In Italia la parola “Spagna” si pronuncia ormai con un tono che mescola invidia e ammirazione. Nonostante la fragilità e i numeri esigui in Parlamento, il governo di coalizione tra Psoe e Sumar sta facendo molto: il tasso di disoccupazione più basso dal 2007, una riduzione significativa della precarietà e un aumento dei salari reali. Alla luce di questi risultati, possiamo dire che il modello spagnolo rappresenta una via progressista in grado di coniugare crescita e giustizia sociale? Cioè è una sinistra di governo che funziona? Proviamo a rispondere, e a riepilogare il caso spagnolo, con l’aiuto del giuslavorista Antonio Baylos, professore emerito presso l’Università Castilla La Mancha.

Quali sono i principali fattori che spiegano il “miracolo” spagnolo, in un contesto europeo segnato da instabilità, crisi economica e ascesa delle destre estreme?
La Spagna ha, in effetti, dati macroeconomici eccellenti, soprattutto se paragonati a quelli di altri Paesi europei. In realtà, la politica economica seguita è piuttosto ortodossa. Le vere novità riguardano lo sviluppo dei diritti del lavoro e sociali, una maggiore attenzione alla transizione energetica e la correzione, per via fiscale, di alcuni squilibri eccessivi causati da situazioni eclatanti di enorme disuguaglianza sociale. La linea del governo di coalizione progressista in questi cinque anni ha rafforzato i diritti del lavoro e ha riconosciuto nuovi diritti, e si è concentrata su politiche pubbliche di stimolo e sviluppo dell’economia produttiva. I risultati hanno sconfessato la vulgata tradizionale in base alla quale l’aumento dei diritti individuali e collettivi derivanti dal lavoro implica necessariamente un costo economico e ripercussioni negative sull’occupazione.

Dove si è fermato questo modello di governo?
Non è riuscito a sradicare situazioni endemiche di esclusione sociale, nonostante lo “scudo sociale” introdotto tramite il Reddito minimo (Ingreso mínimo vital). La disoccupazione è ancora significativa, e il costo degli affitti e la speculazione immobiliare nelle grandi città stanno annullando in buona parte gli effetti degli aumenti salariali ottenuti negli ultimi anni.

Qual è la ragione di questa frenata?
La debolezza parlamentare. Il sostegno politico alle linee del governo Psoe/Sumar si è complicato, dopo le elezioni di luglio 2023, per l’ingresso in maggioranza di Junts per Catalunya, un partito indipendentista conservatore, legato nelle sue posizioni agli orientamenti dell’imprenditoria, che rende difficile l’adozione di riforme del lavoro importanti, come accaduto con il progetto di riduzione dell’orario di lavoro. Questa instabilità politica è accompagnata da un’intensa operazione di delegittimazione e di lawfare sostenuta dalla destra e dall’estrema destra, con l’appoggio di settori rilevanti delle forze di polizia e della magistratura, che tenta di destabilizzare direttamente il governo nel suo insieme. Ma il governo esclude un voto anticipato, e conta di durare fino al 2027.

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Nel frattempo i salari minimi sono più che raddoppiati, una crescita senza precedenti…
Sì, ma l’aumento del salario minimo (Smi) del 61% tra il 2019 e il 2024 ha compensato la forte svalutazione salariale imposta dalle politiche di austerità tra il 2012 e il 2015, che aveva colpito soprattutto i livelli retributivi più bassi e che la successiva contrattazione collettiva, a sua volta rigidamente controllata fino alla riforma del 2021, non era riuscita a invertire. Il governo ha affidato a una commissione di esperti un parere sulla “forbice” entro cui l’aumento del salario minimo può collocarsi in relazione alle circostanze socioeconomiche di ogni anno, e la decisione finale viene presa dopo consultazione e negoziazione con la confederazione delle imprese e i sindacati.

