Ogni libro ha la sua storia, e ne contiene molte altre. Nel caso di Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo (Editori Laterza, pp. 328, euro 19), la grande Storia, quella che si scrive con la maiuscola, si intreccia con la vita delle persone comuni, vite che poi tanto comuni non sono. Il protagonista è infatti Lorenzo Perrone, un muratore piemontese con una spiccata idiosincrasia nei confronti del potere, qualsiasi potere, abituato a inseguire il suo lavoro dove c’è, arrivando sino al reticolato di Auschwitz III-Monowitz, situazione quasi normale negli anni precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale, quando l’asse Roma-Berlino influiva anche sugli accordi industriali tra Italia e Germania.

Per Lorenzo Perrone è dunque naturale, trovandosi lì, dare una mano a chi nel frattempo viene rinchiuso nel lager divenuto tragicamente il più famoso del Novecento. Tra questi, lo sappiamo, Primo Levi. I due coltivano giorno dopo giorno un’amicizia profonda che continuerà nel tempo, anche dopo il 1945, sino alla morte prematura di Perrone, dedito all’alcol sin da bambino.

Primo Levi ricorderà più volte, anche nei suoi libri, la figura di un uomo che non conosceva la paura, non accettava le ingiustizie, rifiutava ogni dittatura. E riuscire a rendere tutto questo in un volume che vuole essere di cronaca storica, allo stesso tempo divulgativo, non è operazione di poco conto. A riuscire in pieno nell’intento è Carlo Greppi, storico tra i più importanti nel panorama contemporaneo, già autore di numerosi saggi sui capitoli più importanti della storia contemporanea. Per ricostruire la biografia di Lorenzo Perrone, Greppi si è avvalso della collaborazione di studiosi, colleghi, testimonianze preziose Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare il suo ultimo lavoro, partendo proprio dalle modalità utilizzate per realizzare questa ricerca collettiva.     

Professor Greppi, da questo suo libro emerge esserci stato anche un lavoro di ricerca fatta in gruppo. Ci può raccontare come avete operato insieme?
E chiaro che la responsabilità di un libro rimane dell’autore; però uno storico, anche il più bravo, se non ha intorno una rete di persone non fa nulla. Persone che in passato se ne sono occupate, o nel presente lo assistono nella ricerca, lo affiancano, ancor di più se la ricerca riguarda qualcuno che ha lasciato poche tracce, come è il caso di Lorenzo Perrone. Per questo nel libro ho anche cercato di restituire questa polifonia di archivisti, famigliari, conterranei, colleghi, storici, che hanno mantenuta viva la memoria per ricostruire dei segmenti, diventando coprotagonisti, con grande generosità.

Chi era Lorenzo Perrone?
Una persona insofferente nei confronti del potere, un’insofferenza che lo mobilitò moltissimo, in particolare contro i fascismi europei del Novecento. Aveva radicato un senso di ribellione nei confronti di ogni ingiustizia commessa intorno a lui. Viene da dire che per lui è stato “naturale” fare a pugni col mondo in quel contesto di sopraffazione e violenza. E non faccio fatica ad ammettere che ogni volta che ci ripenso mi commuovo, mi commuove l’idea che esistano persone così semplici. Ci regala fiducia nell’umanità.

Che tipo di rapporto c’è stato con Primo Levi?
Questa è la chiave di volta della storia di Lorenzo Perrone e dell’impatto che ha avuto sulla vita e la sopravvivenza di Primo Levi durante la prigionia, un punto fondamentale anche nel resto della sua esistenza, come lo stesso Levi scrive anche in Se questo è un uomo. Perché la presenza di Perrone non è soltanto un aiuto concreto, non lo aiuta solo a non morire di stenti, ma a nutrire anche la forza morale per sopravvivere, l'idea che l’umanità non è tutta perduta. In Se questo è un uomo si comprende molto bene come il nodo sia proprio questo.

Approfittiamo del suo ruolo di storico per riflettere sul fatto che spesso si dice che studiare e spiegare la storia nelle scuole stia diventando sempre più difficile. Libri come questi, il racconto delle vicende delle persone comuni, come Manzoni ci ha insegnato, possono essere una valida alternativa?
Credo che, nelle scuole, il punto su cui insistere debba essere il fatto che con la storia conosciamo noi stessi in quanto essere umani; e più raccontiamo storie di uomini e donne ordinari, di semplici lavoratori, più queste storie ci possono parlare. Se ci limitiamo a uno studio mnemonico, politico, diplomatico, la storia appare lontana, come qualcosa che dobbiamo imparare per forza. In un manuale che ho avuto modo di curare sempre per l’editore Laterza, dal titolo Trame nel tempo, abbiamo voluto intrecciare la storia dall’alto con quella dal basso, tenendo insieme le fonti, descrivendo come procede la ricerca, in contesti diversi, o in altri casi comparabili. L’idea è stata quella di costruire un portone d’ingresso che possa facilitare nuovi interessi, e diversi punti di osservazione.