I 36 milioni di cittadini e cittadine, lavoratori dipendenti e pensionati, che contribuiscono al 90% dell'Irpes sono stati esclusi dal governo nel confronto sulla riforma fiscale. Ma le tasse sono o dovrebbero essere alla base del patto di cittadinanza, quello che garantisce i diritti costituzionali, dalla sanità all’istruzione, quello che forte del principio di solidarietà redistribuisce ricchezza tra cittadini e cittadini e tra territori. Ne parliamo con Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil

Il governo nel presentare la delega fiscale ha affermato che l'obiettivo sia abbassare le tasse a tutti, questa impostazione è coerente con la Costituzione?
La scelta è quella di dare un messaggio un po’ demagogico, abbassiamo le tasse a tutti, senza considerare il fatto che il peso del welfare, il peso della sanità, il peso degli investimenti è sulle spalle di quei 36 milioni di lavoratori e pensionati che rappresentano il 90% dei contribuenti Irpef e da cui deriva il 95% del gettito di questa imposta. La presidente Meloni oggi ha dichiarato ad un convegno di commercialisti che bisogna riscrivere il patto fiscale con il Paese; peccato che non lo voglia fare con 36 milioni di contribuenti ma solo con l’associazione di commercialisti. A proposito di Costituzione, di rappresentanza degli interessi sociali e del mancato confronto su temi importanti come questo. Perché bisogna ricordarlo: sulla delega fiscale siamo stati chiamati due giorni prima che il consiglio dei ministri la licenziasse. La Costituzione indica due principi che devono orientare il sistema fiscale del nostro Paese: la capacità contributiva di ciascuno e la progressività, non la diminuzione delle tasse. E il sistema fiscale è alla base del patto di cittadinanza che ha, a sua volta, alla base il principio di solidarietà. L’operatore pubblico, con il gettito fiscale, ha l’onere di far funzionare l’apparto statale e di garantire i diritti di cittadinanza, dalla salute all’istruzione attuando così un altro dettato costituzionale, quello della redistribuzione della ricchezza prodotta dal Paese attraverso – appunto – la solidarietà. Capacità contributiva e progressività sono enunciati nel testo della Delega ma nel dispiegarsi del testo sono messi in discussione.

Spiegaci perché?
Innanzitutto c’è, nella delega e poi nelle indicazioni date per redigere i decreti attuativi, una categorizzazione dell’imposizione fiscale, in sostanza cambia la tassazione a seconda del soggetto. Da un lato lavoratori lavoratrici dipendenti e pensionati, per i quali si mantiene una forma di progressività, che verrebbe però annullata o assai ridotta dall’introduzione della flat tax. Poi ci sono gli autonomi per i quali la tassa piatta è già stata introdotta e lì la progressività è annullata con l’introduzione dell’aliquota unica. infine le imprese che hanno un'altra tassazione ancora. A tutto questo si aggiunge un processo, già cominciato in passato in realtà che nella delega viene rafforzato, di fuoriuscita dalla base imponibile di una serie di cespiti. Penso alla cedolare secca sugli immobili, ad esempio, nel testo del Governo si allargherebbe addirittura a quelli commerciali. Insomma si sta andando verso una tassazione sempre di più proporzionale che progressiva

I dipendenti e i pensionati, da un lato, gli autonomi dall'altro. I redditi da lavoro e quelli da patrimonio tassati in maniera differente e il reddito da patrimonio mobiliare è sottoposto a un regime fiscale differente da quello da patrimonio immobiliare. Insomma, sembra la saga della frammentazione. A chi giova tutto questo? È equo un regime così fatto?
Nonostante formalmente si affermi di perseguire i due obiettivi quello dell'equità orizzontale, cioè parità di reddito parità di imposte, e quello dell’equità verticale, nei fatti non li si rispettano. Sul l'Irpef si fa un'operazione che dovrebbe ridurre sostanzialmente la tassazione, aliquote di riferimento passano a tre, con la prospettiva annunciata della flat tax. E già questo è un problema, perché è vero che bisogna vedere come verranno rimodulate le aliquote, in ogni caso la loro riduzione non agevola i redditi bassi o medi, favorendo quelli più elevati come ha recentemente certificato la stessa Banca d’Italia in riferimento agli interventi fiscali del Governo Draghi (riduzione a quattro delle aliquote) e sui quali scioperammo proprio per queste ragioni. E poi, come accennavo prima, non c'è nessun tentativo di ricomporre la base imponibile, ma proprio neanche l'impressione, anzi è il contrario. La base imponibile è sempre più scarna, quella dei redditi da lavoro e da pensione, è certa mentre tutto il resto è tassato in modo diverso e questo è profondamente sbagliato. Noi riteniamo che nella capacità contributiva vadano collocate tutte le ricchezze e tutti i redditi. Far uscire dalla base imponibile una serie di cespiti determina iniquità. L’esempio più classico è quello della tassazione della rendita – più bassa - rispetto alla tassazione da lavoro, e potrei continuare. Il problema non è la riduzione delle aliquote, ricordo che questa nel tempo c’è stata, ne avevamo molte di più e la più elevata arrivata al 70%. Ma oltre ad una questione di giustizia, ve ne anche una di sostenibilità. Nessuno si pone l’interrogativo di quanto queste operazioni possano essere sostenibili per il nostro sistema fiscale, soprattutto in relazione al fatto che non interviene adeguatamente sulle grandi ricchezze, i grandi patrimoni e su una seria lotta all'evasione fiscale. Come si faccia ad abbassare le tasse e garantire sanità e istruzione, oltre che sicurezza e stipendi dei dipendenti pubblici non è dato sapere. Certo un codicillo della delega recita: “a parità di gettito”, ma anche come si faccia a garantirlo non si sa.

