Il grande salto all’indietro dei paesi emergenti
Le Monde, 16 settembre 2021

La pandemia di Covid-19 ha arrestato la crescita nei paesi emergenti, che già davano segnali di rallentamento. Milioni di persone sono già ripiombate nella povertà. E la ristrutturazione del commercio mondiale avrà ripercussioni di lunga durata. Per la casa automobilistica Ford, il mercato indiano non è stato altro che un miraggio. Il 9 settembre, la casa automobilistica americana ha annunciato che si ritirerà dal Paese dopo aver registrato oltre 2 miliardi di dollari di perdite (quasi 1.7 miliardi di euro) negli ultimi dieci anni. Una fine dolorosa e inaspettata per un'azienda che, fino a pochi anni fa, vedeva nel colosso asiatico e nell’1 miliardo e 3 milioni di abitanti uno dei mercati automobilistici più promettenti del pianeta.

La Harley-Davidson ha lasciato il Paese nel 2020, seguita dalla General Motors nel 2017. “Che grandi aziende come Ford, che investono a lungo termine, si ritirino da un Paese emergente come l'India è preoccupante. Rebecca Ray, ricercatrice presso il Global Development Policy Center dell’American University di Boston, spiega che il fatto che “grandi aziende come la Ford, che investono nel lungo termine, si ritirino da un paese emergente come l’India è preoccupante.  Anche se il loro rallentamento era già iniziato dieci anni fa, la crisi da Covid-19 sta aggravando questa tendenza”.

Si allargano i divari

La crisi ha distrutto il concetto di “mercati emergenti”, diventato popolare negli anni 2000 con le banche di investimento e le società di consulenza, con cui si definivano in via di sviluppo i paesi caratterizzati da una crescita rapida e da una piena integrazione nell'economia globale. Tuttavia, a partire dal 2020, tutti i paesi emergenti, ad eccezione della Cina, hanno iniziato la loro china, registrando declini a volte violenti, come l'India e il Messico, che hanno conosciuto lo scorso anno recessioni rispettivamente dell'8,7% e del 9,1%.

A giudicare dai loro tassi di crescita, i paesi emergenti non sono più un gruppo omogeneo, poiché i divari si sono ampliati nel 2020, sia all’interno della stessa regione, ad esempio tra Filippine (dove il PIL prodotto interno lordo è diminuito del 9,5%) e Vietnam (con un PIL in crescita del 2,9%) o tra i continenti. La recessione è stata contenuta in Asia (l'economia si è contratta dell'1,5%), ma è stata significativa in Sud America (-6,6%). Sebbene la crescita in Africa sia stata superiore a quella del resto del mondo prima della pandemia (3,6% rispetto al 2,7% nel 2019), la sua crescita è rimasta indietro rispetto alla media globale dall'inizio della pandemia. Durante la crisi si sono aperte altre falle. “Mentre l'uso della telemedicina sta esplodendo in Cina e Indonesia, Laos e Cambogia soffrono per mancanza di energia elettrica”, osserva Federico Bonaglia, vicedirettore del Centro di sviluppo dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

L’altro indicatore dello sviluppo dei paesi emergenti, la classe media, si è ridotta. Milioni di famiglie sono tornate sotto la soglia di povertà. Nel rapporto pubblicato nel 2020, la Banca Mondiale mostra che i paesi a reddito medio rappresentano l'80% dei 100-150 milioni di abitanti caduti nella povertà estrema a causa della crisi provocata dal Covid-19. Il sud-est asiatico è la regione più colpita, seguita dall'Africa subsahariana. Il profilo diverso dei nuovi poveri è quello di persone che per lo più lavorano nel settore informale, nell'industria o nell'edilizia, e vivono nelle città.

Se le economie dei paesi emergenti hanno resistito alla crisi meno bene delle economie avanzate, è dovuto al fatto che i paesi ricchi hanno maggiori margini di manovra di bilancio e le banche centrali sono pronte a tutto per proteggere le proprie economie. L'allargamento del disavanzo pubblico nei paesi avanzati ha raggiunto, nel 2020, gli 8.7 punti del PIL, rispetto a 5.1 punti nei paesi emergenti. La crisi sanitaria, che nel 2020 aveva parzialmente risparmiato Africa e Sud-Est asiatico, negli ultimi mesi li ha colpiti duramente, a causa del difficilissimo accesso ai vaccini.

