La ridotta capacità di spesa dimostrata nei decenni dall'Italia impensierisce l'Unione europea, e non solamente, da quando è stato varato il Next generation Eu che ha previsto l'enorme cifra di 223,91 miliardi di euro per il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano. Si tratta di un problema annoso e che è stato scandagliato, proprio a fronte del Pnrr, in uno studio di Gianfranco Viesti, economista dell'Università di Bari, per la Fondazione Con il Sud.

Le Regioni

"Il piano - ci spiega nel dettaglio Viesti - prevede la sua esecuzione da parte di soggetti diversi, alcuni, come Fs, sono grandi attuatori pubblici, altri sono Comuni e Regioni. Queste ultime hanno un ruolo molto particolare, limitato e settoriale: interventi sanitari e lavoro. Per la sanità si tratta di appalti di opere pubbliche (vedi la costruzione delle case di sanità) e acquisto di macchinari: su questo versante sembra che le cose procedano, anche perché se ne occupa Invitalia, e non ci sono segnalazioni di importanti criticità. Completamente diverso il problema degli investimenti infrastrutturali in corso, perché non c’è certezza della disponibilità di personale che faccia poi effettivamente funzionare le strutture".

L'altro versante sul quale le Regioni sono impegnate è quello delle politiche del lavoro, in particolare per la garanzia occupazionale dei lavoratori e il potenziamento dei centri dell’impiego: "Qui la questione è più complessa - afferma l'economista - perché il processo riguarda l’assunzione di personale e la loro attività, raggiungendo molte centinaia di migliaia di persone e offrendo loro una consulenza personalizzata per favorire l’inserimento nel mercato del lavoro. Al momento i target in merito sono stati raggiunti, ma dobbiamo monitorare con attenzione perché potrebbero verificarsi ritardi in alcune realtà territoriali, soprattutto al Sud, in Campania e Sicilia, dove lo stato di questi servizi è più indietro e il bacino al quale rivolgersi più ampio".

I Comuni

Il professor Viesti spiega che "i Comuni hanno un ruolo più importante, perché il piano stanzia 40 miliardi per le amministrazioni comunali, allocati, dall’estate 2021 all’autunno '22, in modi molto vari a volte interessanti, altri discutibili. E comunque sono state le amministrazioni centrali, i ministeri, a scegliere i progetti. Quindi bisogna vedere cosa andrà fatto".

"La domanda è: riusciranno i Comuni non solamente a spendere le risorse, ma anche a fare interventi qualitativamente buoni e a migliorare effettivamente le condizioni di scuole, trasporti e tutti gli 'oggetti' infrastrutturali coinvolti?" La risposta, afferma, è preoccupata: "Il piano ha fatto un errore strategico di fondo, in quanto ha ritenuto che le attuali amministrazioni comunali italiane fossero in grado di realizzare quanto disposto, senza tenere conto che le stesse sono state paurosamente impoverite nel corso degli anni 10 segnati dall'austerità, riducendo moltissimo il ricambio del personale, un quarto in meno rispetto a dieci anni fa, e ora sono chiamate a realizzare un ammontare di investimenti estremamente cospicuo".

Il gap del Mezzogiorno

Ancora una volta non si può fare un discorso omogeneo per tutta la penisola e i problemi più grandi sono al Sud. Viesti, nel suo studio, trova le cause nei "meccanismi di finanziamento dei Comuni negli anni 10 sono stati molto distorti, sono venuti meno i finanziamenti, ma soprattutto non sono andati a regime. I Comuni con una capacità fiscale più bassa, quindi con cittadini con redditi più bassi, hanno avuto a disposizione meno risorse rispetto agli altri e quindi hanno potuto procedere a un rafforzamento del personale molto inferiore".

Questo il problema principale, "poi - continua il professore -, a sua volta, la disponibilità di personale è condizionata dall’austerità asimmetrica della quale abbiamo prove inconfutabili. Quindi dobbiamo prestare attenzione a quello che sono in grado di fare i Comuni individuando i casi di maggiore difficoltà. Ho incrociato i dati sul personale di 103 Comuni, in termini di variazione e qualità (quanti sono i laureati e i dirigenti) e dalla sintesi emerge che questi problemi sono nettamente più forti in tutto il Mezzogiorno esclusi Abruzzo e Sardegna, nel Lazio esclusa Roma e in qualche realtà limitata del Nord".

Continua l'economista: "Alcuni esempi incredibili: nel Comune di Bari hanno metà del personale di Firenze, ma a parità di popolazione; Napoli ha perso metà dei dipendenti, mentre Bologna li ha aumentati e Catania ha personale molto più anziano rispetto ad altri Comuni, perché manca personale più giovane che generalmente è anche più qualificato per titolo di studio. Ho incrociato il tutto con quanto devono fare, con l’indice d’intensità degli interventi previsti dal Pnrr: ci sono Comuni deboli con pochi soldi, altri forti con molti soldi, ma il nodo principale è costituito da quelli deboli con molti soldi".

L’allerta deve quindi essere massima sulle amministrazioni del Sud, "sottodotate di personale e con 40 miliardi di euro da spendere. Tra queste ci sono Comuni importantissimi come Napoli e Catania, ma anche Reggio Calabria, Trapani, Brindisi, Messina e Taranto. Tutti devono essere attenzionati perché non fare opere è un problema per i cittadini del singolo Comune, ma anche per l’Italia tutta che rischia così di non raggiungere gli obiettivi concordati con la Commissione europea: la speranza è che il governo intervenga".

La spada di Damocle

Per Viesti anche l’autonomia differenziata che l’attuale esecutivo vorrebbe portare a termine costituisce un pericolo. “Il problema è mettere a regime il decentramento che già esiste, ma che si avvale di una legge quadro per regolare i finanziamenti a enti locali e Regioni che non è rimasta inattuata per le Regioni e per i Comuni è attuata male e distorta. Questi meccanismi che regolano i finanziamenti dei Comuni andrà a regime nel 2030, 21 anni dopo legge, ma significa che permangono situazioni di squilibrio. L’autonomia differenziata è proprio quello che non ci vuole perché determinerebbe ulteriori regole speciali e differenziazioni in un Paese che ha invece bisogno di fare funzionare bene il riparto delle competenze, i meccanismi di finanziamento e verifica che adesso non ci sono. Uno dei tanti motivi per essere contrari radicalmente a questo progetto".

Foto di copertina di Marco Merlini