Nonostante le previsioni delle solite cassandre, l’aumento del salario minimo non ha danneggiato il quadro economico…
Al contrario, ha stimolato la ripresa economica e ha dato impulso alla negoziazione salariale nei contratti collettivi. La direttiva europea sui salari minimi è stata accolta come una conferma di questa tendenza, che d'altra parte ha fatto aumentare il tasso di copertura della contrattazione collettiva, attualmente stimato al 92%. L'esperienza spagnola concilia gli aumenti del salario minimo legale con un maggiore dinamismo della contrattazione collettiva, in cui si proporrà, come è avvenuto nell'accordo interprofessionale del 2016, un salario minimo contrattuale per tutti i settori superiore all’Smi, dato che i livelli salariali più bassi sono già stati “raggiunti” dal minimo legale. Per il resto, l’Smi ha avuto effetti positivi importanti per donne e giovani con lavoro a tempo parziale.

La riforma del lavoro del 2021 ha segnato una svolta storica: la Spagna era uno dei Paesi europei con la più alta precarietà, e ha capovolto la situazione. Il 40% dei nuovi contratti a tempo indeterminato dell’intera Ue è stato firmato in Spagna. Quali strumenti hanno reso possibile questa trasformazione?
È senza dubbio uno degli elementi più positivi, riconosciuti unanimemente, della riforma del lavoro del 2021, frutto di un accordo tripartito nel dialogo sociale. La precarietà diffusa era legata all’idea di fornire alle imprese una sorta di “cuscinetto” che consentisse loro di adattarsi alle involuzioni del mercato eliminando posti di lavoro senza costi di indennizzo. Questo aveva innescato, per i lavoratori, una spirale in cui le alternative erano precarietà o disoccupazione, e aveva accelerato la tendenza a sostituire lavoro stabile con forme temporanee di inserimento.

L'eliminazione del contratto a progetto o a servizio determinato, che collegava l'esternalizzazione e la decentralizzazione produttiva a questa fattispecie di lavoro temporaneo, e la sua sostituzione con il contratto a tempo indeterminato discontinuo, che garantisce la stabilità del lavoratore anche nelle attività stagionali, ha consentito un cambiamento importante. Ha sostituito una moltitudine di forme di lavoro atipico con una scelta chiara a favore dell’occupazione stabile e di qualità, fondata sul contratto a tempo indeterminato. La riduzione del tasso di precarietà nel settore privato è stata spettacolare, mentre nel settore pubblico resta irrisolta la questione del personale interinale.

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Questi successi possono consolidare una nuova cultura del lavoro in Spagna?
Il dato di fatto è che la cultura della precarietà è stata sostituita dal principio di stabilità e mantenimento dell’occupazione come condizione per l’esercizio dei diritti dei lavoratori. Un cambiamento di enorme rilievo, rafforzato dal forte aumento dell’occupazione fino a cifre mai viste nel Paese: 22 milioni di iscritti alla previdenza sociale, rispetto ai sei milioni di disoccupati e dodici milioni di lavoratori dipendenti del 2015, appena dieci anni fa. Adesso il sindacalismo confederale vuole concentrarsi sulla riforma del licenziamento, potendo contare su due decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali che – come nel caso italiano – considerano contrario alla Carta sociale europea il sistema di indennizzo basato esclusivamente sull’anzianità del lavoratore nei licenziamenti illegittimi. Questo può fissare un nuovo orizzonte nel dibattito socio-politico spagnolo.

Un altro progetto ambizioso del governo di sinistra era la riduzione dell’orario settimanale da 40 a 37,5 ore senza riduzione di salario…
Si trattava della rivendicazione più rilevante del programma elettorale del governo progressista nelle elezioni del 2023, accolta molto bene dalla popolazione spagnola, di cui il 65% era favorevole alla proposta, inclusi gli elettori di destra. Tuttavia, l’opposizione radicale dell’imprenditoria ha ostacolato la lunga trattativa su questo progetto che, dopo quasi un anno di dibattiti tra attori sociali e ministero del Lavoro, si è conclusa con la firma di un testo negoziato esclusivamente con Ccoo e Ugt. Ma il progetto di legge è stato respinto grazie ai voti della destra, dell’estrema destra e di Junts per Catalunya.

