Tanto tuonò che piovve. E a tuonare in maniera anche un po’ scomposta è stata la macchina della propaganda del governo. Siamo la locomotiva d’Europa, era stato raccontato. Noi cresciamo e gli altri arretrano, si è proseguito, dimenticando che, essendo l’Italia un paese esportatore, rallentando gli altri noi ci saremmo fermati visto che il mercato interno tra inflazione e caro vita proprio non tira. E oggi il risveglio imposto dalla Nadef è brusco davvero.

I nodi arrivano al pettine

A lanciar l’allarme è stato il ministro dell’Economia Giorgetti che da giorni racconta come la situazione sia “difficile e seria”. Ma se prender atto della realtà è sempre cosa buona e giusta, le scelte e le vie da seguire per affrontare una situazione “seria” indicate dalla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza sono sbagliate. “Non è quello che serve di fronte ad una situazione sempre più preoccupante del Paese”, afferma Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil con delega all’economia.

E a leggere la Nadef e la relazione che l’accompagna quali siano i problemi è presto detto. L’economia italiana rallenta, anzi a partire dal secondo trimetre 2023 frena proprio (Pil a meno 0,4%) e la stima per il Prodotto interno lordo per il 2023 viene rivista al ribasso, attestandosi a + 0,8% (era data a +1). Magari, verrebbe da dire. Secondo il segretario Cgil infatti: “l'obiettivo comunque non è scontato, tenendo conto proprio del dato negativo del secondo trimestre e soprattutto della tendenza successiva”.

Il destino non c'entra

Certo la guerra, l’inflazione, l’aumento degli energetici e la scarsità di materie prime influiscono negativamente sull’andamento economico. Ma la responsabilità vera è del governo che – secondo il dirigente della Cgil – “porta avanti una linea di politica economica a livello nazionale assolutamente sbagliata e inadeguata”. Come si farà a raggiungere il traguardo del Pil all’1,2% nel 2024 con investimenti pubblici fermi (mentre quelli privati flettono), senza nessuna risposta all’emergenza salariale, politiche fiscali regressive (14 condoni, flat tax, eccetera eccetera), la cancellazione del reddito di cittadinanza, il definanziamento di scuola e sanità pubblica, la totale assenza di politiche industriali, e così via?

Il giudizio è netto

Il dirigente sindacale non fa sconti: “Si tratta di una Nadef in piena continuità con la linea seguita in questi mesi, rinunciataria e senza coraggio. Non è quello che serve di fronte ad una situazione sempre più preoccupante del Paese”. Così come erano sbagliate le previsioni contenute nel Def sulla crescita, quelle aggiornate la settimana scorsa per il prossimo anno sono anch’esse sovrastimate. Soprattutto perché – appunto – non cambia l’indirizzo e il percorso intrapreso dall’esecutivo.

Cosa ci aspetta

Come si sa la Nadef è propedeutica alla manovra di bilancio. Nella nota di aggiornamento, infatti, vengono indicate le quantità di risorse che poi verranno impegnate con la finanziaria. E la preoccupazione aumenta. L’obiettivo di crescita è all’1,2% del Pil: ben al di sotto di quanto previsto a marzo e comunque verosimilmente sovrastimato soprattutto rispetto alle valutazioni che arrivano dall’Europa. Secondo Ferrari “la prima mossa dell’esecutivo – per precostituirsi maggiori margini di manovra – è quella di gonfiare il più possibile il Pil programmatico per il prossimo anno. La seconda mossa, funzionale allo stesso obiettivo, è quella di alzare – anche qui, il più possibile – l’asticella del deficit programmatico 2024 al +4,3% rispetto al tendenziale previsto pari al +3,6%”. Ovviamente, per la Cgil, non sottostare alle logiche dell’austerità non è sbagliato, il punto è come si intende utilizzare le risorse liberate.

Le preoccupazioni del sindacato

Riflette infatti Ferrari: “Noi non chiediamo la manovra per i mercati, noi rivendichiamo una manovra per i lavoratori, i pensionati, i precari, le giovani generazioni, perché il vero problema non è tanto  il debito pubblico – il numeratore – ma il Pil (il denominatore) che, anche a causa delle politiche sbagliate del governo, sta andando giù. Quindi, dal nostro punto di vista: il problema non è il deficit al 4,3%, e nemmeno la frenata del ritmo di discesa del debito pubblico; ma semmai come si utilizzano e dove vengono destinati i 23,5 miliardi di scostamento previsti nel triennio”.

Previsioni fosche

Certo, e ci mancherebbe, si prevede di confermare la riduzione del cuneo fiscale realizzata su richiesta del sindacato del governo Draghi, poi confermata da quello Meloni. Ma anche questa volta si tratta di un provvedimento non strutturale, oltre che insufficiente: durerà un anno e nel 2024 si vedrà. Ma ciò che è ancor più grave è la programmata riduzione della spesa pubblica: si aggirerà attorno ai 10 miliardi nel prossimo triennio.

Basti pensare che mentre Corso di Italia chiede un iincremento di 5 miliardi l’anno per il Fondo sanitario nazionale per il prossimo quinquennio, il governo ne conferma la decrescita portandolo già nel 2024 al 6,2% del Pil. Stessa cosa per l’istruzione. Nulla per il rinnovo dei contratti pubblici, che vuol dire programmare la riduzione dei salari.

E poi non si prevedono investimenti pubblici di nessuna consistenza né natura. La domanda è dunque: come si immagina di far crescere il Paese e quindi alzare il denominatore? La motivazione che non ci sarebbero soldi non regge, basterebbe prenderli dall’evasione (invece che continuare con la logica dei condoni), realizzare una riforma fiscale in linea con la Costituzione, invece che perseverare nella logica della differenza delle aliquote a parità di reddito diversamente generato: quello da lavoro dipendente e pensioni versa tanto, quello immobiliare e finanziario molto meno.

Così non va

È netto Christian Ferrari: “Non solo si va contro gli interessi delle persone che rappresentiamo, ma tra crollo dei consumi, degli investimenti e della domanda interna; crisi dell’export, calo della produzione industriale e delle costruzioni; stallo del Pnrr e politiche sociali regressive si porta, inevitabilmente, il Paese a sbattere. Saremo in piazza il 7 ottobre, anche per dire che un’altra politica economica è non solo possibile ma necessaria”.