PHOTO
«Come stai?», ora chiedo a mio nonno:
e intanto mi siedo sull’àrgine.
«Non saprei», mi risponde: e la faccia,
la stessa di quando ha sessanta
anni (tutti passati Qui in Umbria:
a parte il viaggio in Friùli
per lavoro: ché aveva vent’anni),
raggrinza il dolore negli occhi
nascondendolo a un gesto sottile:
risponde così alle domande 10
che nessuno gli ha fatto da vivo.
Tu lo sai che ora sei un mio ricordo
(fa sì e mi sorride, accogliente).
Cos’avete da dirci voi morti?
Lo chiedo. E mi sento morire.
Che non ci si ritrova, dopo morti,
se non nel ricordo di chi ci ha vissuti.
È più a loro, più a voi che serviamo.
Noi, di voi, ci ricordiamo poco
se non che eravamo vivi, con voi; 20
e questo per sempre ci procura
un senso eterno di vita futura.
(Un senso esterno, di vita futura).
Si pensava che almeno da morti
poteva sentirsi concluso
il pensiero di avere un lavoro, o
vedersi viaggiare nel mondo
senza l’obbligo di una patente;
o peggio, qualcuno in arbìtrio
che ci desse il diritto di essere 30
adatti come cittadini
senza averne il diritto lui stesso.
La menzogna è il lavoro che lìbera
(e diventa bugia di sterminio).
E gli stessi che adesso lo dicono:
affiggevano, i padri, nel sangue
la vergogna delle loro insegne.
Se non è vincolato da regole
giuste – e fatte per chi le fatica –
il lavoro diventa un baratto 40
tra chi, povero, accetta da schiavo
e chi vende il regalo dei soldi.
«E il lavoro, se non è piacere
di passare nel mondo con gioia:
ma sopravvivenza quotidiana:
va forse pensato anche più».
La giustizia sociale lo fa,
mi dice mio nonno nel sogno.
Senza questo non c’è libertà.
E l’imbecca il cugino Amedeo 50
e gli suggerisce il dadìrsi:
gli ricorda di quando era giovane
(lui, che partigiano lo è stato:
dietro ai colli di Montegabbione).
E i compagni lontani dicevano
“Cittadini del mondo, correte!”,
ché se i nuovi nati diménticano
i fascisti, truccati, ritornano.
Poi si tolgono il trucco e rimangono
con il voto di quelli che possono 60
perché voi siete morti per questo.
(Poi mio nonno si asciuga una lacrima?)
«È sudore», mi dice, e sorride.
E mi abbraccia di fine-retorica.
«Ma non per la fatica: ora è il caldo
che mi restituisce la vita
anche solo riscritta da te».
Lo saluto. E lui insieme a Amedeo
mi fa un cenno di sì con la mano
e sorride, di nuovo lontano. 70
Le colline che l’hanno cresciuto
ora accolgono i passi, da morto,
che cammina con gli altri tra i suoi.
«Che volevi da me?», mi direbbe,
se davvero sentisse chiamarsi:
se non fosse un lamento del tempo
che riporta al passato: ed ai giorni
in cui tutto sembrava possibile.
Se ora il vento del Ròcolo, il bosco
che trapassa di verde il paese, 80
potesse ridarci le voci
che il futuro s’è preso e ricorda.
«È il presente che conta, ogni volta»:
mi dice Adriano a vent’anni.
Mi somiglia.
Come io somiglio a mia figlia
in un unico fiato di voce.
E l’accento che il vento trafigge
è una croce tracciata così. 89
Giordano Meacci ha pubblicato, tra l’altro, Improvviso il Novecento. Pasolini professore (minimum fax, 1999), Fuori i secondi. Guida ai personaggi minori (Rizzoli, 2002), Il Cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax, 2016), Cittadino Cane (Industria & Letteratura, 2022) e Acchiappafantasmi (minimum fax, 2023). Con Dori Ghezzi e Francesca Serafini ha scritto Lui, io, noi (Einaudi, 2018). Con Maddalena Fingerle e Giorgio Vasta ha scritto I Piaceri (Corrimano, 2023). Con Claudio Caligari e Francesca Serafini ha scritto Non essere cattivo (2015). Con Francesca Serafini ha scritto Fabrizio De André. Principe libero (2018) e Carosello Carosone (2021). Ha curato l’antologia di racconti Guardie e ladri. Dieci avventure del commissario Montalbano di Andrea Camilleri (Sellerio, 2025) insieme con Marta Vesco.