La locazione latina "nomen omen" era, e resterà sempre, particolarmente adeguata alla figura di Letizia Battaglia, scomparsa ieri a Palermo, all'età di 87 anni.

Artista sensibile, empatica "a modo suo", ma estremamente combattiva e determinata, ha sempre perseguito un obiettivo chiaro: ritrarre con la sua macchina fotografica la verità più cruda, angosciante e violenta dei nostri tempi per mostrarla a tutti e contrastare, anche in questo modo, le barbarie della nostra società, ma allo stesso tempo, esaltando il bello e la speranza del cambiamento. Anche per descrivere, in immagini, queste contraddizioni, non abbandonerà mai l'uso del bianco e nero. 
Una donna, sempre in prima linea per la libertà e l'autodeterminazione di tutte le donne e delle bambine, che amava molto ritrarre per conferire loro dignità di persone, e alle quali non mancava di dire instancabilmente: "dovete combattere per qualche cosa", verrebbe da aggiungere "come ho sempre fatto io".

Letizia Battaglia nasce nel 1935 a Palermo e inizia verso i quarant'anni, unica donna della redazione, a lavorare come reporter, per il giornale l'Ora. Si sposa giovanissima, anche come forma di ribellione alla sua condizione di donna del sud di quegli anni, e diventa madre di tre figlie. Sempre con la stessa determinazione decide di separarsi dal marito quando la separazione non era considerata per le donne un'opzione percorribile.

Diventa presto un'artista internazionale, si aggiudica premi importanti e per un periodo decide di vivere tra Milano e Parigi, finendo sempre per ritornare nella sua Palermo, la città dalle mille contraddizioni e con quei forti chiaroscuri, che lei amava così tanto, e per la quale accettò l'incarico di assessore. Di quella esperienza ricorda "ero generosa, bravissima, instancabile. Non facevo politica. Io pulivo Palermo. Aiutavo là dove c’erano i disastri, intervenivo". Ma questo non sarà il suo unico impegno "politico", durante la sua vita fonda riviste con staff solo femminili, inaugura e dirige importanti centri culturali e laboratori che fanno epoca, diventa deputato regionale.

Ma prima di tutto Letizia Battaglia è la fotografa delle tante cause civili che ferma nelle sue pellicole, da Piersanti Mattarella appena colpito a morte da killer mafiosi, davanti alla moglie e alla figlia, al ritratto di Felicia Bartolotta Impastato, seduta sul divano con lo sguardo determinato di una madre che chiede giustizia per l'uccisione del figlio Peppino, ai ritratti dei tanti funerali di mafia. Per questo Letizia Battaglia veniva spesso denominata "la fotografa della mafia" ma a lei questa definizione non piaceva, era la fotografa "contro la mafia", per i diritti civili, ma anche la ritrattista della bellezza e della fierezza, dell'amore e della compassione. 

E la sua storia e la sua umanità sono anche raccontare dalle foto che ha deciso di non fare, quelle delle stragi di Capaci e di Via d'Amelio per esempio, che non ha scattato "Per dolore", "Per dolore ho scelto di non farle. Avevo già troppe fotografie di persone brave ammazzate, poliziotti, giornalisti, anche politici. Pio La Torre per esempio. Proprio non potevo vederli morti, non potevo. Come fotografa sono pentita, sono molto pentita, senza fotografie non sono niente. Però come persona è meglio che non li abbia visti morti, che me li ricordi vivi". E nella bella intervista del 2021 di Liberetà, a firma di Carla Pagani, Letizia Battaglia fa un'affermazione apparentemente semplice ma rivoluzionaria: "Noi donne abbiamo un compito: cercare la felicità". Questa innanzitutto dovrà essere, sempre, la nostra battaglia.