Un fallimento?
È stato un grave fallimento. E ha palesato due aspetti preoccupanti. La capacità dell’imprenditoria spagnola – grande e piccola – di articolare una risposta trasversale a difesa dei propri interessi, indipendentemente dalle differenze politiche tra i partiti conservatori (con la sola eccezione dei Paesi Baschi). E l’impossibilità di generare patti sociali rilevanti in un progetto riformista a prescindere dal sostegno delle associazioni imprenditoriali. La conseguenza è il ripiegamento delle iniziative legislative del governo nella sfera della regolamentazione normativa, come avviene ad esempio con il controllo del lavoro straordinario che verrà attuato a seguito della bocciatura del disegno di legge sulla riduzione dell'orario, o con la regolamentazione del diritto alla disconnessione digitale.

Yolanda Díaz e Maurizio Landini al Congresso Cgil, foto di Matteo Oi (Yolanda Díaz e Maurizio Landini al Congresso Cgil (Matteo Oi))

La Spagna è uno dei pochi Paesi europei che applica una tassa patrimoniale progressiva sulle grandi fortune. Altrove sembra impossibile farlo. Come ci sono riusciti?
I profitti aziendali di alcuni settori, in particolare a seguito dell’aumento dei prezzi dell’energia e della finanziarizzazione dell’economia, richiedono misure speciali che il governo giustifica sulla base della “ripartizione dello sforzo” e del consolidamento di un “patto dei redditi”. Si tratta di aggiustamenti necessari – e molto moderati – che solo la cupidigia di queste corporazioni e la loro capacità di influenza sui governi europei hanno potuto impedire in passato. L’imposta sulle grandi ricchezze è complementare all’imposta sul patrimonio e grava sui patrimoni delle persone fisiche superiori a tre milioni di euro. Si prevede una vigenza di due anni per questo tributo, ma è inclusa una clausola di revisione per valutarne i risultati alla fine del periodo e decidere sul suo mantenimento o abrogazione. Ma ci sono anche altre misure.

Quali?
È stata prevista, per gli esercizi 2023 e 2024, una “tassa temporanea sugli istituti di credito e sugli istituti finanziari di credito” che comportava, per il settore elettrico, del gas e petrolifero, l'1,2% del loro fatturato e, per gli istituti di credito e finanziari, il 4,8% del loro margine di interesse (interessi attivi meno interessi passivi) più le loro commissioni nette (attive meno passive). Un importo in entrambi i casi molto esiguo rispetto a fatturati esorbitanti e al modesto gettito dell'imposta sulle società.

Questo pacchetto di misure ha danneggiato in qualche modo l’economia?
Lo escluderei. Teniamo presente che in Spagna l'imposta sul reddito delle persone fisiche è pari a 3,6 volte il gettito dell'imposta sulle società, nonostante gli ingenti profitti dei gruppi imprenditoriali, in particolare dei settori energetico e finanziario, settori che beneficiano comunque di numerose rettifiche della loro base imponibile, e di sovvenzioni e incentivi fiscali. Come si può constatare, il carico fiscale è molto contenuto e perfettamente sostenibile per le imprese e i privati soggetti a imposta. Il che ovviamente non ha scongiurato la forte resistenza da parte di questi settori e dei loro alleati politici, che hanno insistito sul suo carattere temporaneo e rivedibile, e confidano nella sua abrogazione nella prossima legislatura.

L’esperienza spagnola può essere un punto di riferimento per una possibile rinascita della sinistra europea e italiana?
L’azione del governo di coalizione progressista Psoe/Sumar in questi cinque anni costituisce un’esperienza sufficientemente ricca, in condizioni politiche tutt’altro che favorevoli, da essere presa in considerazione. L’obiettivo dev’essere la costruzione di un discorso politico che recuperi elementi rilevanti per la difesa delle posizioni della sinistra in un’Unione Europea che scivola pericolosamente verso il riarmo e la sottomissione tecnologica ed energetica agli Stati Uniti, con l’ascesa di posizioni ostili ai diritti civili e sociali fondamentali. Ma forse, nel caso italiano, il confronto può essere ancora più intenso, perché i nostri ordinamenti sono molto simili, sia dal punto di vista delle aggregazioni politiche e delle culture ideologiche che le sostengono, sia da quello sindacale e della cultura delle relazioni industriali. In ogni caso, la rinascita della sinistra italiana ed europea è una priorità, visti i tempi oscuri nei quali ci stiamo inoltrando.