Le richieste di protezione umanitaria e di asilo debbono vedere unite le istituzioni e le comunità locali, nazionali ed europee, nell’accogliere e proteggere uomini, donne e minori che chiedono aiuto. Non è possibile assistere silenziosi e indifferenti a ciò che sta accadendo da anni alle frontiere terrestri e marittime dell’Unione europea, dalla Manica, ai Balcani, alle rotte mediterranee. Lungo le frontiere europee si sta consumando una guerra tra esseri umani divisi tra chi ha un tetto, servizi, diritti e libertà, e chi ha perso tutto e non ha più nulla, e cerca uno sguardo, una mano a cui aggrappare le proprie speranze e uscire da un incubo.

Dall’Afghanistan al Marocco, da est ad ovest, senza soluzione di continuità è oramai un susseguirsi di crisi umanitarie e di tragedie umane alle quali le nostre istituzioni, nazionali ed europee, continuano a dare risposte disumane, di un egoismo crescente, improntate sui respingimenti e sul rifiuto di vedere cosa abbiamo intorno a noi. Bastano poche migliaia di persone ai confini europei per gridare all’invasione e chiedere misure speciali; dispiegamento di polizia e militari, isolare, arrestare e criminalizzare chi si adopera per assistere e accogliere, fino a limitare la libertà di stampa e imporre misure straordinarie in deroga alle proprie leggi e al rispetto e protezione dei diritti umani universali. 

Ciò che sta succedendo ai confini orientali dell’Unione europea, tra Polonia, Lettonia, Lituania e Bielorussia, è l’ultima di una lunga serie di crisi umanitarie che da anni ci circondano e coinvolgono, ognuna con la sua specificità geografica e geo-politica, ma tutte uguali nell’approccio e nelle misure messe in campo per respingere e rifiutare assistenza e accoglienza. Basta ricordare cosa è successo e cosa succede a Lampedusa, a Lesbo, a Calais, a Seuta e Melilla o nei centri di accoglienza, che in realtà sono centri di detenzione costruiti fuori dall’Europa, in Libia, in Turchia, in Niger, dove l’umanità è fuorilegge, sostituita dalla violenza e dal ricatto dei carcerieri di turno.

Fino a quando riusciremo a essere ciechi e sordi? Fino a quando riuscirà a reggere la difesa dei confini e della supposta identità europea di fronte all’avanzare di un’umanità che ha bisogno di aiuto? Ma non sarebbe meglio allearsi con questa umanità e, insieme, lottare per sconfiggere i nostri stessi nemici; la fame, la povertà, le dittature, le guerre, i disastri ambientali, le diseguaglianze, le ingiustizie per allargare il perimetro delle democrazie e delle libertà ? Non avremmo tutti un futuro migliore?

Invece di investire miliardi e miliardi in armi e guerre che, la storia ci insegna, producono solo nuove guerre, morti, sofferenze, distruzioni e milioni di profughi, per poi ripetersi all’infinito, perché non investire in scuole, formazione, lavoro, servizi che invece producono rispetto, sistemi democratici, convivenza, giustizia?

Ancora una volta assistiamo alla incapacità della politica, intesa come istituzioni pubbliche responsabili del governo della società e del rispetto dei diritti umani universali, a trovare risposte adeguate e orientate a rafforzare le nostre istituzioni e a orientare la società verso il futuro prossimo e a cambiamenti che ogni società e ogni cultura devono saper affrontare se non vogliono decadere ed estinguersi. Questo è ciò che ci insegna la storia dell’umanità: saper convivere con i cambiamenti, rigenerandosi e rafforzandosi inventando, innovando, apprendendo e fondendosi nell’incontro con l’altro diverso da noi.

In questo senso, non solo le istituzioni, ma anche la comunità ha le proprie responsabilità. È troppo facile delegare alle istituzioni le risposte e il carico della sfida che rappresentano l’accoglienza e l’inclusione del diverso da noi, di chi chiede aiuto, di chi proviene da un’altra nazione, cultura e religione. La comunità deve aprirsi e saper accogliere, non può restare indifferente o essere stregata dai venti del nazionalismo identitario, dalla paura dell’invasione, essere quindi chiusa, xenofoba.

In questi anni la comunità o società civile ha dimostrato grandi capacità di azione e di resistenza alle sirene xenofobe e razziste. La solidarietà e la dimostrazione di umanità si sono espresse in mille maniere, dal soccorso in mare, all’assistenza sulle montagne, all’organizzazione di servizi e di orientamento per l’inserimento nel lavoro, nelle scuole, nella vita sociale, all’organizzazione dei corridoi umanitari per superare le barriere burocratiche e la tratta umana. Un mondo di solidarietà spesso attaccato e criminalizzato, privo di norme e di volontà del legislatore di investire in questa direzione, alternativa a quella securitaria e di rifiuto.

In un mondo che investe duemila miliardi di dollari in spesa militare e solo 150 miliardi per sostenere la crescita economica e sociale dei paesi poveri, le richieste di aiuto e di protezione alle frontiere sono strutturali, permanenti fino a quando la nostra società non sarà capace e pronta a invertire l’ordine degli investimenti, scommettendo sull’umanità, sul diritto e sulla solidarietà, e non più sul potere da conquistare o da difendere con la supremazia delle armi.

Tocca a noi, società civile, comunità, sindacato, costruire l’alternativa con proposte, con il nostro agire quotidiano ma anche incalzando le istituzioni nazionali ed europee, senza stancarci di esigere il rispetto dei diritti umani non solo dentro il nostro perimetro ma in ogni luogo e nei confronti di ogni donna e ogni uomo, perché la violazione dei diritti umani interroga noi e indebolisce la nostra idea di democrazia e di convivenza. 

Sergio Bassoli, Area internazionale Cgil