Se all'inizio dell'anno 2021 l’economia di un paese come il Vietnam era presa ad esempio dal Fondo Monetario Internazionale per aver “gestito con successo la sua risposta alla pandemia”, ora si è fermata perché ha sottovalutato le mutazioni del virus e l'importanza della vaccinazione. L'arrivo della variante Delta ha costretto il paese di 100 milioni di abitanti al confinamento e a rivedere al ribasso le sue previsioni di crescita. A metà settembre, solo il 3,8% dei suoi abitanti era vaccinato. Negli altri Paesi emergenti la situazione è migliore, anche se non è del tutto soddisfacente: solo un quarto della popolazione dei Paesi a reddito medio è vaccinata rispetto al 56% dei Paesi ricchi.

Nuovo record

La crisi potrebbe avere ripercussioni durature. Nell'aprile del 2021, il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che molti posti di lavoro persi durante la crisi provocata dal Covid-19 sarebbero stati persi per sempre, come conseguenza delle “forze trasformative della digitalizzazione e dell'automazione delle filiere produttive”, che hanno registrato un’accelerazione negli ultimi 18 mesi. Durante la crisi, sono apparsi i primi robot camerieri nei ristoranti e la tecnologia digitale ha invaso tutti i settori dell’economia. I lavori poco qualificati, così come i salari bassi, concentrati nei paesi a reddito medio basso, sono i lavori più a rischio.

Ad esempio, in un rapporto pubblicato nel maggio 2021, la Bank of America stima che 3 milioni dei 16 milioni di posti di lavoro nell'industria IT dell’India saranno distrutti dall'automazione entro il 2022. I paesi emergenti sarebbero i più colpiti dall'automazione dei processi aziendali o dalla robotizzazione, con l'85% dei posti di lavoro a rischio nei prossimi 20 anni, rispetto al 45% negli Stati Uniti.

Inoltre, la crisi ha aggiunto il peso del debito ai paesi emergenti, proprio in un momento in cui hanno bisogno di rilanciare le loro economie. Secondo gli ultimi dati dell'Istituto di Finanza Internazionale, un'associazione che raggruppa istituzioni finanziarie di tutto il mondo, il debito dei paesi emergenti, ad eccezione della Cina, ha raggiunto, nel secondo trimestre del 2021, il nuovo record di 36 mila miliardi di dollari. Il debito pubblico è aumentato, passando dal 52% al 62% del PIL tra l'ultimo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2021, e gli oneri finanziari per ripagarlo sono aumentati ulteriormente. La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha osservato, in un rapporto pubblicato il 15 settembre, che "Nel 2020, i mercati emergenti hanno assistito al deprezzamento delle loro valute di oltre il 20% rispetto al dollaro, il che ha aumentato il valore del debito in valuta estera”. Un eventuale aumento dei tassi d'interesse statunitensi potrebbe portare ad una fuoriuscita di capitali dai paesi emergenti, il che indebolirebbe le loro valute e aumenterebbe il costo del loro debito in un momento in cui la loro ripresa economica è molto più lenta e in ritardo.

La regionalizzazione delle catene del valore, che potrebbe escludere molti paesi poveri ed emergenti dalla crescita globale, rappresenta un’altra preoccupazione. Alla fine del 2019, la Banca Mondiale pubblicava un rapporto che dimostrava che la partecipazione di un paese in via di sviluppo ad una delle fasi della progettazione, produzione o distribuzione di un prodotto o servizio fa aumentare il reddito dei suoi abitanti dell'1%. Ma la tensione dei flussi di fornitura su scala globale ha dimostrato la loro fragilità e incertezza, come anche la chiusura delle fabbriche nel sud-est asiatico quest'estate, che ha aggravato la carenza di semiconduttori e costretto i produttori di automobili nel nord della Francia a fermare le loro linee di assemblaggio. L'idea è quella di costruire catene di fornitura più solide o agili, diversificando i centri di produzione, o spostandoli nei mercati più vicini per evitare che si creino colli di bottiglia nel flusso delle merci.

