Citoyens è la collana delle edizioni Futura/Ediesse promossa dall’Associazione  Crs, il Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato, che ormai da oltre 25 anni accoglie contributi di varie discipline, mettendole in relazione tra loro. L’ultima pubblicazione ha per titolo I poveri possono parlare? Soggetti, problemi, alleanze  (pp.158, euro 13), curata da Lorenzo Coccoli, docente di storia presso l’Università Link Campus di Roma, studioso della storia della povertà in età moderna (notevole tra gli altri un suo lavoro per l’editore Jouvence nel 2017), con particolare riferimento al tema riguardante i beni comuni.

Nella sua corposa introduzione, ricavata dagli spunti e le letture frequentate per organizzare il ciclo seminariale “Povertà” tenuto a Roma nel biennio 2018-2019, Coccoli spiega bene l’intento e la struttura del libro: “Questo volume riunisce i contributi di cinque ricercatrici e ricercatori provenienti ciascuno da una prospettiva disciplinare differente: diritto, sociologia, etnografia, filosofia politica, critica letteraria. La scommessa è che i diversi protocolli d’indagine approntati nei rispettivi campi per confrontarsi con l’oggetto “povertà” possano essere utilmente messi al servizio di un lavoro di concettualizzazione politica, e che le questioni metodologiche poste dai singoli casi di studio possano contribuire alla rubricazione dei principali nodi pratici che un’eventuale azione collettiva dovrebbe proporsi di sciogliere”.

Tra quelle chiamate in causa, suscita particolare curiosità la materia apparentemente distante della critica letteraria, che è anche il primo dei cinque saggi contenuti, firmato da Sara Sermini, dottoranda presso l’Istituto di studi italiani dell’Università della Svizzera italiana di Lugano, i cui interessi di ricerca vertono sui rapporti tra la poesia italiana del Novecento e il pensiero politico contemporaneo. Il suo intervento si concentra sul “dare voce” ai poveri e l’ambiguità di questa espressione, di solito utilizzata per indicare lo stato di minorità di una riconoscibile comunità di persone, dovuta nella maggior parte dei casi, almeno in questo secolo, a una reiterata condizione di immobilità sociale.

Sermini evidenzia la differenza tra dare voce e dare parola, confermata da significative sfumature nella traduzione in altre lingue, e nella sua analisi applicata al mondo della letteratura coinvolge nomi importanti, a partire dal Saggio sulle origini delle lingue di Jean Jacques Rousseau, laddove l’autore scrive che “non furono né la fame né la sete, bensì l’amore, l’odio, la pietà, la collera a strappare le prime voci”. Al filosofo francese seguono i nomi di Italo Calvino, Hannah Arendt e altri ancora, tra cui quelli di Natalia Ginzburg ed Elsa Morante, con la sua rivisitazione del personaggio di Antigone, da cui il titolo dello scritto proposto. Un percorso che consente al lettore un punto di osservazione del tutto originale in tema di povertà, costruito visitando la scena letteraria dal secondo dopoguerra in poi, per tentare di interpretare quella che Amelia Rosselli definiva “la difficile lingua del povero”.

E se nello studio successivo Carolina Amadeo ci introduce alle sue ricerche compiute in merito alle implicazioni giuridiche delle occupazioni urbane come strategia di lotta dei movimenti sociali in Brasile, soffermandosi sul valore oggi del concetto di “occupazione”, Enrico Gargiulo affronta la delicata questione dei poveri di fronte all’anagrafe, vale a dire il metodo istituzionale, troppo spesso trasformato in un controllo poco ortodosso da parte delle stesse istituzioni, per tenere traccia della presenza delle persone per tanti motivi invisibili (quello della visibilità, più o meno voluta, è argomento che attraversa l’intero volume), ragionando su diritti fondamentali, a partire dal riconoscimento di una residenza in un determinato luogo.

Nei due contributi che chiudono il libro, Veronica Pecile racconta la lotta degli urban poor ai tempi della “turistificazione” neoliberale delle città, proponendo come modello emblematico Palermo, da cinque anni sottoposta a una strategia, accelerata dalla sua elezione a Capitale italiana della cultura nel 2018, concentrata nell’organizzazione degli spazi e delle economie urbane esclusivamente in funzione delle esigenze di turisti e investitori.

Vedremo se qualcosa cambierà dopo l’avvento pandemico, e chiaramente qualcosa, anzi molto, è già cambiato: perché i “nuovi poveri”, soggetto di analisi nelle pagine di Maurilio Pirone, viaggiano anche tra piattaforme digitali ed economie informali, contemplando quella categoria working poor che ci avvicina tutti a una soglia di povertà forse un tempo lontana per molti; mentre oggi, se ci guardiamo intorno, e ci guardiamo dentro, potremmo accorgerci non esser più così.