L’Emilia-Romagna vanta vari primati. Tra questi quello di occupare la seconda posizione a livello nazionale per valore dell’export con il 14,1% del totale italiano. La prima è la Lombardia, la terza il Veneto. È invece la prima per saldo commerciale ed export pro-capite. Questo sistema consolidato negli anni viene oggi scosso dalla pandemia. Dal mese di aprile a giugno 2020 l'impatto del lockdown sui flussi commerciali della regione con l’estero è stato particolarmente negativo. A una prima contrazione del 2,4% rilevata nei primi tre mesi del 2020, è seguito un vero e proprio tracollo dell’export regionale che ha fatto registrare una diminuzione pari a -25,3% nel secondo trimestre. Su questa percentuale pesa in particolare il forte calo di aprile, solo in parte compensato dalla ripresa di maggio e giugno. Nell’arco dei primi sei mesi dell’anno, il sistema economico regionale ha esportato beni e servizi per poco meno di 28,4 miliardi di euro a valori correnti, il 14,2% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019; la contrazione è in linea con quella del Nord-Est (-14,3%), leggermente più contenuta rispetto al livello nazionale (-15,3%).

Analisi settoriale
Analizzando i singoli settori si scopre una tendenza simile a quella nazionale: a soffrire di più sono state le esportazioni dei prodotti della filiera meccanica, i metalli di base, i prodotti in metallo e quelli della moda, mentre aumenta l’export degli articoli farmaceutici (+38,0%) e dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (+8,6%), che confermano il loro carattere anticiclico. “L’Emilia Romagna – ci spiega Davide Dazzi, ricercatore dell’Ires Cgil – aveva reagito positivamente alla crisi del 2008. Dal 2009 ha cominciato progressivamente a crescere facendo registrare un'accelerazione tra il 2017 e il 2019 con tassi del 6% annui. Poi con il 2020 (prima che scoppiasse la pandemia) è cominciato un rallentamento dovuto alla fase di recessione dell’economia mondiale. Poi è arrivata la botta della pandemia. A quel punto l’export della regione ha subito cali tra il 20 e il 25%”. Ovviamente la crisi dell’export, come in altre regioni, varia da settore a settore. E fa registrare andamenti non sempre in linea con le tendenze nazionali. Le esportazioni verso il Giappone, per esempio, sono risultate in crescita (anche consistente) mentre diminuiscono quelle di altre regioni. Davide Dazzi ci tiene poi a sottolineare che, come per tutta l’Italia, il grosso delle esportazioni emiliano romagnole sono dirette al mercato europeo che rappresenta la quota largamente maggioritaria dell’export regionale.

L'Europa che preoccupa
Ed è proprio dai dati europei che arriva una delle preoccupazioni maggiori visto che con la pandemia si sono registrati tutti segni negativi (tra il -24 e il -26%). “L’export dell’Emilia Romagna è rappresentativo di quello che sta succedendo a livello nazionale – ci dice il segretario generale della Cgil regionale, Luigi Giove – anche da noi i settori più colpiti sono quelli della componentistica metalmeccanica, l’automotive, la chimica (fatta eccezione per la farmaceutica) e il tessile. Le aziende stanno cercando di reagire, ma ancora non possiamo dire che siamo entrati in una fase di ripresa”. Il segretario generale ci descrive tre fasi della crisi legata alla pandemia. Una prima fase di lockdown durante la quale si è fermato tutto. Una seconda fase di ricostituzione delle scorte e di primi tentativi di riavviare la macchina delle esportazioni di prodotti. Una terza fase, quella attuale, in cui alcune filiere produttive, soprattutto nel campo delle plastiche e dei prodotti per imballaggio e packaging, si ricominciano ad attivare i contatti commerciali e si ricomincia ad esportare. “Uno dei settori che non si è mai fermato – conferma anche Giove – è quello dei prodotti agroalimentari e del packaging che proprio in Emilia Romagna rappresenta un primato nazionale”. In questi settori produzioni ed esportazioni hanno subito un rallentamento durante i mesi più duri della pandemia, ma non si sono mai fermate.

Prospettive e nuovo Patto per il Lavoro
Ora però si pongono problemi seri per quella miriade di piccole e piccolissime aziende, ma anche medie, che non hanno le spalle abbastanza larghe per affrontare la rivoluzione in corso delle catene globali del valore. Molte aziende rischiano di non farcela e si potrebbero prospettare anche nella forte Emilia Romagna licenziamenti di massa. Per il segretario generale della Cgil regionale è quindi necessario accompagnare la ripresa delle imprese che ci stanno riprovando e prepararsi a parare il peggio per quelle troppo deboli. Da una parte quindi la proroga per il 2021 degli ammortizzatori sociali, la riforma del sistema di protezione del lavoro. Ma la Cgil Emilia Romagna ha anche un’altra importante carta da giocare: il nuovo Patto per il lavoro che dovrebbe essere siglato prima della fine dell’anno.