Fine di un ciclo

 Thi Anh-Dao Tran, ricercatore associato presso l'Istituto per la ricerca sul sud-est asiatico contemporaneo, afferma che " la pandemia, prima ancora di provocare una crisi, è uno shock che sta portando i paesi emergenti a riadattare le loro strategie di sviluppo e la loro integrazione nell'economia globale". Il Vietnam ha scoperto che potrebbe essere indebolito dalla dipendenza dalle importazioni dalla Cina. Scott Price, presidente di UPS International, è stato citato dal Financial Times il 13 settembre per aver affermato che le grandi aziende di produzione e distribuzione stanno "spingendo" per la regionalizzazione delle loro catene di fornitura, ma che questo fenomeno sarà visibile solo "tra cinque o dieci anni". "La regionalizzazione delle catene del valore potrebbe riequilibrare la crescita dei paesi emergenti verso continenti diversi dall'Asia, come il Nord Africa", osserva Federico Bonaglia. Tuttavia, diversi economisti non credono che le imprese sacrificherebbero la loro competitività trasferendo parte delle loro attività produttive. "Se le industrie prendessero davvero in considerazione i rischi nel lungo termine, allora il cambiamento climatico sarebbe affrontato meglio", afferma Rebecca Ray.

Ancor prima che scoppiasse la crisi provocata dal Covid-19, la crescita in alcuni paesi stava già mostrando segni di rallentamento, suggerendo che stava per chiudersi un ciclo. Il PIL della regione dei Caraibi e dell'America Latina, per esempio, è cresciuto su base annua solo dello 0,3% tra il 2014 e il 2019. “Molti paesi si sono impantanati nella loro specializzazione settoriale, che si tratti dell'agroalimentare in Brasile o delle materie prime in Russia, senza riuscire a diversificare le loro economie", osserva Sébastien Jean, direttore del Centro di studi prospettici e di informazione internazionale. I profitti provenienti dalla modernizzazione sono inizialmente molto rapidi perché la forza lavoro che passa dall'agricoltura all'industria è molto più produttiva, e l'urbanizzazione apre a investimenti immobiliari e infrastrutturali, ma questa crescita deve poi trovare nuovi sbocchi”.

Pochi paesi hanno concentrato la loro diversificazione sull'innovazione. Anche il contesto internazionale è cambiato. Negli anni 2000, il concetto BRICS, che designava il decollo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ha simboleggiato l'ascesa dei paesi emergenti, che ha portato ad un aumento degli investimenti privati.

“Nei dieci anni successivi, la Cina ha poi preso il sopravvento investendo pesantemente nelle “nuove strade della seta”, ma questi sbocchi si stanno esaurendo”, spiega Rebecca Ray. Tanto che alcuni economisti si chiedono se i paesi intermedi non abbiano smesso di emergere.

Per leggere l'articolo originale: Le grand bond en arrière des pays émergents

È improbabile che si faccia marcio indietro sul taglio di 20 sterline del sussidio mensile statale dell'Universal Credit. Ma è iniziata una nuova battaglia per proteggere le famiglie a basso reddito

Il governo sembra fermamente deciso a infliggere sofferenze incalcolabili. Ignorando avvertimenti, appelli e raccomandazioni rivolti dagli enti di beneficenza, dai gruppi di ricerca, dai partiti di opposizione e da sei ex segretari del welfare conservatori, Rishi Sunak sembra deciso a ritirare l'aumento settimanale di 20 sterline dai pagamenti dell'Universale Credit. La decisione del cancelliere comincerà a farsi sentire nelle tasche della gente tra tre settimane.

