Uno sciopero straordinario, secondo Fabrizio Solari segretario generale della Slc Cgil, quello convocato oggi dai sindacati e che coinvolge tutti i lavoratori e le lavoratrici della Tim. Straordinario perché, oltre che di difesa dei posti di lavoro, si occupa del futuro economico e democratico del Paese. No allo spezzatino, si a "un campione nazionale" per la rete unica. E il governo, secondo il dirigente sindacale, proprio non può stare in finestra. Serve una politica industriale a forte indirizzo pubblico, che indirizzi il mercato e metta alla pari degli altri grandi Paesi europei.

Oggi, 23 febbraio, i lavoratori e le lavoratrici di Tim incrociano le braccia. All'inizio di marzo ci sarà il consiglio di amministrazione dell'azienda e l'amministratore delegato illustrerà il nuovo piano industriale. Voi, organizzazioni sindacali, lo avete più volte incontrato. Cosa non vi ha convinto, perché lo sciopero?
Innanzitutto è importante sottolineare che uno sciopero di questa portata non è di tutti i giorni in Tim. Da quando l’azienda è nata, è la seconda volta che si assiste a una mobilitazione di questa portata. È vero, abbiamo incontrato l’ad Pietro Labriola, ma non ci ha detto nulla. Numeri e sostenibilità del progetto arriveranno: quel che si capisce è che il disegno dell’azienda è dividere la gestione della rete dalla gestione dei contenuti. Ipotesi che non condividiamo assolutamente.

Come si è arrivati a questo punto?
L'assurdità di questa situazione deriva da lontano. L’Italia è agli ultimi posti in Europa, per digitalizzazione. E invece di competere con Francia e Germania come dovrebbe essere, ci confrontiamo con il gruppo di coda dei Paesi europei. Non solo. Oltre ad essere arretrati dal punto di vista infrastrutturale e tecnologico, abbiamo anche il mercato più inefficiente d'Europa, mentre al di là delle Alpi esiste un mercato che in 10 anni ha moltiplicato la domanda. Solo nell’anno della pandemia si registra un più 50%, da noi il fatturato del settore è drasticamente diminuito: 10 miliardi in meno in 10 anni. È un mercato che palesemente non funziona, che non è nemmeno all’altezza degli investimenti che si sono fatti. È evidente che il Pnrr è l’occasione per recuperare gli anni perduti e metterci in condizione di poter competere con il gruppo di testa dell’Europa. Ma in rischio è che diventi una occasione sprecata. Quel che sta accadendo in Tim, di fatto, sta bloccando qualsiasi iniziativa. Persino le gare finanziate dallo Stato vanno deserte. È evidente, quindi, che siamo in una situazione di stallo pericolosa, stiamo perdendo ancora tempo.

Da un lato l’immobilismo causato da Tim e che Tim riverbera sull’intero settore. Dall’altro una sorta di agitarsi scomposto: da Iliad che mostra interesse per Vodafone fino a WindTre e contemporaneamente i bandi per la digitalizzazione delle isole minori che vanno deserti.
Quel che abbiamo fin qui descritto è esattamente la fotografia di un mercato che non sa dove andare. E questa fotografia pone con forza una delle questioni al centro dello sciopero di oggi, l’assenza di una politica industriale per il settore delle Tlc: tutti i gruppi sanno che così non va, cercano a tastoni soluzioni, spesso contraddittorie. Manca una regia ed è esattamente quello che noi chiediamo. La straordinarietà dello sciopero sta proprio qui, lavoratori e lavoratrici incrociano le braccia da un lato per difendere l’occupazione, dall’altro per tutelare l’interesse generale del Paese. Se non si mette in campo una scelta di politica industriale che indichi gli asset fondamentali, continueremo a bruciare inutilmente risorse. Questa è la ragione che ci ha spinto a scrivere al presidente del Consiglio, alla conferenza delle Regioni, ai sindaci, ai gruppi parlamentari: vogliamo che sia almeno chiaro a tutti di cosa stiamo discutendo. Stiamo discutendo dalla fine della qualità della vita delle persone. E dell’inesigibilità di un diritto, quello alla connessione, che è diritto di cittadinanza.

Torniamo alla Tim. Finora abbiamo ragionato delle ricadute sul Paese, sull'economia, sui diritti di cittadinanza, della scelta di Tim verso lo spezzatino. Ma se la scelta dell'azienda fosse questa, quale sarebbe la ricaduta sui lavoratori e le lavoratrici?
Il rischio è quello di migliaia di esuberi. L’azienda ha interesse a valorizzare finanziariamente i propri asset a scapito degli investimenti e degli interessi per lo sviluppo del Paese. Siamo davvero al paradosso: si rischiamo migliaia di licenziamenti nella maggior azienda di Tlc del Paese, quando nel resto del mondo questo è il settore che produce posti di lavoro e pure qualificati. È assolutamente inaccettabile. Ma questo racconta di che Paese siamo.

Infine, questa mattina invece di presidiare le sedi aziendali, lavoratori e lavoratrici si sono dati appuntamento davanti a prefetture e Ministero per lo sviluppo economico. Perché la scelta di rivolgersi al governo?
Per tutto quello che ho detto finora. C'è un'azienda che annuncia una serie di scelte e quindi è giusto confrontarsi con lei per provare a fargli cambiare idea. Ma non c'è dubbio alcuno che, per il valore del settore, non è questione che possa rimanere nei confini aziendali. Insomma, non c'è dubbio che, così come avviene nel resto d'Europa, esiste una responsabilità prioritaria del pubblico e del governo nell'indirizzare le grandi scelte. Tra l'altro, aggiungo, se ce ne fosse bisogno, il secondo azionista di Tim è Cassa depositi e prestiti che è direttamente uno strumento d'intervento del governo. Quindi è evidente che in questa vicenda, se c'è qualcuno che non può permettersi il lusso di stare alla finestra, con tutto rispetto, è proprio il governo.

Allora non ci resta che augurare buono sciopero ai lavoratori. Che cosa vuoi dire direttamente a loro?
Quel che mi sento di dire è che mai come ora i lavoratori e le lavoratrici sono chiamati, con questa iniziativa, non solo in difesa dei loro interessi, ma anche dell'interesse dei loro figli.