La Cgil ha fatto molto negli ultimi quattro anni che abbiamo alle spalle: quattro anni che hanno coinciso con il mandato congressuale della Cgil, del sindacato europeo, del sindacato internazionale e con il mandato del parlamento europeo.

Un quadriennio che è stato segnato profondamente da due eventi che hanno sconvolto equilibri consolidati nei decenni dal secondo dopoguerra: la pandemia da Covid e il ritorno della guerra in Europa.

Stiamo affrontando scenari inediti che hanno segnato profondamente anche il mondo del lavoro: conseguentemente l’azione delle organizzazioni sindacali, che hanno dovuto attrezzarsi a nuove domande bisogni e quindi nuove risposte. Ricordiamo i protocolli salute e sicurezza che hanno salvato migliaia di vite durante la fase avuta della pandemia.

Il 12 dicembre, dopo una straordinaria mobilitazione a livello nazionale con lo sciopero di novembre di Cgil e Uil, eravamo in piazza a Bruxelles per una manifestazione del sindacato europeo, manifestazione voluta e ottenuta dalla Cgil con un suo ordine del giorno al congresso di Berlino dopo un intenso dibattito interno durato un anno per evidenziare il rischio del ritorno alle politiche di austerità. Oggi non più un rischio, ma una amara realtà.

In questa manifestazione abbiamo ribadito alcune questioni che saranno cruciali in vista delle elezioni europee di giugno: la crisi del costo della vita in corso non può essere nuovamente pagata dal mondo del lavoro; serve una riforma profonda delle istituzioni europee e con grande pragmatismo da una parte chiediamo che le conclusioni della Cofoe vengano messe in atto, ma dove risulti impraticabile la riforma dei Trattati, si proceda almeno a eliminare il voto all’unanimità e a rivedere il ruolo del parlamento europeo. Voto all’unanimità che preveda ad ogni modo meccanismi di solidarietà per quei paesi che si ritrovino in minoranza.

Non si dica che siamo incoerenti nel nostro operato perché, esattamente come noi sosteniamo che sia necessaria una cessione di sovranità a livello istituzionale, lo stesso crediamo sia vero per quanto riguarda le istanze sindacali europee.

Lo voglio ricordare: fu la Cgil a presentare, anticipando di qualche anno il senso della direttiva europea sui salari minimi e sulla contrattazione, un emendamento su un meccanismo salariale minimo europeo già al congresso della confederazione europea del 2018. Così come siamo fra i principali promotori della proposta di una tassa patrimoniale europea che possa costituire una base per le cosiddette risorse proprie dell’Unione.

Abbiamo seguito da vicino, fin prima del nascere, molte iniziative legislative europee e continueremo a farlo ancora da più vicino, poiché come sapete con la riapertura dell’Ufficio della Cgil a Bruxelles contiamo di essere ancora più presenti, poiché abbiamo certamente cominciato a contare di meno nel momento in cui abbiamo deciso di chiudere quel presidio.

La riforma delle istituzioni europee e le regole di governance che ci diamo per la gestione delle politiche economiche comunitarie sono le premesse per una riforma delle politiche sociali e fiscali europee necessarie per contrastare le povertà, le diseguaglianze e le discriminazioni oggi esistenti e, purtroppo (ahinoi) sempre più diffuse e profonde.

Purtroppo, alla luce delle decisioni prese rispetto alla riforma della governance, ci pare ormai chiaro che il Ngeu e le azioni anticicliche come Sure adottate dalla Ue sono state dei meri incidenti di percorso. È chiaro un ritorno alle politiche di austerità che porteranno verso una nuova fase di stagnazione o addirittura d decrescita. È evidente che la lezione delle crisi degli anni duemila non è stata recepita.

Le decisioni prese negli scorsi giorni in materia di politiche di asilo e di migrazione, la conferma della fortezza Europa e lo spostamento delle frontiere in Paesi dell’Africa subsahariana e dei Balcani per trattenere e respingere i migranti o ancora peggio – in incostituzionali e improbabili accordi bilaterali con Paesi come l’Albania, Turchia e Niger, per non scordare l’accordo tra Ue e Turchia. A fine mese si terrà la Conferenza Italia-Africa e il presidente del Consiglio presenterà – in piena presidenza del G7 – il cosiddetto Piano Mattei. Siamo in attesa di conoscerne i contenuti, ma quello che possiamo già da ora rilevare è, ancora una volta, una totale esclusione dal dibattito della società civile, del mondo della cooperazione e dello sviluppo e delle parti sociali.

Speriamo che questo appuntamento e il G7 non si limitino a essere una delle tante occasioni per il governo in carica di promuovere la propria immagine, senza proporre alcun contenuto. Questo anche perché nel 2024 circa 500 milioni di europei voteranno a giugno, ma nei prima della fine dell’anno, due miliardi di cittadini andranno a votare (Usa, Indonesia, Russia, Ue, Senegal, Tunisia, Algeria, Sudafrica, India per dirne alcuni).

Queste elezioni sono destinate, qualsiasi sarà il risultato, ad incidere sugli attuali assetti e rapporti geopolitici, regionali e globali, avendo come riferimento la corsa ad un nuovo ordine mondiale che non ci lascia per niente tranquilli, in assenza di un soggetto terzo, autorevole e riconosciuto, come dovrebbe essere il sistema delle Nazioni Unite ed il rispetto del diritto internazionale, sempre più vilipeso e calpestato. Abbiamo lavorato insieme al sindacato europeo a un manifesto del mondo del lavoro in vista delle elezioni e noi stessi lavoreremo a una nostra piattaforma rivendicativa in vista di questo importante appuntamento.

