Adele Bei nasce il 4 maggio 1904 a Cantiano. La sua è una povera famiglia di boscaioli e lei, terza di undici figli, inizia a lavorare a dodici anni come salariata agricola. Nel 1931 si iscrive al Pcd’I e viene impegnata nel lavoro di diffusione di giornali e stampa clandestina e di assistenza alle famiglie dei compagni arrestati. 

Rientrata più volte in Italia dall’esilio (Belgio, Lussemburgo, Francia), nel 1933 viene arrestata a Roma. Durante il processo, ai giudici che per convincerla a denunciare i suoi compagni le ricordano i figli rimasti in Francia, risponderà: “Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia”. 

Le vengono comminati diciotto anni di carcere. Ne sconterà sette nel carcere femminile di Perugia. Nel giugno 1941 è assegnata al confino di polizia a Ventotene dove prende contatti con esponenti di rilievo del Partito comunista e rafforza i legami con quelli conosciuti negli anni dell’esilio. In particolare si crea un’intesa umana e politica con Giuseppe Di Vittorio, favorita dalla comune origine contadina.

Il 25 luglio del 1943, con la caduta del fascismo, riacquista la libertà, riuscendo a sbarcare a Formia, sfuggendo fortunosamente a un nuovo arresto da parte dei tedeschi e dei fascisti. Partigiana, collaborerà attivamente alla Resistenza. 

“Nella Roma occupata dai tedeschi – scrive Nadia Ciani -  Adele Bei è una partigiana combattente. Aggregata al comando militare della terza zona, e cioè la fascia di quartieri da Ponte Milvio a Montesacro, alla fine del conflitto le sarà riconosciuto il grado di capitano e conferita la croce di guerra al valor militare1 (…) Comincia a tessere una tela tra le donne romane, dando vita anche a Roma ai Gruppi di difesa della donna: sono gruppi di operaie, impiegate, studentesse universitarie, che si riuniscono prevalentemente nella casa di Carla Capponi, che Adele aveva preventivamente ispezionato per verificarne l’idoneità a utilizzarla come sede di riunioni clandestine. Ma si incontrano anche nei bar in apparenti incontri di amiche, per organizzare diffusione di materiale antifascista, trasporto di armi attraverso la città, scritte sui muri contro i tedeschi, incontri volanti al mercato con altre donne, raccolte di fondi da distribuire alle famiglie più bisognose”. 

“Lavoravamo soprattutto piena di buona volontà - raccontava lei stessa - perché di esperienza non ce n’era molta. Uscivamo da un ventennio di fascismo e di dittatura e quindi solo noi più anziane avevamo un minimo di esperienza delle lotte del passato, cioè precedenti al ventennio fascista. Ci trovavamo di fronte a una situazione completamente nuova e non solo vi era la necessità di abbattere definitivamente il fascismo ma anche quella di cacciare i tedeschi che occupavano l’Italia”.

Protagonista dell’occupazione delle terre in Lucania e Calabria nel dopoguerra, dirigente della Cgil nazionale, da questa viene designata alla Consulta nel 1945. Madre costituente, nel 1948 è nominata senatrice di diritto per meriti antifascisti. Noi Donne, il giornale dell’Udi in cui Adele milita, le dedica un articolo pieno di orgoglio, intitolato Era una ragazzina di campagna, è diventata il senatore Bei

Deputata alla Camera, segretaria generale delle tabacchine, lascia la Cgil nel 1960 quando il sindacato viene assorbito dalla Federazione nazionale lavoratori dell’alimentazione (al Congresso Adele non entra neppure negli organismi dirigenti). Nel 1963 termina anche il suo percorso parlamentare. Muore a Roma il 15 ottobre 1976. 

“La comune milizia ci aveva offerto moltissime occasioni di incontro – scriveva Umberto Terracini alla figlia poco dopo la sua morte - Fra di esse la maggiore per tempo e luogo fu l'assegnazione al confino dove vivemmo insieme traversie aspre, ma anche soddisfazioni profonde della coscienza e dell'intelletto. Non dimenticherò mai come Adele si prodigò in quegli anni per darci assistenza preziosa nella quotidiana necessità domestica che ci assaliva. Penso che non vi fu a Ventotene compagno che non le abbia dato una camicia da rattoppare o una calza da rammendare. Eppoi con il suo carattere gaio e coraggioso, col suo sorriso sereno li aiutò tutti a resistere nei momenti più tristi”2.



1 “Animata dai più puri sentimenti di giustizia e di libertà – recita la motivazione - fin dall’inizio si distingueva per il suo spirito intrepido e per la capacità organizzativa. Nel suo compito di dirigente delle formazioni femminili fu valido ausilio ai combattenti, fiancheggiandoli efficacemente nella lotta contro l'oppressione e accorrendo personalmente là ove fosse necessaria la sua presenza incitatrice senza badare a rischi e pericoli”.

2 Si viveva in “condizioni tragiche - ricordava lei stessa - mancava il cibo, si faceva proprio la fame e da questo punto di vista si stava peggio che in carcere, dove, bene o male, un piatto di minestra, magari fredda, l’avevo sempre avuta: durante l’anno e mezzo che rimasi a Ventotene dimagrii di oltre dieci chili”.