Il 3 ottobre del 2013 si consumava a Lampedusa la grande tragedia dell’immigrazione. Almeno 368 morti. Solo 155 le persone salvate, tra cui sei donne e due bambini. “Un tappeto di carne umana”, nelle parole di Giusi Nicolini, all’epoca dei fatti sindaca di Lampedusa.

“La morte è sempre terribile - diceva - Anche nei mesi precedenti, anche quando ne moriva solo uno, l’incontro con la morte era già drammatico. Ma la morte di 368 persone è una cosa che ti sconvolge. Il recupero dei corpi è durato giorni, i superstiti del naufragio li abbiamo trattenuti per oltre un mese perché dovevano essere presenti come teste, è stata una lunga fase di dolore, di lutto e d’impotenza. Ad oggi il naufragio del 3 ottobre non è ricordato come il più grande, quello di aprile 2015 è stato più tragico, con oltre il doppio dei morti e dispersi, ma la ‘particolarità’ di quell’episodio è stato il fatto di essere avvenuto a poche centinaia di metri dalla costa. È stato possibile recuperare tutti i corpi da mostrare al mondo, con tutte le 368 bare riunite nell’hangar. La strage ha reso materia i morti che fino a quel momento, nelle stragi precedenti, erano stati coperti dal mare. Sembrava che saremmo giunti a cambiamenti epocali dopo quello scempio, a cambiamenti delle politiche, ma dopo l’iniziale mobilitazione, è arrivato il peggio”.

La tragedia, inimmaginabile fino a pochi secondi prima, divampa in un lampo come il fuoco che avvolge subito il ponte del barcone. I cadaveri vengono deposti sul molo, ormai diventato una camera mortuaria a cielo aperto, e inseriti nei sacchi di plastica con cerniera verdi e blu forniti dalla direzione dell’aeroporto. Sopra ogni sacco viene spillato un numero che servirà alla polizia scientifica per dare un nome ai migranti deceduti.

Dal pontile una staffetta di ambulanze con la sirena accesa precedute dalle gazzelle dei carabinieri porta i corpi nel enorme edificio blu dell'aeroporto che normalmente ospita gli elicotteri della Finanza e del 118. Una tragedia immane. Una vergogna, nelle parole di Papa Francesco.  Non è la prima. Non sarà, purtroppo, neanche l’ultima.

Nel 2016 il Senato proclamerà il 3 ottobre Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Di tutte le vittime dell’immigrazione.Donne, uomini, bambini, bambine.

“Quando la tragedia si consumò tre anni fa a poche centinaia di metri dall’approdo a Lampedusa - affermava nell’anno della approvazione della legge il presidente Mattarella - l’evento mise il mondo intero di fronte a una grande responsabilità. La portata inedita, e per certi aspetti epocale, delle migrazioni nel Mediterraneo non può certo essere trattata con cecità dalle classi dirigenti e con indifferenza dalle opinioni pubbliche. Al contrario, è necessario mettere in campo tutta l’intelligenza, l’umanità, la capacità organizzativa di cui disponiamo, e insieme a queste è indispensabile coordinare gli sforzi in ambito europeo perché solo nella dimensione continentale si possono affrontare con efficacia i problemi sociali, economici, diplomatici, di sicurezza e di contrasto alle organizzazioni criminali, che il fenomeno migratorio solleva”.

Perché indignarsi non basta. Perché ricordare non basta. Perché anche se ci sentiamo assolti siamo tutti coinvolti. “In molti proviamo pietà - scriveva su Repubblica Attilio Bolzoni - alcuni provano o dicono di provare fastidio. In molti soffriamo, altri s’incazzano perché sono morti qui, proprio qui da noi, in quell’Italia che non li vorrebbe mai né vivi e né morti.

Politicamente corretti e politicamente scorretti, pregiudizi, ideologie, razzismi, stupidità che diventa malvagità. E c'è chi prega, chi dichiara, c'è chi promette e chi minaccia.

Ma li avete visti, li avete visti davvero questi corpi? Guardateli da vicino per favore, guardateli e diteci se abbiamo visto bene anche noi, diteci se c’è un uomo che stringe con le sue braccia una donna, se ci sono due neri stesi sulla sabbia - chissà a quale profondità - che sembrano dormire, se c’è un ragazzo a testa in giù e a piedi in su che cerca disperatamente un appiglio per resistere un altro secondo, se c’è una ragazza che non ha volto ma una cintura che luccica anche in fondo al mare. Sembra in posa, come una modella. Una modella morta”.

Oggi commuoviamoci, ricordiamoli, pensiamo a ciascuno e ciascuna di loro, con la consapevolezza, però, che il ricordo da solo non basta. Non dimenticare però può e deve servire a dare un senso alla strage e contribuire a tessere quel percorso di accoglienza e integrazione di cui l’Italia e l’Europa tutta hanno, mai come oggi, disperatamente bisogno.