La ricerca del governo indica le conseguenze “catastrofiche” della decisione di ridurre del 10% i redditi di circa 1 milione di famiglie.  Sarà colpito dalla decisione più di un terzo delle famiglie con bambini che vive in circa 400 collegi elettorali. A peggiorare la cattiva politica sono state le linee ipocrite che i ministri hanno scelto per cercare di venderla. Il suggerimento della segretaria del lavoro e delle pensioni, Thérèse Coffey, secondo cui gli aventi diritto possono lavorare "circa due ore in più" ogni settimana per compensare la perdita, è stato rapidamente avvertito come un'assurdità. Il modo in cui sono stati calcolati i benefici per i lavoratori richiedenti significa che per recuperare 20 sterline mancanti dalle finanze familiari occorre che un singolo adulto avente diritto al sussidio mensile statale dell'Universal Credit lavori un giorno o un turno in più. Ma il governo appare   impegnato in una narrativa che dipinge ingiustamente il lavoro come l’alternativa virtuosa ai benefici.

Questo messaggio è così sfacciatamente fuorviante che è preoccupante che qualcuno debba dedicare tempo o sforzi ad attaccarlo. Meno della metà dei richiedenti del sussidio statale mensile è in cerca di lavoro, (nel dicembre 2020) il 39% di loro lavorava e un ulteriore 18% non lavorava a causa di una disabilità, o perché sono caregivers o perché sono genitori di un bambino. Le difficoltà finanziarie che affrontano la maggior parte di queste famiglie sono il frutto di una combinazione di salari bassi; di un sistema disfunzionale per l'assegnazione degli alloggi, tra cui una carenza cronica di alloggi popolari in affitto; sotto investimenti prolungati e mancanza di sussidi per l’assistenza all’infanzia.

L'evidenza suggerisce che l'opinione pubblica capisce almeno una parte. Gli atteggiamenti sono cambiati dai primi anni del 2010, quando i conservatori e la stampa di destra conducevano una campagna fortemente ideologica contro i sussidi e a favore di una spesa statale drasticamente ridotta. Ora, i sondaggi mostrano che la maggioranza degli elettori conservatori sostiene il mantenimento dell'aumento settimanale del sussidio.

È improbabile che si faccia marcia indietro. Gli attivisti contro la povertà sperano, invece, che la reazione dolorosa ai tagli dei sussidi costringa a un loro ritiro parziale, o ad un aumento dell'indennità standard (che ha sostituito l'aliquota base dei vecchi benefici) in un secondo momento. Come ha senza dubbio capito il calciatore e attivista Marcus Rashford, questo è un tema molto più difficile sui cui vincere rispetto alla lotta per le mense scolastiche. Anche se lo scorso anno è sembrato che il paese si fosse ribellato dietro Rashford, sostenendo la sua richiesta indignata volta al governo perché desse agli alunni delle scuole elementari il cibo di cui hanno bisogno, il caso dell'aumento dei sussidi è inevitabilmente più complesso in quanto richiede maggiori sforzi di empatia e immaginazione.

La Resolution Foundation afferma che il governo si sta imbarcando nel taglio di sussidi più grande che abbia realizzato nella storia moderna, paragonandolo alla disastrosa riduzione dell'indennità di disoccupazione durante la Grande Depressione nel 1931. La Joseph Rowntree Foundation osserva che senza l'aumento del sussidio statale dell'Universal Credid non sarà garantito uno standard di vita dignitoso a coloro che attraversano tempi difficili. La povertà rovina la vita. Quelle vite che non rovina, le rende difficili. È straordinario e spaventoso che ci siano 4.2 milioni di bambini che vivono in povertà in un paese ricco come il Regno Unito. I sostenitori dei circa 6 milioni di famiglie che sostengono l'Universal Credit devono affinare i propri strumenti e cercare le voci e le storie che consentiranno loro di aprirsi un varco.

Per leggere l'articolo originale: The Guardian view on benefit cuts: the fight against poverty is on

 

Cresce la violenza in Myanmar dopo la scelta del governo ombra di abbracciare la guerra
Financial Times, 14 settembre 2021

I guerriglieri anti-regime stanno intensificando gli attacchi alle truppe governative del Myanmar e alle torri delle telecomunicazioni in seguito alla dichiarazione di “guerra” pronunciata dal governo di unità nazionale, il governo parallelo formato dai sostenitori della leader arrestata Aung San Suu Kyi.

