Quando è stata predisposta la legge di Bilancio la guerra non c’era e la fine della pandemia sembrava alle porte. Sono bastati tre mesi e lo scenario è completamente cambiato. Nel cuore dell’Europa è scoppiato un conflitto tra due paesi fondamentali dal punto di vista della produzione energetica e alimentare. Senza considerare la tragedia umana che porta con sé. Il coronavirus non sembra affatto sconfitto e, se grazie ai vaccini la pressione sugli ospedali non è (ancora?) a livelli di guardia, la diffusione dei contagi non allenta la sua morsa. Secondo Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, per affrontare la nuova emergenza servono coraggio, radicalità e partecipazione

Crisi, emergenze e shock: il documento della Cgil (pdf)


La pandemia non ancora finita ci ha consegnato un mondo e un’Italia più poveri, con maggiori diseguaglianze e con sete di lavoro dignitoso. La ripresa cominciata nel 2021 è stata caratterizzata dall’esplosione della precarietà e del lavoro povero da un lato. Dall'altro lato, abbiamo assistito alla rottura delle catene della produzione e del valore e all’’aumento della richiesta di materie prime, che cominciano a scarseggiare. Ora la guerra...
È chiaro, questo secondo shock rischia di dare una mazzata pesante alle prospettive di ripresa del nostro Paese. Più in generale, mina quel processo iniziato dall’Europa per trovare un nuovo protagonismo come reazione alla pandemia. È evidente che questo è un quadro di appesantimento sul versante economico e, soprattutto, su quello sociale con conseguenze che non siamo nelle condizioni di predeterminare in maniera precisa, sappiamo solo che ci saranno. La prima riflessione, che si impone, è che ciò che stiamo attraversando è un cambiamento molto profondo del modello economico. A fronte di questo scenario che rischia di impoverire ulteriormente larghe fasce della popolazione, le ricette tradizionali, le ricette post pandemia non sono sufficienti e non sono efficaci. Come da tempo diciamo, è necessario cambiare modello economico. La direzione deve essere quella della sostenibilità sociale e ambientale. E, come in tutte le fasi di crisi, si impone la necessità del coraggio, della radicalità nelle scelte e grande partecipazione. A partire dalla condivisione di alcuni passaggi con le organizzazioni di sindacali. Coraggio, radicalità e partecipazione, dicevo. Ma non mi pare affatto che le scelte che si stanno compiendo vengano fatte all’insegna di questi tre elementi. Anzi, vedo una grande continuità con le politiche di corto respiro del passato, quando di fronte a noi c’è la necessità di mettere le fondamenta per un decennio di profondo cambiamento, e dovremmo farlo in fretta.

Quanto tutto questo rischia di bloccare la ripresa? E che impatto potrà avere sugli obbiettivi del Pnrr?
I rischi per la ripresa sono certi, non sono certi nell'entità, nel senso che restiamo in attesa delle previsioni economiche che saranno contenute nel Def. Se osserviamo i principali studi nazionali e internazionali, notiamo due dati che ricorrono. Il primo è quello dell’incertezza, legato all'esito e ai tempi del conflitto. L'altro elemento è che l’atteso rimbalzo dell’economia, che avrebbe dovuto farci recuperare il tonfo del 2020, quest’anno non ci sarà. Quanto riusciremo a recuperare di quel meno 9 per cento di Pil al momento non è immaginabile. Vista la situazione, il punto è cosa si pensa di fare per tenere il filo della ripresa a partire dalle scelte compiute con il Pnrr che, lo dobbiamo dire, è stato pensato e immaginato in un'altra fase e che oggi rischia, per alcuni temi, non per tutti, di dover esser aggiornato. Voglio essere chiara, non penso che debba essere stravolto, per alcuni aspetti è una buona matrice, per altri probabilmente c'è bisogno di fare due cose. Occorre, da un lato, anticipare e forse anche riprogrammare alcuni obiettivi, dall’altro c'è bisogno di allungare e potenziare Next generation Eu e quindi il Pnrr per tenere insieme i nuovi problemi che si aprono con ciò che è stato disegnato in una fase diversa.

