L’acqua e l’olio non si mescolano, non possono. Eppure a volte ci provano. Se un giorno ci riusciranno, potremo parlare di miracolo? Nel nostro caso l’acqua e l’olio sono la globalizzazione da un lato, e i diritti del lavoro dall’altro. E il miracolo equivarrebbe a una specie di rigenerazione del capitalismo, a un cambiamento di personalità. Sin dai tempi di Seattle 1998 siamo abituati (ed è una buona abitudine) a considerare i trattati di commercio internazionale come pericolosi nemici delle condizioni di lavoro nei Paesi dove si produce, nei Paesi fabbrica, e come diffusori di dumping nei Paesi "committenti". Ma da diversi anni questi trattati hanno iniziato a includere clausole sulle condizioni minime di lavoro, sul rispetto degli standard internazionali Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro), sull’applicazione del dialogo sociale, sull’introduzione di cornici per la risoluzione delle controversie, sull’ampliamento degli ispettorati del lavoro.

A oggi (2021) sono in vigore nel mondo 325 accordi di libero scambio (Als) regionali – bilaterali o plurilaterali. Di questi, 113 contengono disposizioni a tutela del lavoro: l’Unione europea ne ha in vigore 26, gli Usa 14 (tra cui l’Usmca con Messico e Canada varato nel 2020), la Cina 5. I dati si possono ricavare dal Labour Provisions in Trade Agreements Hub (LP Hub), una banca dati “completa e strutturata” di tutti gli Als depositati dal 1948 a oggi presso la Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio), e messa a disposizione dall’Ilo.

Il punto è che questi Als “hanno fatto poca o nessuna differenza per i diritti e le condizioni di lavoro”, come spiega nelle sue analisi Martin Myant, ricercatore dell’Etui (l’Istituto sindacale europeo) e autore di diversi studi sulla materia (tra cui The impact of trade and investment agreements on decent work and sustainable development, e Labour rights in trade agreements: five new stories). I primi a introdurre disposizioni a tutela del lavoro negli Als sono stati gli Usa e - prosegue l’analisi di Myant - “sempre più spesso sono previste sanzioni”, solo che non sono state quasi mai applicate. In realtà - conclude Myant - le clausole sul lavoro “non compensano le possibili conseguenze negative di altri elementi degli accordi commerciali, e questa rimane la questione più importante per valutare gli accordi di libero scambio e per giudicare il loro contributo a una globalizzazione equa che porti benefici a tutti”.

Come si diceva sopra: l’acqua e l’olio. Il succo della questione è che negli accordi di libero scambio i capitoli sui diritti del lavoro, anche se presenti, restano spesso del tutto marginali e non prioritari rispetto ai veri interessi in gioco. Sempre l’Etui, in una presa di posizione, ha ricordato che solo le sanzioni, specie se commerciali, funzionano. Ma le controversie sui diritti del lavoro entro il perimetro Als sono rarissime. Gli Stati Uniti sono stati i più “attivi”. Al riguardo l’Etui cita “il famoso caso Usa-Guatemala”, conclusosi con sanzioni nel 2017, dopo un iter durato nove anni in seguito alla denuncia dei sindacati, con la presa d’atto che “le innegabili violazioni dei diritti del lavoro in Guatemala non soddisfacevano le rigorose condizioni stabilite dall’Als”.

Al 2019 la Ue aveva avviato solo una controversia, ma il metodo europeo, che “prevede un lungo dialogo e una procedura di contestazione” destinata a concludersi senza sanzioni, è bocciato dall’Etui. Eppure tra i blocchi commerciali del G7 la Ue è quello che ha concluso il maggior numero di accordi con clausole sul lavoro. Si evince dai dati citati sopra, e lo sottolinea anche Zamfir Ionel, ricercatore dell’Ufficio studi del Parlamento europeo, in una analisi: “Dal 2008, quando l'Unione europea ha introdotto elaborate disposizioni sullo sviluppo sostenibile nell'accordo con il gruppo di Stati Cariforum (Repubblica Dominicana e comunità caraibiche, ndr), le disposizioni sui diritti del lavoro e sull'ambiente sono diventate parte integrante della maggior parte dei successivi accordi commerciali dell'Ue, di cui quello con la Corea del Sud (2011) è stato il primo a contenere un capitolo dedicato”.

Del resto l’articolo 21 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che l'Ue ha il dovere di sviluppare politiche esterne volte a promuovere “i diritti del lavoro negli accordi commerciali”. “L'applicazione di queste disposizioni - conclude Ionel - presenta, tuttavia, numerosi punti deboli”.

Alcuni casi recenti, segnalati ancora dall’Etui, sembrano però mostrare che entro lo stretto perimetro degli Als si possono agire e migliorare i diritti del lavoro. È quanto accaduto in Corea del Sud, Georgia, Vietnam e Messico.

In Corea del Sud, ad esempio, facendo leva sull’accordo in vigore dal 2011, e assecondando il cambiamento politico interno, più favorevole alle richieste dei sindacati indipendenti, la Ue ha avviato una procedura di contestazione. L’esito, nel 2021, è stato un voto di ratifica di tre convenzioni fondamentali dell’Ilo da parte del Parlamento sudcoreano.

Quanto al Messico: nel 2020 il superamento del Nafta con il nuovo accordo Usmca (Stati Uniti-Messico-Canada), proprio mentre crollava l’astro di Trump e si avviava a sorgere il regno pro-Labour di Biden, ha introdotto disposizioni importanti a difesa del lavoro: procedure più rapide di attivazione delle sanzioni in caso di abusi sui diritti dei lavoratori, aumenti dei livelli salariali nel settore automotive, l'introduzione di nuove leggi su rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva come precondizione alla ratifica dell'accordo da parte degli Stati Uniti, e il varo di un meccanismo di risposta rapida nelle dispute sul lavoro (Rrlm), che consente di presentare e concludere velocemente denunce contro singole aziende che violano i diritti dei lavoratori (tra le sanzioni: la perdita del diritto alle esportazioni esenti da tariffe all'interno dell'area Usmca).

Per l’Etui “è troppo presto per vedere tutti gli effetti economici e se i produttori aumenteranno i salari in Messico o delocalizzeranno la produzione negli Stati Uniti o in un'altra parte del mondo. Tuttavia, sembra che l'Usmca abbia messo in moto una trasformazione delle relazioni industriali messicane”. Per il miracolo dell’acqua e dell’olio, comunque, bisogna ancora aspettare.