Ci avviciniamo alla data del 21 marzo, giornata dedicata alle vittime innocenti delle mafie. Una giornata che non vuole soltanto ricordare le tante persone uccise dalla criminalità organizzata, ma che nelle sue intenzioni cerca di ricostruire una sensibilità che negli ultimi anni sembra essere, se non perduta, quanto meno distratta.

Anche se l’editoria italiana sembra aver allentato un po’ l’attenzione su questo tema nell’ultimo periodo, uno tra i più recenti volumi pubblicati ha per titolo Le mafie nell’era digitale. Rappresentazione e immaginario della criminalità organizzata da Wikipedia ai social media (Franco Angeli, pp. 185, euro 18), scritto dal professor Marcello Ravveduto, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Salerno, i cui studi si orientano verso l’analisi del rapporto tra mafie e nuovi sistemi di comunicazione, come già testimoniava Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione, uscito per le Edizioni Gruppo Abele nel 2019.

Nel suo ultimo libro il professor Ravveduto ci informa di come la rivoluzione digitale abbia cambiato non soltanto le nostre vite e i nostri modelli di comunicazione, ma anche quelli delle mafie. Ma in che modo la realtà e il racconto delle mafie si intrecciano oggi, per dar forma a un orizzonte in continua evoluzione? “In questo libro ho tentato di raccontare proprio questo, vale a dire l’evoluzione di un immaginario costruito dai media broadcast. In estrema sintesi, e forzando un po’ il concetto, possiamo dire che oggi un regista, o uno sceneggiatore dell’attuale era digitale, è autore di una rappresentazione che però può essere gestita dagli stessi personaggi da loro scelti attraverso i social network, dove i soggetti in questione costruiscono da soli una propria autonarrazione”.

Viene da chiedersi, in un simile scenario, e alla luce dei potenziali pericoli che può nascondere una sconsiderata utilizzazione dei social, quanto possa influire una certa rappresentazione della criminalità organizzata nell’immaginario delle nuove generazioni. Su questo il professor Ravveduto evidenzia come i media, soprattutto per quanto riguarda la produzione audiovisiva, “sono indotti a generare processi di mitizzazione legati al fatto che costruiscono una realtà che immerge dal punto di vista cognitivo, favorendo una sorta di mito narrativo; ma queste visioni non devono essere accusate di determinare tutto questo in una possibile trasformazione in realtà, fenomeno questo soprattutto italiano”. Italiano perché “in Italia non abbiamo un buon rapporto con i media, vissuti come curvatore morale e non come impresa culturale”.

Ecco perché le stesse serie che possono risultare esempi negativi, se compresi all’interno di un progetto di media education possono invece trasformarsi in uno strumento per la conoscenza di questi fenomeni, per far capire ai giovani, prosegue Ravveduto, che “chi conduce una vita di carattere mafioso può andare incontro soltanto a due tipi di finali: il carcere o la morte”.

Ecco perché dovremmo preoccuparci del fatto che spesso, nel territorio dell’antimafia, chi è titolare di questo compito snobbi “quelle piattaforme che le stesse generazioni utilizzano”; e questo snobismo verso le piattaforme digitali “lascia da soli i giovani di fronte a queste rappresentazioni delle mafie. Da Tik Tok a Instagram, è raro trovare qualche adulto che vi navighi dentro e in grado di raccontare un altro mondo per costruire una contronarrazione di quanto viene pericolosamente divulgato”.

Nei suoi volumi, il professor Ravveduto non manca di guardare anche alla realtà, quella fatta di rapporti umani concreti, fisici, caratterizzati dallo sviluppo di associazioni, comitati, movimenti, gruppi più o meno ampi che fanno della legalità un valore imprescindibile in tutte le sue possibili declinazioni, come accadrà il prossimo 21 marzo. Un tessuto sociale un tempo punto di riferimento della mobilitazione civile materiale, che però oggi deve accompagnarsi a una mobilitazione di carattere mediale, digitale, perché “le narrazioni si trasferiscono lì, e il sistema di autorappresentazione, fenomeno crescente ogni giorno di più, deve essere contrastato sul suo terreno, con narrazioni diverse”.