È considerata una riforma “abilitante” per la realizzazione e l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nel solco della primogenitura del mercato e del liberalismo, sembrerebbe. “Ci troviamo di fronte a un disegno di legge delega molto complesso - osserva Emilio Miceli, segretario nazionale della Cgil - che studieremo e valuteremo con grande attenzione alla luce dell’impatto che questo ha con i servizi del nostro Paese, con il sistema delle infrastrutture e anche della funzione dei servizi pubblici. Sono argomenti delicatissimi, la sensazione è che il sistema pubblico venga visto come una ruota di scorta che deve sempre più alimentare il mercato, anche lì dove si incrociano esigenze indifferibili della collettività”.

Il nostro ordinamento vorrebbe che una legge sulla concorrenza venisse approvata ogni anno, ma l’ultima risale al 2015. Troppe rendite di posizione e troppi gruppi di pressione da non scontentare. E anche quella appena varata dal Consiglio dei ministri, e che dovrà essere ratificata dal Parlamento, in realtà sconta gli stessi problemi. Non si toccano le concessioni balneari, altrimenti in Cdm difficilmente la Lega avrebbe dato il via libera al testo, ma è giusto ricordare che stiamo parlando di un bene demaniale, cioè di tutti, dato appunto in concessione a privati, che però se lo tramandano di padre in figlio come fosse proprietà propria e pagando canoni irrisori. Così come accade per le frequenze televisive e radiofoniche, anch’esse beni di tutti e tutte. E questi sono solo alcuni esempi. Cosa ha deciso il governo Draghi su questo? Sostanzialmente di rimandare, avviando una “operazione trasparenza”, una sorta di mappatura di ciò che c’è e di chi lo ha. Sembra quasi di rileggere quel che è stato scritto sul catasto, rimandando decisioni impopolari a chi verrà dopo.

Ma cosa c’è nella norma? O meglio cosa ci sarebbe: “L’obiettivo dichiarato del ddl, così come definito dal comunicato finale del Consiglio dei ministri, è “promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni; rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati; garantire la tutela dei consumatori”. Come fare? Attraverso gare pubbliche (appalti) su quasi tutto a cominciare dai servizi degli enti locali, e poi gas, trasporti, colonnine elettriche, porti, gestione dei rifiuti. Ancora, proprio per quanto riguarda i rifiuti, la norma che doveva facilitare la creazione di inceneritori sembra sparita dal testo definitivo, mentre anche raccolta e smaltimento entrano nel libero mercato.

Altro provvedimento sparito rispetto alle bozze iniziali– a proposito di rendite di posizione e di gruppi di pressione –, è quello che consentiva l’attività dei notai anche fuori distretto. Per quanto riguarda le assicurazioni, invece, dovrebbe esser rafforzato il diritto dell’automobilista al risarcimento diretto in caso di sinistro. E all’interno del provvedimento sembrano esserci un po’ di contraddizioni.

È ancora Miceli a parlare: “Siamo in attesa del testo definitivo, ma dalle bozze sembra non risponda ad alcuni quesiti importanti. Tra questi uno è che Cassa depositi e prestiti ha due piedi in due grandi aziende tra di loro concorrenti, Open Fiber e Tim. Questo disegno di legge non ci dice quale è la direzione di marcia su uno dei più grandi temi industriali e per l'innovazione del Paese. Per quanto riguarda la messa a gara dei servizi c’è un riferimento blando alle clausole sociali, fin troppo blando per prenderlo sul serio. E sentiamo la necessità di affrontare il tema del ciclo dei rifiuti non soltanto come una questione di mercato, ma come una grande questione della collettività”. E aggiunge il dirigente sindacale: “L’altra cosa che non convince è che sui porti non si va verso il libero mercato ma verso una condizione di oligopolio se non di monopolio, attraverso il cumulo delle concessioni, con la possibilità di determinare una gigantesca ristrutturazione che rischia di costare cara in termini di posti di lavoro”.

C’è poi il capitolo sanità. Se da un lato saranno più stringenti i criteri per la nomina dei primari, componendo una vera e propria graduatoria a scorrimento per titoli, curricula, volumi di attività aderenza al profilo cercato, dall’altro sarà agevolato l’accreditamento delle strutture private. E in epoca di sbandierata nuova centralità del pubblico non è proprio una ottima notizia.

“Che dire - riflette ancora Miceli - noi non siamo contrari a rendere il sistema economico europeo sempre più interdipendente. Noi siamo europeisti, segnaliamo che almeno nell’ultimo ventennio il mercato non ha corretto le diseguaglianze, non ha prodotto occupazione, e spesso non ha fatto meglio del pubblico. Ci aspettavamo e ci aspettiamo una riflessione e poi delle decisioni che tengano conto della necessità di fare agire funzioni indifferibilmente statali con funzioni indifferibilmente di mercato, con l’obiettivo di creare le premesse perché l’Europa si contraddistingua dal resto del mondo come il luogo che per tradizione ha fatto sintesi nel rapporto tra Stato e mercato”.

Se una riflessione vien da fare, è questa. La pandemia dovrebbe averci insegnato quanto importate sia stato e sia il pubblico, lo Stato, per garantire a tutti e tutte i cittadini e le cittadine alcuni diritti essenziali, la salute, la mobilità, l’istruzione ecc. Incentivare al massimo la concorrenza tra soggetti per favore l’ingresso di privati non sempre risponde alla tutela degli interessi dei cittadini appunto. Alcuni “beni” dovrebbero essere pubblici, o almeno regolati e controllati dal pubblico. E allora la conclusione di Miceli è netta: “Lo diciamo sin da ora, su questo tema non sarà possibile fare incontri spot, con pochi minuti a disposizione solo per rappresentare le posizioni di ciascuno. In quel ddl ci sono temi che devono essere oggetto di trattativa complessa. Lo vogliamo dire al presidente del Consiglio e ai ministri: occorrerà aprire un ciclo di confronto che non può seguire le tracce di ciò che è successo sulla legge di bilancio”