Secondo i media locali, le forze di sicurezza del generale Min Aung Hlaing avrebbero ucciso, negli ultimi giorni, decine di combattenti e civili e incendiato villaggi come rappresaglia. Gli analisti hanno affermato che la decisione del governo di unità nazionale - NUG - di intraprendere la resistenza violenta contro la giunta è rischiosa, dal momento che cerca sostegno e riconoscimento della comunità internazionale, tra cui le Nazioni Unite.

Duwa Lashi La, presidente ad interim del governo di unità nazionale, ha annunciato in un video discorso la scorsa settimana che il governo parallelo sta lanciando una "guerra difensiva popolare contro la giunta militare". Ha chiesto ai soldati del governo di unirsi alla resistenza al golpe e ha "avvertito e proibito" ai dipendenti pubblici che lavorano per la giunta militare, che ha preso il potere il 1° febbraio, di andare a lavorare.

Secondo le informazioni dei media locali, le “Forze di difesa del popolo”, gruppi di guerriglieri ad hoc formatisi nei mesi successivi al colpo di stato, hanno intensificato i bombardamenti e gli attacchi contro le guardie e la polizia. Gran parte delle violenze si stanno verificando in un corridoio del Myanmar centrale e occidentale nei distretti di Sagaing e Magway e nello stato di Chin, e anche nella più grande città di Yangon.

"I combattenti PDF hanno creato un livello di destabilizzazione che sta rendendo la governabilità quasi impossibile", ha affermato Anthony Davis, analista della sicurezza con sede a Bangkok presso IHS-Janes. “Stanno portando il paese in una situazione che non è ancora una guerra civile, ma è certamente anarchia e crollo della governabilità delle aree rurali”.

I media indipendenti hanno riferito che i combattenti PDF hanno ucciso nei primi due giorni successivi alla dichiarazione del governo di unità nazionale almeno 20 militari della giunta a Magway e Yangon, dove una serie di bombardamenti ha colpito veicoli militari.

Secondo quanto riferito, le truppe del regime avrebbero ucciso, nella città di Gangaw, a Magway, una delle aree in cui sono stati attivi i combattenti PDF, tra le 15 e le 22 persone, tra cui combattenti e adolescenti. Domenica, le truppe del regime avrebbero incendiato un villaggio a Myaung, Sagaing, dopo che le forze della resistenza hanno fatto irruzione in una stazione di polizia e si sono scontrate con i militari, dove avrebbero ucciso almeno 20 militari.

Gli analisti affermano che l’offensiva della resistenza armata contro obiettivi del regime rischia di provocare rappresaglie violente da parte di un avversario molto meglio armato. Se molti degli attacchi precedenti venivano condotti con fucili da caccia, ora, afferma Davis, alcuni dei combattenti PDF più efficaci usano armi automatiche. I guerriglieri stanno aumentando gli attacchi agli obiettivi del regime militare usando ordigni esplosivi rudimentali.

Sasa, ministro della cooperazione internazionale del governo di unità nazionale, ha difeso le azioni delle milizie in una video chiamata rilasciata al Financial Times. "Il popolo del Myanmar sta usando la forza per difendersi dalla barbara violenza dei militari". “I villaggi, le città e le comunità di tutto il paese sono attaccati dalla giunta miliare che usa armi da guerra”.

Il ministro ha aggiunto che i combattenti PDF rispettano il diritto umanitario internazionale e i principi dei diritti umani e "soprattutto, le convenzioni di Ginevra", che regolano i conflitti armati.

Tuttavia, un analista ha affermato che il sostegno del governo di unità nazionale alla lotta armata esporrà le sue azioni ad un controllo maggiore. "Con questo annuncio ci sarà un comando e un controllo centrale, che farà alzare le bandiere dell’allarme su possibili violazioni del diritto internazionale", ha affermato Manny Maung, ricercatore di Human Rights Watch.