Non ci sarà che al fondo l'idea che ha questo governo è quella del restringimento del welfare pubblico, dalla sanità all'istruzione. A leggere il Def sembrerebbe confermato questo sospetto.
Sì, sicuramente questo sospetto trova conferma nel Documento di Economia e Finanza. Aggiungo, se metto insieme la legge delega fiscale con il disegno di legge sull’autonomia differenziata questo sospetto, si rafforza e da nessuna parte c’è una riflessione su quale sia il fabbisogno per far marciare il sistema Paese. Quel che invece sembra evidente che già con la Legge di Bilancio e poi con i provvedimenti che sono seguiti vi è la risposta a interessi particolare delle categorie di riferimento della maggioranza, dalla flat tax ai condoni. E anche una misura che potrebbe essere giusta come lo sfoltimento di detrazioni e deduzioni, potrebbe – invece – rispondere a richieste di lobby potentissine.

Con il cosiddetto decreto lavoro si riduce il cuneo fiscale per i redditi fino a 35.000 € lordi annui da luglio a dicembre. È un provvedimento che va nel senso delle richieste del sindacato. Tutto bene?
La riduzione del cuneo era una nostra richiesta ben prima che arrivasse Meloni al governo, anche perché per i redditi soprattutto bassi e non c'è altra capienza fiscale se non un intervento su cuneo contributivo per poter dare una risposta all'aumento dell'inflazione. La nostra richiesta, aveva e ha due caratteristiche, la prima che deve essere strutturale, non temporanea come invece è la misura messa in campo dal Governo. La seconda questione, appunto, è che la si deve affiancare all’introduzione di un meccanismo di indicizzazione all’inflazione, meglio noto come fiscal drag, perché questo consente di tutelare sia lavoratori che pensionati ed evitare così che gli aumenti in busta paga, anche quelli legati ai rinnovi contrattuali, vengano “mangiati” dal sistema di modulazione fiscale.  In ogni caso la domanda è perché questa riduzione del cuneo si fa oggi e non è stata fatta in Legge di Bilancio come sarebbe stato naturale?

Secondo il governo, scopo di questa riforma fiscale dovrebbe essere quello di stimolare le imprese ad investire e a far crescere il Paese, da qui la riduzione di Ires e Irap. Ma è davvero questo lo scopo di un sistema fiscale?
No, il sistema fiscale non ha questo scopo. Il sistema fiscale è il patto di cittadinanza alla base del Paese e deve sostenere e garantire l'operatore pubblico per poter avere le risorse necessarie per sostenere lo Stato sociale, gli investimenti, le infrastrutture. È quella infrastruttura stessa fondamentale che tiene il Paese in piedi, che garantisce la coesione fra territori e non ha una dimensione egoistica. Lo dico perché, prima ho fatto riferimento all'autonomia differenziata, se ognuno si tiene il proprio residuo fiscale viene meno il principio unitario e solidaristico. Ancora, fare politiche industriali con la leva fiscale è proprio sbagliato. Il tema delle politiche industriali non è utile declinarlo solo sul versante fiscale, è esattamente il contrario di quello che chiediamo. La competitività del Paese la si sostiene governandola, anche eventualmente con il fisco, ma non lasciandola esclusivamente al mercato, lasciandosi il ruolo di chi eroga incentivi e nulla più

Domani sabato 6 maggio, ci sarà il primo appuntamento della mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil, poi 13, poi il 20. E poi?
Le tre piazze della mobilitazione unitaria sono molto importanti, quella del 6 è all’indomani dell’audizione unitaria sulla delega fiscale, sono tre piazze – dicevo - perché indicano con chiarezza quali sono gli obiettivi del sindacato in questa fase. Obiettivi rafforzati dal Decreto Lavoro che peggiora la situazione sul versante del lavoro visto l’aumento della precarietà prevista dal Governo. Quello che avverrà alla fine del percorso di mobilitazione unitaria, non siamo in grado di dirlo, lo decideremo insieme a Cisl e Uil. Sicuramente noi stiamo indicando una serie di obiettivi che dovranno avere una chiara declinazione in legge di bilancio. Se non li conterrà, sarà un grave problema perché stiamo ponendo questioni di merito importanti. Dal sostegno al welfare, dalla sanità all'istruzione. E poi servono le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici e provvedere a una seria riforma delle pensioni, nuove politiche industriali solo per citare alcune delle richieste contenute nella piattaforma unitaria.  Tutti questi temi non si risolvono solo e semplicemente facendo un decreto il 1 maggio, pure importante per il parte fiscale ma non esaustivo di quella che è la condizione delle persone. Per noi e per chi rappresentiamo, il lavoro è importante 365 giorni l’anno, le strumentalità politiche e la propaganda del Governo si scontrano alla fine con la condizione materiale delle persone.