E questione solo italiana?
Assolutamente no, sarebbe assolutamente rilevante se l'Europa riprendesse l'iniziativa, così come ha fatto nel 2020, per un nuovo strumento finalizzato alla transizione ecologica e quindi al tema soprattutto energetico. Servirebbe uno strumento che accompagnasse la necessità di maggiore autonomia, e di ottenere un mix di energie rinnovabili. Dall’altro lato dovrebbe essere costruita una grande alleanza sul versante della scienza e della conoscenza, insomma servirebbe qualcosa che assomigliasse a un'agenzia europea sulla ricerca, a partire proprio dai temi delle rinnovabili e delle nuove tecnologie.

Lo accennavi: in queste ore il governo a sta lavorando al Def. Aspettative, richieste, preoccupazioni?
Non deve essere un Def prudentissimo, cosa che invece sarà. Avremmo bisogno di un Documento di economia e finanza coraggioso, soprattutto sul versante sociale. Le richieste; in questo momento è necessario dare risposte alle condizioni materiali delle persone in grande difficoltà per l'innalzamento dell'inflazione e dell'aumento dei prezzi, che sta determinando un impoverimento di lavoratori e pensionati, già impoveriti a causa della pandemia. Tutto quello che può servire per alleviare la condizione materiale, soprattutto tra le fasce più fragili della popolazione, credo debba essere fatto. La prudenza, in questo momento, non è utile. Occorre, invece, da un lato salvaguardare appunto le condizioni materiali delle persone, dall'altro tutelare il lavoro; quindi, soprattutto di quelle filiere produttive che sono più colpite dall’innalzamento dei prezzi. Per essere chiari, abbiamo bisogno di un nuovo scostamento, di nuovo di strumenti che tutelino il lavoro, a partire dagli ammortizzatori sociali e, allo stesso tempo, bisogna rafforzare la condizionalità di sussidi e aiuti che verranno introdotti vincolandoli all’occupazione di qualità, all’innovazione. E tra le richieste, ovviamente, c’è quella che occorre affrontare la necessaria riduzione della nostra dipendenza energetica dalla Russia.

Veniamo al tema dell'energia. Quello che sta accadendo impone una riflessione su come l’Italia  stia affrontando la transizione energetica. Oltre alla eccessiva dipendenza dalla Russia, siamo stati troppo lenti nell’abbracciare le rinnovabili? Abbiamo commesso ritardi nella costruzione delle filiere legate alle nuove fonti energetiche?
Si, siamo in ritardo. Non solo. Si mandano anche messaggi ambigui rispetto alle scelte che abbiamo fatto con il Pnrr, vengono avanzate delle proposte insostenibili sia per i tempi sia per le necessità. Penso, ad esempio, a quella sul nucleare. Non è la via che può dare una risposta. Quindi sì, siamo molto lenti rispetto alle rinnovabili. La strada da seguire in questo momento è quella di favorire gli investimenti pubblici e privati, e sono gli imprenditori stessi a chiederlo: occorre semplificare e accelerare. L’altro corno da affrontare è quello dell’efficienza energetica, dobbiamo favorirla con tutti gli strumenti possibili. Aggiungo una terza questione: il risparmio.  L’energia va considerata un bene collettivo da preservare, come l’acqua. E allora dobbiamo diffondere la cultura del risparmio anche nei piccoli gesti quotidiani, dall’abbassare di un grado il riscaldamento degli ambienti allo spegnere luci e lampade fino all’utilizzo intelligente degli elettrodomestici. La scommessa si gioca su questi tre elementi: cultura del rispetto del bene comune, energia, efficientamento, mix rinnovabili.

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Se allarghiamo lo sguardo vediamo che emergenza tra le emergenze, a livello globale, è la fame. Guerra e siccità stanno determinando una riduzione delle colture agricole, soprattutto di cereali, e aumento dei prezzi con conseguenze disastrose. Le organizzazioni internazionali stimano un aumento tra i 7 e i 13 milioni di persone che rischiano di morire di fame nell’immediato futuro.
Questo è uno degli effetti non soltanto della guerra, Ucraina e Russia sono grandi esportatori di cereali e di materie prime alimentari. Se si blocca quella catena di esportazioni ne soffriranno innanzitutto i paesi più poveri che hanno maggiori difficoltà di approvvigionamento. Ma non dobbiamo sottostimare l'effetto del cambiamento climatico, lo stiamo misurando nel nostro Paese cosa significa, soprattutto in agricoltura, una siccità prolungata. Anche in questo caso bisogna evitare che l'emergenza ci faccia tornare indietro rispetto ad alcuni obiettivi, quelli della qualità dell'agricoltura nel nostro Paese e in Europa. Se vogliamo pensare al che fare, uno dei primi interventi, in parte tra gli obiettivi del Pnrr, è quello dell’efficientamento degli invasi e delle reti idriche

