi, l'Italia e la Grecia: qui i redditi sono calati rispettivamente del -4% e del -5% tra il 2004 e il 2024. È quanto emerge dai dati Eurostat sui 27 Stati Ue resi noti lo scorso 25 novembre.
Secondo Eurostat, tra il 2004 e il 2008 si è registrato un aumento continuo, seguito da una fase di stagnazione dal 2008 al 2011 dovuta alla crisi finanziaria globale. Nel 2012 e 2013 il valore è poi calato. In seguito è tornato a crescere fino allo stop provocato dalla pandemia nel 2020. L’anno successivo c’è stata una ripresa, a cui hanno fatto seguito incrementi più moderati nel 2022 e nel 2023. I primi dati del 2024 indicano infine un’accelerazione della crescita dei redditi.
Chi cresce di più: Romania, Lituania, Polonia, Malta
Tra i Paesi dell’Unione Europea, la Romania è quella che dal 2004 al 2024 ha visto il maggiore aumento del reddito reale familiare pro capite (+134%), seguita da Lituania (+95%), Polonia (+91%) e Malta (+90%). Grecia e Italia sono gli unici Stati membri in cui, negli ultimi vent’anni, il reddito delle famiglie è diminuito (rispettivamente -5% e -4%). Gli incrementi più contenuti si osservano invece in Spagna (+11%), Austria (+14%), Belgio (+15%) e Lussemburgo (+17%).
È il caso di precisare - come osserva il Corriere - che le prestazioni migliori "si registrano in Paesi che hanno ricevuto ingenti investimenti esteri dopo il loro ingresso in Unione europea per vari motivi: costo del lavoro basso, mercato interno in espansione, posizione geografica strategica". Romania, Lituania e Polonia "hanno ricevuto fondi di coesione Ue da destinare a infrastrutture (strade, reti energetiche, trasporti, che aumentano anche la produttività di un Paese), digitalizzazione e formazione e istruzione. E li hanno saputi mettere a frutto nel migliore dei modi", nota sempre il Corriere.
Occorre anche chiarire che il reddito non coincide solo con ciò che si guadagna lavorando, con il salario, ma comprende anche rendite, investimenti, affitti e altre entrate. In altre parole, rappresenta la quantità di risorse economiche di cui una persona dispone davvero, risultando quindi un indicatore del benessere più ampio rispetto ai soli stipendi. Ma è chiaro che i redditi dipendono in larga parte proprio dai salari, che restano la componente più determinante della situazione economica individuale. Per questo qualsiasi analisi sul reddito deve necessariamente tenere conto dell’andamento delle retribuzioni.
Grecia e Italia: male insieme, ma per cause diverse
La situazione delle due pecore nere europee, però, è molto diversa. La Grecia è uscita da una crisi economica profondissima esplosa nel 2010, che ha messo in ginocchio anche i conti dello Stato e che è stata in parte superata solo grazie a interventi molto duri. All’origine del crollo c’erano un debito pubblico fuori controllo, bilanci truccati per rispettare i parametri dell’euro e un sistema produttivo poco competitivo. Tutto ciò ha provocato un’impennata di disoccupazione e povertà, l’imposizione di pesanti politiche di austerità e una forte contrazione dell’economia.
Per l’Italia la situazione è diversa: non ha subito uno shock paragonabile a quello greco e il peggioramento sembra derivare soprattutto dalla perdita di potere d’acquisto dei salari e da un rallentamento della produttività.
Come osserva il Post, un grave problema è "che negli ultimi vent’anni l’economia italiana non è cresciuta, e come conseguenza non sono cresciuti neanche i redditi delle persone: oggi in Italia il pil - prosegue il Post - è solo leggermente superiore agli inizi degli anni Duemila. C’entrano le crisi economiche, sì, ma molto dipende soprattutto dalle scelte industriali del Paese, che ha puntato più sui settori tradizionali (e che pagano peggio) che su quelli più innovativi e ad alta potenzialità di crescita".


























