Il “trimestre anti-inflazione” varato dal ministero delle Imprese e del made in Italy per ottobre-dicembre 2023, con l’obiettivo di contenere i prezzi dei beni di prima necessità e tutelare il potere di acquisto dei consumatori, non sarà rinnovato. La decisione di non prorogarlo nel 2024 è stata annunciata dal ministro Urso perché ha ritenuto che l’obiettivo della campagna governativa sia stato già raggiunto. Ma è davvero così?

Tutta l’iniziativa si è basata su un accordo non vincolante tra il Ministero e le associazioni aderenti alle quali è stato chiesto di offrire ai consumatori una selezione di articoli a prezzi calmierati, in particolare quelli del cosiddetto carrello della spesa, nel rispetto della libertà di impresa e delle strategie aziendali.

Innanzitutto non si è trattato di un calmieramento: il termine, infatti, indica la fissazione da parte dell’autorità pubblica di un prezzo massimo di vendita per determinati prodotti. Nel caso del “trimestre anti-inflazione” il governo non ha fissato alcun tetto e non è intervenuto sulle questioni strutturali che sono alla base della formazione dei prezzi lungo tutta la filiera, ma ha affidato il loro contenimento alla buona volontà del libero mercato e soltanto per i prodotti finali.

Dagli ultimi dati Istat sui prezzi al consumo si osserva come a novembre 2023 l’indice dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, cioè il carrello della spesa, abbia registrato una variazione congiunturale di più 0,6 per cento e una tendenziale di più 5,8 per cento. In pratica, i prezzi sono aumentati sia rispetto a ottobre 2023 (il primo mese della campagna) che rispetto a novembre dell’anno scorso (il primo mese del governo Meloni). I numeri ufficiali, quindi, smentiscono l’entusiasmo del ministro Urso e dimostrano il fallimento dell’iniziativa governativa.

Inoltre, la recente riduzione dell’inflazione su base annua tanto sbandierata dal ministro è determinata da un effetto statistico dovuto al periodo preso come riferimento. Infatti, la variazione registrata a ottobre e novembre 2023 si deve in gran parte alla flessione dei beni energetici rispetto allo stesso periodo del 2022, quando ci furono dei fortissimi aumenti nel comparto.

In sostanza, il “trimestre anti-inflazione” si conferma ciò che è apparso fin dall’inizio, cioè una misura di propaganda politica e non di politica economica. L’iniziativa governativa si è dimostrata del tutto inefficace a contenere i prezzi dei beni di prima necessità e a tutelare il potere d’acquisto delle famiglie perché non ha affrontato le reali cause dell’inflazione, la cui origine da profitti è stata riconosciuta dallo stesso governo ed esplicitata nella Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza.

Siamo dinanzi a una crisi inflativa a cui il governo non tenta di porvi rimedio e che vede i lavoratori e le lavoratrici in forte difficoltà a causa di un potere d’acquisto falcidiato da un’inflazione cumulata nell’ultimo triennio di oltre più 17 per cento, che non sarà di certo recuperato con iniziative inconsistenti come il “carrello tricolore”.

La via maestra per affrontare la drammatica emergenza salariale e per far ripartire la domanda interna è il rinnovo dei contratti, che rappresenta la condizione necessaria, anche se da sola non sufficiente, per il recupero e la tutela del potere d’acquisto dei salari.

Nicolò Giangrande, Ufficio economia, area politiche per lo sviluppo della Cgil nazionale