Quando scompare un artista assoluto della musica, quale è stato Ennio Morricone, le parole volano via più che mai. Ricordare la quantità e la qualità della sua attività di compositore è quasi impossibile ed esercizio inutile, data la notorietà delle sue melodie e il successo planetario guadagnato attraverso un lavoro che ha attraversato la seconda metà del secolo scorso arrivando sino a noi.

Ci limitiamo a menzionare il connubio entrato nella storia con la filmografia di Sergio Leone, le sequenze indimenticabili dei western all’italiana, quei primi piani di Clint Eastwood o di Eli Wallach, che senza quelle note inconfondibili tatuate sulla pellicola non sarebbero indissolubilmente impressi nella memoria di ciascuno, consegnando l’autore a quella particolare forma di immortalità che soltanto ai grandi della musica compete.

L’unicità di Morricone non risiede soltanto nell’eccellenza raggiunta nella professione, ma nella sua personalità, meglio dire nella sua persona, rimasta negli anni, anche dopo la grande popolarità arrivata con il tempo (così come i riconoscimenti più prestigiosi, tardivamente giunti) discreta e disponibile, empatica e cordiale nella sua quotidiana riservatezza.

Torna alla mente il concertone del Primo maggio del 2011,  quando decise di regalare all’evento il suo prezioso contributo, un brano inedito dal titolo “Elegia per l’Italia”, composta insieme al poeta e musicista Giovanni Fontana per celebrare i 150 anni dell’Unità. Già di suo la scelta del genere dell’elegia conteneva un’indicazione ben definita, mutuata dall’antica Grecia, che interpretava il componimento elegiaco in chiave patriottica, legato all’esigenza di esprimere il sentimento più intimo nei confronti della propria terra.

Era infatti questo il messaggio che Morricone voleva offrire per l’occasione a un pubblico di sicuro non abituato a certe sonorità, che tra una vampata rock e una riff contemporaneo accolse quei quindici minuti in cui la musica classica si mescolava alla poesia con lo stupore e l’entusiasmo di chi era testimone nell’ascolto di qualcosa di inatteso e diverso, qualcosa di unico.

Un messaggio che intendeva condividere non soltanto con la platea romana di San Giovanni bensì con l’Italia intera, riconoscibile nel desiderio di contrapporsi grazie alla forza della musica a chi all’epoca tentava di appropriarsi di un’altra musica, le note del “Va’ Pensiero” verdiano martoriate in salsa leghista, nel vano tentativo di distinguersi con indebita appropriazione dal Canto degli Italiani, l’inno nazionale di Goffredo Mameli.

Dopo neppure un decennio sembra passato un secolo, data la virata patriottarda imposta dal nuovo leader dell’ormai ex Carroccio, i cui accoliti candidati alla Regione toscana, è notizia di queste ore, pretenderebbe di bandire da qualsiasi rappresentazione canora il testo di “Imagine” di John Lennon, in quanto manifestamente “Marxista e comunista”. Vien soltanto da aggiungere che sarebbe bello immaginare un mondo senza certa gente.

L’augurio è che il Maestro, lucido e cosciente sino all’ultimo respiro, sia riuscito a uscire di scena prima che i suoi sensibilissimi orecchi ascoltassero quest’ultima nefandezza.