Ormai diversi governi fa venne lanciato un piano di incentivi fiscali che aveva come obiettivo quello di aiutare le imprese italiane, tutte ma soprattutto si sperava le più fragili: quel piano si chiamava Industria 4.0. Tanti i miliardi investiti in ammortamenti e super ammortamenti a favore delle aziende, e molti altri tra incentivi e sgravi fiscali sono stati erogati dallo Stato al sistema delle imprese. Con quali risultati? Ovviamente non stiamo parlando degli indennizzi e dei ristori derivanti dalla crisi economica scatenata da quella sanitaria, che pure ci sono e per cifre non indifferenti. Vorremmo capire meglio come sono state impegnate le risorse che avevano e hanno l’obiettivo di contribuire al salto tecnologico dell’apparato industriale del Paese. E per questa via contribuire all’incremento economico e occupazionale.

Secondo Alessio De Luca, dell’Ufficio Industria 4.0 della Cgil nazionale: “Gran parte di questi sgravi, non essendo finalizzati e vincolati ma erogati a pioggia, sono stati utilizzati per il cambio dei macchinari”. Certo, sostituire pc e stampanti in un’epoca in cui l’obsolescenza degli apparati tecnologici si raggiunge fin troppo rapidamente è cosa utile, ma la scommessa doveva essere quella di accompagnare le imprese nell’era della robotica e dell’intelligenza artificiale. O almeno, di indirizzare le industrie italiane verso l’innovazione. E invece, analizzando i dati Istat (arrivano però solo fino al 2018) “il grosso degli investimenti non è stato utilizzato per tecnologie altamente abilitanti, lo dimostra la scarsa crescita degli strumenti digitali più performanti che avrebbero potuto contribuire a realizzare un balzo tecnologico e produttivo in molti settori”.  

Se si guarda ai settori del futuro, ad esempio, ci si accorge che solo il 3,5% delle aziende ha investito in robotica. Di queste la parte del leone l’hanno fatta le imprese che producono mezzi di trasporto (automotive) - sono il 20,3% - mentre quelle che si occupano di raffinazione di petrolio o di produzioni chimiche sono l’11,8 e sotto il 10% si attestano quelle della metallurgia e dell’industria pesante, elettronica, computer, elettromedicali e apparecchiatura elettriche. Ad analizzare i dati prodotti dallo studio dell’Ufficio 4.0 della confederazione di Corso d’Italia sorprende, ad esempio, che solo il 4,9% delle imprese che hanno attenuto i fondi abbia investito nel settore dell’analisi e della gestione delle banche dati.

Insomma, dice De Luca: “Gli investimenti nei settori strategici per le tecnologie abilitanti sono davvero scarsi. E quel che più colpisce è che i settori che meno hanno utilizzato i fondi e meno hanno investito sono quelli con forte presenza dello Stato come la fornitura elettrica, il gas, l’acqua, i rifiuti, i servizi fognari. Proprio laddove l’utilizzo di queste tecnologie sarebbe indispensabile per ridurre sprechi, migliorare i servizi, limitare gli impatti sull’ambiente, calmierare i costi delle utenze”.

Valeva la pena di utilizzare tutte queste risorse pubbliche? Certo l’acquisto di macchinari e gli investimenti che ci sono stati, effetti positivi li hanno portati ma l’efficacia sulla crescita economica del Paese e sull’occupazione non è stata rilevante. “Insomma – conclude De Luca – se si erogano risorse a pioggia, se si introducono vantaggi fiscali senza una strategia si risponde a bisogni immediati delle aziende ma non si utilizzano le risorse pubbliche per costruire politica industriale”.

Ragionare di fisco, tasse e tributi, di una riforma che con le fondamenta affondate nell’equità e nella progressività contribuisca a redistribuire ricchezza e a ridurre diseguaglianze vecchie e nuove dovrebbe voler dire anche utilizzare in maniera più selettiva la leva fiscale per indirizzare la transizione tecnologica e ambientale, la politica industriale del Paese. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato lo scorso 12 gennaio prevedeva ancora molti, forse troppi, incentivi ancorchè selettivi, e pochi investimenti nei fattori abilitanti e quasi nessuno in ricerca. “È da augurarsi che le risorse del Pnrr – chiosa il dirigente sindacale - destinate alla transizione digitale siano utilizzate avendo una idea chiara di sviluppo industriale ed economico”.