Caterina ha cinquanta giorni, Nadia ha nove anni quando la bomba esplode nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Loro sono a casa, con mamma e papà. Un appartamento in centro a Firenze, a un passo dagli Uffizi, all’interno della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili di cui la madre è custode. Dormono quando una Fiat fiorino imbottita di esplosivo salta in aria.

Dormono quando la torre crolla trasformando Caterina nella più piccola vittima di mafia della storia italiana. Insieme a lei e Nadia muoiono papà Fabrizio Nencioni (39 anni), ispettore dei vigili urbani, mamma Angela Fiume (36 anni), custode dell’Accademia, lo studente Dario Capolicchio (22 anni). Ma la bomba provoca anche 48 feriti, sventra la torre dove ha sede l’Accademia, causa ingenti danni al museo degli Uffizi, a Palazzo Vecchio, alla chiesa di Santo Stefano, al Ponte Vecchio e alle abitazioni tutt’attorno.

L’ipotesi di un attentato prende corpo fin dal giorno successivo e in breve tempo gli inquirenti individuano negli uomini dell’organizzazione mafiosa “Cosa Nostra” gli esecutori materiali della strage. Le indagini ricostruiranno i fatti in base alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, in particolare Spatuzza che inizia a collaborare nel 2008 dichiarando che la strage era stata pianificata durante una riunione in cui erano presenti lui, Barranca e Giuliano insieme ai boss Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro e Francesco Tagliavia, i quali decisero l’obiettivo da colpire attraverso dépliant turistici.

Dopo un lungo iter processuale saranno comminati 15 ergastoli, definitivamente attribuiti dalla Cassazione il 6 maggio 2002. Una strage voluta e compiuta dalla mafia, che dopo Falcone e Borsellino torna a colpire. Torna ad uccidere e distruggere, in una terribile escalation di violenza, di morte. Il giorno dei funerali delle vittime dell’Accademia, a pochi metri dal luogo della strage, davanti alla piccola chiesa trecentesca di San Carlo dei Lombardi, centinaia di persone trasformano via dei Calzaiuoli in un’enorme basilica a cielo aperto.

Un compagno di Nadia legge una letterina: “Siamo tutti insieme, vicino a lei, così grande e straordinaria nella stupenda poesia che ci ha lasciato”. “Il pomeriggio se ne va - scriveva la bimba - Il tramonto si avvicina un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto) È già sera tutto è finito”. “Tramonto” diventerà il nome in codice dell’operazione Messina Denaro.

“Nel dolore - diceva pochi mesi dopo lo zio Luigi Dainelli, oggi ottantaseienne - è bellissimo sapere che l’operazione dell’arresto abbia preso il nome dalla poesia della nostra piccola Nadia, è un simbolo, un bel segnale che viene dato a tutti, non è solo una carezza alle due bambine, nostre nipoti. Mi hanno raccontato che i Ros hanno portato Messina Denaro negli uffici di Bocca di Falco, dove sulla parete era appesa la poesia di Nadia, gliel’hanno fatta vedere al boss mafioso e lui ha abbassato la testa”.