Veniamo alle ricadute di tutto questo sul reddito dei cittadini e delle cittadine italiani. L’aumento dell’energia porta con sé una salita dell’inflazione come non si vedeva da anni. I salari sono tra i più bassi di Europa e sono fermi da decenni. Come difendere il potere di acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici visto che i rinnovi contrattuali vengono calcolati con le stime di aumento dell’inflazione di un anno fa? E come la riforma del fisco all’attenzione del Parlamento potrà o dovrà intervenire?
Esiste una questione povertà, ed esiste una questione salariale.  Lo sappiamo da tempo, la novità di questa fase è che mentre in passato l'inflazione era sostanzialmente nulla o addirittura in alcuni momenti negativa, adesso c’è un'impennata spaventosa sul versante dei prezzi, in particolare determinata da beni energetici e materie prime, che rischia di mettere in ginocchio i più fragili. Occorre predisporre rapidamente una serie di contromisure per affrontare sia il tema povertà, sia quello dell’impoverimento salariale. Il fisco potrebbe essere una leva, basterebbe riprendere considerazioni e proposte che unitariamente avanzammo alla fine dello scorso anno, occorre concentrare gli interventi di riduzione delle imposte sui redditi più bassi utilizzando il meccanismo delle detrazioni. Il terreno fiscale è uno dei temi principali che parla ai redditi più bassi di lavoratori e di pensioni.

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Seconda questione, ovviamente vanno introdotte tutte quelle misure che possono dare un sostegno a famiglie e imprese rispetto all’energia. Quanto fatto fin qui non è sufficiente. Faccio un esempio, la riduzione dell’Iva è una misura trasversale e non destinata a chi ha davvero bisogno. Le misure orizzontali non funzionano. Terza questione, occorre sostenere e implementare gli strumenti di contrasto alla povertà già operativi. Ma accanto a questi vanno potenziati una serie di servizi che garantiscono diritti fondamentali. A cominciare da quello dell’abitare. Va rifinanziato il fondo affitti, rilanciata l’edilizia sociale ecc.  E penso che per un periodo occorra reintrodurre la moratoria sui mutui già realizzata durante la prima fase della pandemia. Quarta questione, qualità del lavoro. Praticamente tutta l’occupazione che si è creata nell’ultimo mese è precaria e povera. Dovremmo imparare dalla Spagna e riaffermare che l’unica forma contrattuale è quella a tempo indeterminato.  A questo tema si lega quello della contrattazione dei salari in relazione all’aumento reale dell’inflazione e a un indice Ipca che non è adeguato. Questo è un altro terreno di discussione sia con le imprese che con il governo. Voglio tornare, infine, sul tema fiscale. I nostri peggiori presentimenti si sono avverati, i provvedimenti inseriti in legge di Bilancio non sono affatto andati a beneficio dei redditi più bassi. E la delega in discussione in Parlamento, lo diciamo con chiarezza, non va bene, non è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo di equità fiscale dettato dalla Costituzione. Aggiungo che se davvero si vuole parlare di solidarietà, come credo sia giusto viste le due emergenze che ci hanno colpito, allora penso che oggi parlare di tassazione di grandi ricchezze finanziarie o grandi patrimoni sia doveroso.

Nei mesi più duri del lockdown ci facevamo forza affermando che ne saremmo usciti migliori e che il coronavirus ci dava l’occasione per cambiare modello economico e modello sociale. I primi passi del Pnrr stanno faticando ad andare sulla via del cambiamento, quanto sta succedendo non rischia di rendere ancora più ardua questa prospettiva? E cosa fare per evitarlo?
È evidente che se quando ci si sta rialzando da una crisi arriva un’altra mazzata, il rischio di rimanere a terra è elevato. Ma sono ottimista. Penso che il Paese abbia tutte le condizioni, gli spazi economici e le capacità scientifiche per operare il cambiamento di modello economico e sociale di cui c’è necessità. Il punto è se ci sono le volontà politiche. Al momento, anche a causa della natura della coalizione che sostiene il governo, non le vedo chiaramente. Occorre mettere in campo quelle tre condizioni di cui parlavo all’inizio: coraggio, radicalità e partecipazione. Nel Paese ci sono.