“Va fatto di tutto per approvare la riforma della cittadinanza entro questa legislatura, per non rivivere la stessa delusione di qualche anno fa”. A dirlo sono le organizzazioni aderenti al “Tavolo della cittadinanza”, tra cui la Cgil, rilevando che pur considerando “il testo della proposta denominata ‘Ius Scholae’ insufficiente rispetto a quanto auspicato”, esso rappresenti “un primo passo verso una vera e propria riforma della legge 91 del 1992, non più adeguata ai bisogni del Paese e dei suoi nuovi cittadini”.

In questo momento ci sono quasi 900 mila giovani di origine straniera nati in Italia o giunti da bambini, che aspettano venga riconosciuto loro il diritto di essere “legittimamente italiane e italiani”, dando certezza ai loro progetti e alle loro aspettative coltivate nel Paese che considerano casa propria.

“Negli ultimi giorni – proseguono le organizzazioni – abbiamo letto che l’attuale legge sarebbe, viceversa, ancora in grado di assolvere questa funzione, permettendo alle ragazze e ai ragazzi di scegliere, al compimento dei 18 anni, se prendere la cittadinanza italiana o tenere quella del loro Paese di nascita o, in molti casi, di quello di provenienza dei genitori che loro non hanno mai conosciuto”.

La procedura però non è affatto semplice, e una serie di rigidi requisiti, primo tra tutti quello legato alla residenza continuativa e ininterrotta in Italia, rendono di fatto “la scadenza dei 18 anni solo teorica. E sono moltissimi gli italiani con passato migratorio che, anche molti anni dopo essere diventati maggiorenni, non riescono a ottenerla (cosa che vale anche per chi arriva in Italia e deve avere la residenza come uno dei requisiti principali per l'ottenimento della cittadinanza)”.

Per la Cgil e le altre associazioni del Tavolo, siamo di fronte a “una legge che separa le famiglie laddove i genitori presentino la richiesta di cittadinanza quando il figlio è minorenne ma, quest’ultimo, in attesa del lungo iter burocratico, diventi maggiorenne, e quindi venga ‘sganciato’ dalla richiesta della famiglia che, se accolta, vedrà i genitori diventare cittadini italiani e lui mantenere la cittadinanza di un Paese che, spesso, non conosce bene”.

Non avere la cittadinanza, dunque, significa “perdere opportunità importanti che contribuirebbero alla crescita e alla formazione dei giovani in questione, e di conseguenza del nostro Paese. E la scuola, oggi al centro di questa riforma, ne è la prova, perché incubatore della futura classe dirigente”.

Per il Tavolo della cittadinanza, allora, le nuove generazioni italiane “sono il fatto che anticipa la regola, la stessa che fatica a essere praticata perché mancano coraggio e consapevolezza politica. Abbiamo bisogno di dare certezze e una prospettiva di vita alle centinaia di migliaia di persone che vivono invece nella precarietà”.

I firmatari dell’appello rilevano inoltre che “gli italiani di origine straniera sono i compagni di scuola, compagni di sport, amiche, amici, vicini e concittadini. Quelli che parlano l'italiano come prima lingua, spesso con le inclinazioni dialettali tipiche delle diverse regioni e città. Italiani di fatto, ma non per legge”.

Il Tavolo della cittadinanza, in conclusione, ribadisce che “bisogna intervenire con urgenza” e auspica che “il testo di riforma della cittadinanza, che oggi arriva in discussione alla Camera dei deputati, possa trovare il favore più largo delle forze parlamentari e possa essere approvato da entrambi i rami del Parlamento prima della fine di questa legislatura, mantenendo la normativa al passo con l'evoluzione della società”.