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Il diwan era in Medio Oriente il luogo fisico in cui ci si radunava, un luogo comodo dove stare seduti, leggere, discutere di letteratura, di poesia, ma anche di argomenti scomodi. “Il Diwan. Una goccia per Gaza” è il progetto culturale itinerante ideato da Ali Rashid, l’ex ambasciatore palestinese e giornalista scomparso lo scorso 14 maggio. Un’iniziativa che prevede dibattiti, testimonianze, letture, musica, proiezioni, arti dello spettacolo, cucina palestinese. Un momento di incontro, scambio e approfondimento sul Medio Oriente, per una cultura che metta al centro la pace.
Lo scorso 23 maggio, a Prato, Diwan Firenze ha così dato vita all’evento “Qui resteremo - Con Ali Rashid, sempre”, una mostra fotografica con trenta fotografie da Gaza e dalla Cisgiordania scattate da giornalisti palestinesi a partire dal novembre 2023, spesso a rischio della vita.
E, insieme, viene ospitat anche la mostra “Kufia, matite italiane per la Palestina”, la celebre raccolta con tavole di Milo Manara, Andrea Pazienza, Guido Crepax, Igort, Josè Munoz, Vauro, Altan, Vincino. A ospitare la manifestazione il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, principale organizzatore insieme all’Anpi di Prato e di Vernio, all’Associazione Gaza-FuoriFuoco-Palestina. Si potrà visitare la mostra, curata da Patrizio Esposito, sino a sabato 7 giugno nella Sala Biagi del Palazzo della Provincia di Prato, in via Ricasoli n.25.
A prendere il testimone lasciato da Ali Rashid è stato un amico, come lui giornalista palestinese, Safwat Kahlout. È lui a raccontarci che l’iniziativa culturale era nata dalla volontà “di superare le barriere, gli ostacoli posti dagli israeliani alla storia palestinese, impedendo ai giornalisti stranieri di entrare in Gaza”. Dopo essere stato informato del progetto da Rashid, Kahlout ha contattato i colleghi freelance o che lavorano per le agenzie chiedendo loro di aderire: “Ho detto loro che era una iniziativa gratuita e non hanno neanche negoziato, hanno subito iniziato a mandare le foto o le riprese che stavano raccogliendo durante la guerra e da qui è nata nata la mostra di Ali”.
"Ci hanno mandato immagini dei gazawi che soffrono la mancanza di cibo, acqua, medicine e ora anche dell'aria – prosegue -. Mancando la corrente elettrica e quindi internet, per loro è stato molto duro fare le riprese, anche perché le batterie delle macchine fotografiche e delle videocamere si scaricano e dovevano sempre andare in cerca di una fonte di elettricità per ricaricarle. Trovando difficoltà anche per la rete internet, faticavano a mandare il materiale. I problemi logistici erano grandi, ma sono sempre stati molto bravi nel risolverli”.
Kahlout ci dice come l’avere mandato le immagini e avere reso possibile la mostra abbia una grande importanza: “Sappiamo che nessun giornalista straniero entra a Gaza. Il governo israeliano non vuole che si raccontino le storie vere all’interno della Striscia, perché fa in modo che gli israeliani appaiano sempre come vittime in stato di autodifesa”.
E ancora: “Dopo quasi 2 anni di guerra, con lo sforzo che stanno facendo anche i colleghi palestinesi, la narrazione sta cambiando, perché nelle foto inviate si vedono cose che noi in Italia, ma non solamente, non sappiamo. Queste foto dimostrano come, per esempio, la gente passi ore, a volte anche interi giorni, in coda per avere un po' di pane”.
Il giornalista palestinese ci ricorda che nella terra dalla quale proviene i malati di cancro che stanno morendo non trovano i farmaci per curarsi. In migliaia fanno file infinite per avere un po’ di acqua da bere. “E poi la paura, la distruzione di case, ospedali, scuole, tende, i raid, i bombardamenti. La fotografia ti porta dentro alla verità – prosegue –, ti tira dentro nei piccoli dettagli delle notizie che magari ci arrivano solamente attraverso Facebook e Instagram, raccontando quello che i media italiani non raccontano. L'Italia purtroppo è cambiata molto negli ultimi 30 anni, manca il coraggio che c’era invece un tempo per raccontare in maniera professionale quanto davvero sta accadendo a Gaza”.
La mostra con le immagini di Gaza dei fotografi palestinesi dovrebbe poi girare per tutta l'Italia, anche perché Ali Rashid l’aveva immaginata come una mostra nazionale, addirittura globale. “Prima che morisse – dice Kahlout – era arrivata una richiesta anche da Parigi e questa mi sembra una cosa ottima”.
Prima di salutarci Safwat Kahlout, che ha lavorato come producer dalla Palestina e da Gaza con e per i principali media italiani e internazionali, racconta che è rimasto a Gaza sino a sette mesi dopo l’inizio della guerra, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023: “Sono stato tra i pochi fortunati che sono riusciti ad andare via con la propria famiglia, ma pensavo che dopo 3-4 mesi le cose sarebbero migliorate anche attraverso l’intervento della comunità internazionale. Invece la miseria in cui ho vissuto in quei sette mesi è un Paradiso rispetto a quello che sta accadendo adesso”.
"C’è gente, ci sono bambini, che stanno morendo di fame. Mi ha impressionato un collega di Al Jazeera: l’altro giorno, mentre stava facendo una diretta, si sentiva addirittura il rumore del suo stomaco vuoto. Immaginiamoci cosa sta accadendo ai bambini di Gaza”, conclude.