Il cambio di tattica del governo di unità nazionale avviene prima delle decisioni attese della comunità internazionale all'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla possibilità di consentire a Kyaw Moe Tun , il rappresentante del Myanmar che ha promesso lealtà al governo parallelo, di mantenere il suo incarico o di riconoscere un membro della giunta al suo posto.

Per leggere l'articolo originale: Myanmar violence mounts after shadow government embraces ‘war’

 

La segretaria generale del sindacato della funzione pubblica, Unison, avverte che quest’anno potrebbe essere l’anno di azioni sindacali
The Guardian, 13 settembre 2021

Christina McAnea punta il dito sull’aumento dell’assicurazione sanitaria nazionale e afferma che il primo ministro sta spingendo il settore dell’assistenza sociale verso il collasso. La segretaria generale del più grande sindacato del Regno Unito ha avvertito che quest’anno potrebbe essere l’anno di azioni sindacali volte a migliorare la retribuzione poiché i lavoratori “ne hanno abbastanza” dei salari bassi, dell’aumento dell’assicurazione sanitaria nazionale e dei tagli al sussidio mensile statale, dopo aver lavorato sodo durante la pandemia.

Christina McAnea, che ha assunto la carica di segretaria generale di Unison a gennaio, ha, inoltre, affermato che l’offerta ingannevole di Boris Johnson in materia di assistenza sociale e la politica vaccinale obbligatoria contro il Covid – 19 per gli operatori sanitari rischia di far collassare il settore, dato che molti degli operatori sanitari hanno già ricevuto la notifica di essere a rischio di licenziamento. Il fatto che il 10% del personale sanitario rischia di perdere il posto di lavoro perché si è rifiutato di essere vaccinato entro novembre, accresce la carenza di forza lavoro nel settore.

McAnea ha affermato che la promessa di Johnson della scorsa settimana di aumentare i finanziamenti all’assistenza sociale con miliardi aggiuntivi provenienti dall’aumento delle tariffe dell’assicurazione sanitaria nazionale è inadeguata, poiché non “cambia fondamentalmente nulla” nel modo in cui l’assistenza viene commissionata o erogata, in quanto non aumenta i livelli retributivi del personale, molti dei quali dipendono dal salario minimo.

Prima del congresso annuale del TUC di questa settimana, la segretaria dell’Unison ha invitato Keir Starmer a presentare un piano più coraggioso per l’assistenza sociale, incalzando il dirigente laburista ad “andare oltre” per impegnarsi a porre fine al profitto nel settore.

Alla domanda se quest’anno può essere un anno di azioni sindacali, McAnea ha risposto: “Se questo è l’anno? Mi auguro che lo sia. Credo davvero che questo sia l’anno in cui le persone sentono di averne avuto abbastanza, soprattutto dopo la pandemia, quando la ricompensa o il riconoscimento per gli sforzi compiuti negli ultimi 18 mesi sono stati così bassi da insultare le persone.

“Farò quanto possibile e quanto potremo come sindacato per inviare un messaggio forte ai nostri iscritti che meritano di più e che è giunto il momento per fare pressione sul governo”. McAnea ha, però, sottolineato che per i lavoratori è più difficile votare per un’azione sindacale a causa del Trade Union Act del 2016, che prevede un’affluenza di oltre il 50% al voto con scheda.

McAnea e Unison rappresentano 1.3 milioni di lavoratori, dei quali molti provengono dal settore dell'assistenza sociale. Da tempo hanno avvertito che il settore si trova in difficoltà serie, dove molti lavoratori si sentono demoralizzati per gli aumenti salariali bassi e per il superlavoro fatto durante la pandemia.

McAnea ha sottolineato che molti lavoratori dell'assistenza sociale non guadagnano oltre il salario minimo, vuol dire che guadagnerebbero di più da McDonald's o presso molti supermercati.

"Se sei un assistente domiciliare, un lavoro difficile ... se fossi io, non sono sicura che continuerei a farlo".

