Lasciate a casa senza nuove “missioni”, dopo avere comunicato di essere in gravidanza e dopo avere chiesto un congedo per assistere il figlio affetto da autismo. Ecco la trincea nella quale si combatte per i diritti delle donne. La storia arriva dalla Cgil di Bergamo, cui si sono rivolte due lavoratrici in somministrazione alle dipendenze a tempo indeterminato di due diverse agenzie per il lavoro in città. Per loro l’8 marzo non arriva mai.

In questo caso è stato il Nidil Cgil, la categoria della Cgil che difende i precari, a prendere in carico la denuncia delle due donne “scaricate” da agenzie che – si legge sul sito della Cgil Bergamo – “agilmente si sono sottratte alle loro responsabilità sociali”.

Francesco Chiesa, Nidil Cgil Bergamo: “Le donne in somministrazione sono sempre soggetti ricattabili”

“Se pure per questa categoria di lavoratrici i diritti sulla carta esistono, non si riesce mai a rivendicarli pienamente. Le donne in somministrazione sono sempre soggetti ricattabili e le agenzie ne approfittano”, ha attaccato Francesco Chiesa, segretario generale del Nidil Cgil di Bergamo.

“Si smetta di considerare le agenzie solo passacarte, non sono semplici intermediari: è l’ora di fissare regole più stringenti che le portino finalmente ad assolvere concretamente il ruolo di datori di lavoro. Perché questo, nei fatti, oggi sono”, prosegue Chiesa. “È quello che rivendichiamo al tavolo della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. Un cambio di passo, che sia scritto anche nel contratto. Da metà novembre però il confronto è interrotto per decisione unilaterale delle controparti AssoLavoro e AssoSomm. La trattativa deve ricominciare, è importante che riparta, perché riguarda in tutta Italia mezzo milione di persone e, in provincia di Bergamo, 18mila lavoratori, comprese le due lavoratrici a cui ieri, alla vigilia dell’8 marzo, lasciamo la parola”.

Storie di madri lavoratrici

Per Awa, 39 anni, e per Anna, 43 (entrambi i nomi non sono quelli veri, precisa il sito della Cgil Bergamo) non sarà un 8 marzo semplice. Entrambe al momento si trovano senza occupazione.
Nell’aprile del 2023 Awa aveva appena frequentato un corso di formazione obbligatorio di 10 giorni e aveva concluso un affiancamento di due giorni in azienda quando si è sentita male. “Avrei dovuto iniziare a lavorare dai primi di maggio, e sulla piattaforma online dell’agenzia da cui dipendo a tempo indeterminato era già pronto il contratto da firmare per cominciare una nuova ‘missione’ in un’azienda metalmeccanica della provincia di Bergamo”, ha raccontato. “Al pronto soccorso ho scoperto di essere incinta. Il giorno successivo ho chiesto un incontro all’agenzia, per avvisarli della gravidanza. Lì mi hanno detto di aspettare a firmare il contratto e mi hanno fissato un consulto con il medico aziendale. Dopo la visita, mi hanno comunicato che per me quel lavoro non c’era più. Ma io stavo bene, volevo solo lavorare, ero solo di dieci settimane. Quello è stato un momento davvero duro”.

“In agenzia hanno fatto in modo che sulla piattaforma online la possibilità di firmare il contratto scadesse, dicendo ad Awa di aspettare e facendo tecnicamente ricadere la colpa su di lei”, denuncia Francesco Chiesa. “Poi, senza spiegarle bene di cosa si trattasse, le hanno fatto firmare un’aspettativa non retribuita, cioè zero stipendio (nemmeno gli 800 euro al mese dovuti anche quando non c’è una missione in corso). Noi successivamente abbiamo fatto annullare l’aspettativa. In sostanza, quello che è accaduto è che una grande agenzia che fattura milioni ha ingannato una lavoratrice in difficoltà, per risparmiare 800 euro al mese”.

Nel 2022 anche Anna era assunta a tempo indeterminato presso un’agenzia per il lavoro, e da tre anni lavorava in un’azienda metalmeccanica che stava pensando di assumerla direttamente.
“Quando i medici mi hanno comunicato che mio figlio era affetto da autismo per me è stato uno shock”, racconta. “Ho presentato una domanda di congedo straordinario con la legge 104 per occuparmi di lui, per organizzarmi e riprendermi dalla notizia”.
Nidil Cgil sottolinea che era assolutamente diritto di Anna chiedere quel congedo, e che tra l’altro la retribuzione al 100% sarebbe stata a carico dell’Inps, “dunque la questione non sarebbe ricaduta né sull’agenzia né sull’azienda metalmeccanica. Non ci spieghiamo perché accanirsi sulla lavoratrice”, ha aggiunto Chiesa.

“Perché sia l’azienda che l’agenzia non mi hanno permesso di usufruire di quel congedo?” si chiede Anna. “La mia missione sarebbe scaduta nell’agosto del 2022. Ma quando ad aprile di quell’anno ho avvisato di aver chiesto all’Inps il congedo, mi è stato detto che non avrei più lavorato lì. Mi hanno pagato lo stipendio fino a fine missione, ma l’agenzia mi ha avvertito in malo modo che comunque non avrei mai più lavorato con loro, che a loro non interessavano i problemi di mio figlio”.

“Da settembre 2022 ho chiuso il congedo e sono tornata in disponibilità lavorativa, ma l’agenzia non mi ha mai più proposto nessun lavoro e alla fine nel maggio 2023 mi ha licenziata, sostenendo di non essere riuscita a trovarmi altra occupazione. Purtroppo siamo in tante nella mia situazione, con un muro davanti. Sono rimasta delusa dall’agenzia, non ho trovato comprensione, può capitare a tutti quello che è accaduto a me. Ora cerco un lavoro a giornata, faccio fatica, ma non mi do per vinta, so che alla fine lo troverò”, conclude Anna.

In questo caso Nidil Cgil Bergamo ha aperto una vertenza che si è conclusa con un accordo economico, “prova che la lavoratrice aveva ragione”, conclude Chiesa. “Possibile che i diritti per le donne in somministrazione si debbano rivendicare ricorrendo in tribunale?”.