Con la morte di Alberto Asor Rosa si può affermare che, nella storia della critica letteraria italiana, un lungo viaggio nel cuore del Novecento si sia concluso per sempre. Nato a Roma nel settembre del 1933, scompare all’età di 89 anni dopo esser stato un riferimento irrinunciabile non soltanto per decine di migliaia di studenti universitari, che in oltre mezzo secolo di carriera accademica hanno sostenuto alla sua cattedra l’esame di Letteratura italiana presso l’Università “La Sapienza”; ma anche per chi in questi decenni ha guardato al “professore palindromo” con occhio critico, se non polemico, sia per varie battaglie e giochi di potere per certi versi inevitabili all’interno del mondo universitario, sia per non aver condiviso nel corso del tempo alcune delle sue prese di posizione politiche, oltre che culturali.

Nella vastità sterminata dei suoi studi e pubblicazioni proviamo a cogliere qualcosa di noto e meno, a partire da un’introduzione, ormai pressoché introvabile, al numero del 25 marzo 1970 dei "Quaderni di Rassegna sindacale”, un’antologia dal titolo Lo sciopero nella letteratura. In quelle pagine, dopo aver ricordato uno tra i più famosi scioperi della narrativa italiana, quello dei muratori di Vasco Pratolini nel Metello (a Pratolini è dedicato il suo lavoro critico d’esordio nel 1958), Asor Rosa scrive come “la letteratura ha, come è noto, sue proprie leggi alle quali la cosiddetta 'fedeltà verso il reale' deve inchinarsi”.

Furono considerazioni di questo genere, e in quel "reale" la sua difesa in merito alla presenza e conseguente cacciata di Luciano Lama dalla stessa Sapienza, nella mattinata divenuta storica del 17 febbraio 1977, a farlo entrare in conflitto con la spinta movimentista dell’epoca, una nuova generazione che si affacciava sulla scena italiana con vane speranze di prospettive migliori, e alla quale si riavvicinò quando sulla scena arrivarono i movimenti No global.

Da qui prende spunto uno dei saggi più conosciuti di Asor Rosa, Le due società. Ipotesi sulla crisi italiana, che Einaudi diede alle stampe nello stesso anno ’77, da subito interpretato in maniera ambigua da molti lettori sin dal titolo, che lo stesso Asor Rosa si vide costretto a specificare, quando scrisse come fosse sua intenzione rivolgersi all'idea che “non basta governare (meglio) l'esistente, o per meglio dire quello che ha la forza, la struttura, la storia per esistere e perciò può esprimersi, parlare col nostro linguaggio, organizzarsi e contare: la rimozione pura e semplice del 'negativo' porta inevitabilmente a esiti moderati”.

Dopo quanto accaduto dentro e fuori l’ateneo romano, l’intento dell’autore era quello di analizzare l’esigenza crescente dei giovani di allora di confrontarsi in maniera diversa con la politica, in un periodo in cui la parola "crisi" si cominciava a scrivere con la lettera maiuscola, anticipando conflitti sociali e culturali non ancora risolti, che fanno di questo testo un long seller tra i più rilevanti dell’intera saggistica italiana.

Una scrittura, quella di Asor Rosa, che proprio agli albori del nuovo secolo cercherà nuovi stimoli esplorando la letteratura pura (meglio dire il romanzo), scevra di ogni apparato critico, con L’alba del mondo nuovo (2002), libro al quale sono seguiti Storie di animali e altri viventi (2003), e Assunta e Alessandro (2010), sempre per Einaudi. Per il resto, sarebbe impossibile citare nemmeno la metà delle sue opere: per tutte ricordiamo la curatela dei 16 volumi della Letteratura italiana Einaudi (1982-2000).

Per chi volesse provare ad avventurarsi nella moltitudine degli scritti firmati Asor Rosa, possono tornare utili “I Meridiani” Mondadori, che nel 2021 hanno dedicato quasi duemila pagine alla sua saggistica, raccogliendo insieme la critica letteraria e politica, prefazioni e introduzioni, articoli e recensioni, memorialistica e altro ancora. Senza riuscire, come sottolinea il curatore Luca Marcozzi, neanche lontanamente a sfiorare la costituzione di un’opera omnia.

Ammirato quanto discusso, con le sue pagine Alberto Asor Rosa ha scritto una storia dell’Italia culturale e politica unica, difficilmente replicabile.