Il sindacato di McAnea, che ha sostenuto la leadership di Starmer ed è uno dei principali donatori dei laburisti, ha detto che il partito ha adottato "molte politiche spinte da noi affinché avessimo una strategia giusta per la forza lavoro e guardassimo seriamente al modo in cui l'assistenza" è erogata.

"Andremmo molto oltre per dire che dovrebbero esprimersi per affermare che non si deve trarre profitto dalle cure essenziali. L'assistenza sociale è troppo importante e fa parte dell'infrastruttura della nostra società. Vorrei che fossero molto chiari sul fatto che non ci deve essere ragione per trarre profitto dall'assistenza sociale. Chiarezza sulla la strategia per la forza lavoro e impegno a pagare il personale con un salario più alto".

Il Partito Laburista ha rimandato l’annuncio di una propria politica di assistenza sociale, dopo che Johnson ha affermato che avrebbe messo un tetto ai costi per l’assistenza di 86.000 sterline, ad esclusione dei costi per il cibo e l’alloggio, e finanziato questi costi con un aumento di 1,25 punti percentuali dell’assicurazione nazionale sanitaria.

Starmer ha attaccato il piano definendolo "un cerotto su una ferita aperta", dal momento che non è stato specificato come riformare il settore e che gran parte dell'aumento delle tasse sarà utilizzato per finanziare il sistema sanitario nazionale, piuttosto che l'assistenza sociale nei primi anni.

Il Partito Laburista ritiene che il suo approccio sia stato approvato, in parte perché i sondaggi suggeriscono che i conservatori potrebbero aver perso terreno presso l’opinione pubblica a causa della decisione di aumentare l'assicurazione sanitaria nazionale, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo anno.

Per leggere l'articolo originale: Unison chief warns this could be year of industrial action

 

Thomas Piketty: “È il momento di abbandonare la nozione di guerra di civiltà e di sostituirla con quella di co sviluppo e di giustizia sociale”
Le Monde, 12 – 13 settembre 2021

Vent’anni fa, le torri del Word Trade Center furono abbattute dagli aerei. Il peggiore attentato della storia avrebbe portato gli Stati Uniti, ed una parte dei suoi alleati, a lanciarsi nella guerra mondiale contro il terrorismo e contro i paesi dell’“asse del male”. Per gli americani neoconservatori, l’attentato era stata la prova delle tesi sostenute da Samuel Huntington nel 1996: lo “scontro di civiltà” divenne la nuova griglia di lettura del mondo. L’opera divenne il loro libro prediletto, come lo furono le opere pubblicate da Milton Friedman negli anni 1960 – 1970 per i reaganiani degli anni ’80.

Ora, purtroppo, sappiamo che il desiderio di vendetta degli Stati Uniti non ha fatto altro che esacerbare i conflitti identitari. L’invasione in Iraq nel 2003, avvenuta con grandi menzogne di stato sulle armi di distruzione di massa, non ha fatto altro che minare la credibilità delle “democrazie”. Con le immagini dei soldati americani che tenevano a guinzaglio i prigionieri di Abu Ghraib, non ci fu più bisogno di reclutare agenti per i jihadisti. L’uso incontrollato della forza, l’arroganza dell’esercito americano e le enormi perdite di civili tra la popolazione irachena (almeno 100.000 morti) fecero il resto e contribuirono fortemente alla suddivisione del territorio iracheno siriano e all’ascesa dello Stato islamico. Il fallimento terribile in Afghanistan, con il ritorno dei Talebani al potere nell’agosto del 2021, dopo vent’anni di occupazione occidentale, conclude simbolicamente questa sequenza triste.

Obiettivi per la prosperità

Per uscire realmente dall’11 Settembre, è necessaria una nuova lettura del mondo: è il momento di abbandonare la nozione di “guerra di civiltà” e di sostituirla da quella del co sviluppo e di giustizia globale. Questo richiede obiettivi chiari e verificabili di prosperità condivisa e la definizione di un nuovo modello economico, sostenibile ed equo, nel quale ogni regione del pianeta possa trovare il proprio posto. Oramai sono tutti d’accordo sul fatto che l’occupazione militare di un paese non fa altro che rafforzare i segmenti più radicali e più reazionari e non porta nulla di buono. Il rischio è che la visione militare autoritaria venga sostituita da una forma di ripiego isolazionista e di illusione economica: la libera circolazione di beni e di capitali è sufficiente per diffondere la ricchezza. Questo significherebbe dimenticare il carattere altamente gerarchico del sistema economico mondiale e il fatto che ogni paese non combatte in condizioni di parità. 

