Per un giorno la notizia ha fatto qualche titolo nei tg nazionali: “In Svezia trovato enorme giacimento di terre rare. La società pubblica svedese Lkab, proprietaria del terreno, parla di un milione di tonnellate di ossidi di terre rare: «Sarebbe sufficiente per soddisfare gran parte della domanda futura della Ue per la produzione dei magneti permanenti necessari per i motori elettrici e per le turbine eoliche»”.

La notizia poi è scomparsa, ricomparendo in qualche fondo o qualche giornale on line che si occupa di queste tematiche. Cosa avranno capito cittadini e ascoltatori? Certamente la scoperta è rilevante per l’Europa: ma perché? Come influirà sui cittadini europei e sui rapporti internazionali?

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi della tavola periodica (tra cui il lantanio, il cerio e lo scandio) che trovano un’ampia applicazione nei settori della tecnologia avanzata e delle energie rinnovabili. Sono fondamentali, ad esempio, per creare magneti permanenti, fibre ottiche e batterie ricaricabili, cruciali nell’industria delle auto elettriche e ibride, ma anche per costruire le turbine eoliche e i pannelli solari.

Costituiscono un elemento imprescindibile negli schermi di desktop e smartphone, sono inoltre insostituibili nella realizzazione di apparecchiature di medicina avanzata (tra gli altri, per le macchine chirurgiche e la risonanza magnetica). Addizionalmente, sono largamente utilizzate anche nell’industria della difesa, ad esempio per la realizzazione di radar.

Il giacimento denominato Per Gejer è situato in Lapponia (nel Circolo polare artico), nelle immediate vicinanze della miniera di ferro che Lkab, la più grande del mondo... e forse aiuterebbe aver letto Il senso di Smilla per la neve per comprendere la complessità di quelle terre ricomprese sotto quattro diversi Stati.

La società pubblica svedese Lkab sfrutta da oltre un secolo il giacimento di ferro di Kiruna, producendo l’80% del minerale di ferro utilizzato in Europa. La miniera conta oltre 500 chilometri di strade costruite fino a 1.300 metri sottoterra. Oltre a recuperare minerale di ferro (90 mila tonnellate al giorno), Lkab è anche attiva nel recupero dell’apatite, che poi lavora per produrre fosforo utilizzato in ultima analisi nei fertilizzanti, oggi carenti per via della guerra russa in Ucraina.

Nello specifico, non si sa quali minerali esattamente siano contenuti nel nuovo giacimento (non è detto che ci siano tutti). Per l’estrazione e lo sfruttamento, per stessa ammissione della proprietà, ci vorranno dai dieci ai 15 anni, potremmo dire un’era geologica per i tempi di trasformazione d’innovazione in corso. Tanto questo è vero che l’amministratore delegato della società chiede procedure semplificate per accelerare lo sfruttamento.

Oggi l’Europa dipende fortemente da un numero limitato di Paesi fuori dai propri confini per l’approvvigionamento di materie prime: tra il 75 e il 100% della maggior parte dei metalli arriva dall’estero. L’Unione Europea stima che la domanda di terre rare utilizzate nei magneti permanenti, fondamentali per gli impianti eolici, potrebbe aumentare di dieci volte entro il 2050.

Il commissario al mercato unico Thierry Breton ha ricordato che attualmente il 91% delle terre rare usate in Europa giunge dalla Cina. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea, si veda il report pubblicato), dei 120 mila chilotoni di riserve conosciute di terre rare nel mondo (1 chilotone = 1.000 tonnellate), l’Asia nel suo complesso ne detiene ben il 61%, rispetto all’1% dell’Europa prima della scoperta annunciata ieri. E anche includendo il rinvenimento annunciato ieri, le riserve europee resterebbero inferiori al 2% di quelle mondiali.

In ultima analisi, due ulteriori considerazioni. La prima: i giacimenti di terre rare, contrariamente al loro nome, sono abbastanza comuni in svariate aree geografiche, ma è l’estrazione dei minerali che complica la situazione, a causa della complessa lavorazione e degli alti impatti ambientali. Questi metalli tendono infatti a essere presenti nella crosta terrestre a concentrazioni molto basse e per estrarli è necessario smuovere grandi quantità di sottosuolo.

La seconda: in questi anni, senza creare grande stupore, l’Europa non ha costruito sinergie industriali e processi produttivi indispensabili per il riciclo di questi materiali preziosissimi presenti in molti prodotti tecnologici, nonostante la previsione che la transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili farà aumentare il fabbisogno in maniera straordinaria.