Human Rights Watch ha definito il 2023 “un anno terrificante non solo per la repressione dei diritti umani e le atrocità in tempo di guerra, ma anche per la rabbia selettiva dei governi e della diplomazia transazionale”.

Oltre a conflitti già esistenti come quello in Ucraina, Yemen, in Sudan, in Tigray, si sono aperte nuove zone di conflitto come il Medioriente e il nuovo intervento diretto di UK e Usa nel Mar Rosso, l’attacco dell’Iran in Pakistan di fatto rappresentano già un allargamento del conflitto in corso.

Nella nostra mobilitazione per la pace, ricordiamo che il 5 novembre del 2022 si è tenuta l’unica manifestazione di massa per la pace in questo paese. Abbiamo sposato pienamente quanto ha detto a più riprese Papa Francesco ovvero la necessità di far cessare il fuoco in Ucraina come a Gaza e in tutte le aree d conflitto, di proteggere bambini e donne, salvare più vite possibili, fare arrivare medicinali e aiuti umanitari, promuovere lo sforzo diplomatico e il negoziato ad ogni livello, proteggendo da ogni ulteriore attacco il sistema multilaterale.

Per quanto riguarda il conflitto a Gaza, il 7 ottobre abbiamo condannato senza esitazione alcuna la barbarie compiuta da Hamas, ma allo stesso tempo ora condanniamo le atrocità nei confronti dei civili compiute dall’esercito israeliano, chiediamo il cessate il fuoco immediato, ma anche l’ingresso di aiuti umanitari e l’inizio di un percorso diplomatico che porti alla definizione di una soluzione due popoli due stati con Gerusalemme capitale.

Noi continuiamo il nostro sforzo di dialogo, spesso in modo silenzioso e lontano dai riflettori, come la diplomazia a volte richiede: nel contesto del sindacato della Csi Asia Pacifico abbiamo riportato a dialogare sindacato israeliano e palestinese e stiamo lavorando a un primo carico di aiuti umanitari per Gaza a cui seguirà fra poco il lancio di una raccolta di fondi per gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza.

Oltre agli aiuti umanitari a Gaza come in Ucraina, continuiamo a promuovere il dialogo fra pacifisti bielorussi, russi e ucraini e ovunque nel mondo, affinché chi crede nel valore della pace non si senta isolato in nessun luogo.

Il sistema multilaterale non è mai stato così sotto attacco, al punto di essere paralizzato, impotente di fronte alle violazioni del diritto internazionale e del diritto umanitario. Questo, soprattutto per mano dei governi nazionalisti e di estrema destra, nonché dalle forze neofasciste che si riorganizzano. L’attacco alla Cgil e la vergognosa commemorazione di Acca Larentia non sono altro che la dimostrazione nostrana di quanto questi movimenti si stiano riorganizzando. Motivo per cui abbiamo lanciato e continuiamo a tenere operativa la Rete internazionale dei sindacati antifascisti, lanciata dal segretario generale Maurizio Landini il 16 ottobre durante la grande manifestazione in piazza San Giovanni.

Attacchi al sistema multilaterale che arrivano anche all’Organizzazione internazionale del lavoro dove stiamo assistendo a un attacco alle convenzioni fondamentali del lavoro, a partire dal diritto di sciopero e persino – prima volta da quando esiste il sistema Nu e l’Oil – la minaccia da parte del gruppo dei Paesi aderenti al gruppo Brics+ di non approvare il bilancio paralizzando così l’organizzazione.

La Cgil naviga già in questo mare turbolento con la barra dritta che ci indica la nostra costituzione ed i suoi valori fondanti. Proviamo a preservare quell’articolo 1 della Costituzione dell’Oil che ci ricorda che “una pace universale e durevole può essere fondata soltanto sulla giustizia sociale”. Giustizia sociale di cui l’Unione europea è sempre stata simbolo in tutto il mondo per i nostri standard di diritti umani e sociali. Il modello sociale europeo che è stato possibile agli oltre settant’anni di pace per cui è stato conferito il Premio Nobel per la Pace proprio alla Ue nel 2012.

Viene certo da chiedersi oggi cosa rimanga di quel premio, quando ci tocca dover constatare che la Turchia di Erdogan abbia intrapreso più iniziative di pace dell’Ue e non siamo in grado di assumere il ruolo di protagonisti nella costruzione di pace e di sicurezza condivisa con i paesi terzi, di accogliere chi fugge dalle guerre e dalle povertà, e torniamo invece ad investire nelle armi, nei muri, nei nazionalismi, dimenticando la nostra storia. Un limite, questo, che ci deve far riflettere in vista delle prossime elezioni europee, perché in gioco ci sono democrazia e pace, e, senza queste, non ci sono diritti e non c’è futuro.

Non ci possiamo più permettere di accettare questa situazione drammatica, perché siamo un continente che si spopola e invecchia. Motivo per cui la politica migratoria del nostro Paese non è solo disumana, ma se volessimo essere cinici, anche molto miope: una visione autonoma e autorevole in termini di politica estera dell’Unione è questione di sopravvivenza del progetto comunitario stesso.

Lo abbiamo visto alla stessa Cop di quest’anno dove, nonostante gli egregi sforzi della presidenza spagnola, l’Unione ha contato poco o nulla di fronte ai colossi dei paesi petroliferi che hanno per due anni di seguito ospitato la conferenza che dovrebbe produrre proposte per salvare il pianeta sempre più afflitto da conflitti e disastri climatici.

In questo clima a un’organizzazione come la Cgil è richiesto di elaborare, proporre, stimolare e protestare a livello nazionale, europeo e internazionale.

Salvatore Marra è coordinatore Area delle politiche europee e internazionali Cgil