Da questo punto di vista, nel 2021 è stata persa una prima occasione: la discussione sulla riforma della tassazione delle multinazionali si sono concentrate essenzialmente sulla condivisione del gettito fiscale tra i paesi ricchi. Invece, è urgente che tutti i paesi, nel Nord come nel Sud, ricevano una parte del gettito fiscale degli attori globali più prosperi (multinazionali e miliardari), in proporzione alla loro popolazione. Innanzitutto, perché ogni essere umano dovrebbe avere lo stesso diritto minimo allo sviluppo, alla salute e all'educazione, e in secondo luogo, perché la prosperità dei paesi ricchi non esisterebbe senza i paesi poveri. L'arricchimento occidentale di ieri o quello cinese di oggi si è sempre basato sulla divisione internazionale del lavoro e sullo sfruttamento incontrollato delle risorse umane e naturali del mondo. Quando i rifugiati compaiono dall'altra parte del mondo, gli occidentali spiegano che spetta ai paesi vicini prendersi cura di loro, per quanto poveri possano essere. Ma, invece, quando c'è dell'uranio o del rame da estrarre, le società occidentali sono sempre lì per prime, indipendentemente dalla distanza. Se accettiamo il principio della condivisione del gettito fiscale tra tutti i paesi, allora dobbiamo ovviamente parlare dei criteri di assegnazione e delle regole da rispettare per averne diritto. Sarebbe questa l'occasione per definire regole precise e vincolanti in materia di rispetto dei diritti umani, e in particolare dei diritti delle donne e delle minoranze, che si applicherebbero ai Talebani e a tutti i paesi che desiderano usufruire del beneficio. Per evitare che il denaro venga utilizzato in modo sbagliato, sarebbe, inoltre, necessario tracciare i guadagni illeciti e garantire la piena trasparenza sugli arricchimenti eccessivi, sia nel settore pubblico e sia in quello privato, tanto al Sud quanto al Nord. Il problema centrale è che i criteri dovrebbero essere definiti in modo neutro e universale e applicati ovunque allo stesso modo, in Afghanistan come in Arabia Saudita e nelle petro-monarchie, a Parigi come a Londra o a Monaco. I paesi occidentali dovrebbero smettere di usare l'argomento della corruzione ad ogni passo per negare il diritto al Sud del mondo all'autogoverno e allo sviluppo, mentre allo stesso tempo favoriscono tutti i despoti e gli oligarchi approfittatori. È ormai finito il tempo del libero scambio incondizionato: la continuazione del commercio deve dipendere da indicatori sociali e ambientali oggettivi. Si può capire il motivo per cui Biden abbia voluto voltare rapidamente la pagina della guerra di civiltà. Per gli Stati Uniti, la minaccia non è più islamista: è cinese e, soprattutto, è interna, con fratture sociali e razziali che minacciano il paese e le sue istituzioni con una nuova guerra quasi civile. Ma il fatto è che la sfida cinese, come la sfida sociale interna, può essere affronta solo trasformando il modello economico. Se non sarà proposto nulla che vada in questa direzione, allora, i paesi poveri e le regioni periferiche e dimenticate del pianeta si rivolgeranno sempre più a Pechino e Mosca per finanziare il loro sviluppo e mantenere l'ordine. Per uscire realmente dall'11 settembre non si deve finire in un nuovo isolazionismo, ma piuttosto in un nuovo vento di internazionalismo e sovranità universalista.

Thomas Piketty è professore alla École des hautes études en sciences sociales (EHESS) ed alla École d'économie de Paris

Per leggere l'articolo originale: Sortir du 11 - Septembre