Amico dei più importanti intellettuali dell’epoca - da Pasolini a Moravia - dei più grandi artisti - da Picasso a De Chirico - editorialista de l’Unità, del Corriere della Sera e di Repubblica, uomo colto dall’indubbio fascino e persino cantante dotato di una discreta voce, Renato Guttuso ha con la sua biografia intersecato gran parte della storia del Partito comunista in Italia.

L'impegno sociale e l'arte

La sua arte sarà sempre caratterizzata da un forte impegno sociale che lo porterà anche all’esperienza politica come senatore del Pci per due Legislature, durante la segreteria di Enrico Berlinguer.

È proprio lui, nel 1953, a disegnare lo storico simbolo del Pci, la Falce e Martello, con sfondo tricolore, che verrà ripreso dal creatore della pop art statunitense, Andy Warhol. Nel 1972 dipinge I funerali di Togliatti, ottenendo nello stesso anno il Premio Lenin per la Pace.

È lo stesso artista a raccontare la genesi dell’opera:

Cominciai col disegnare più volte il profilo di Togliatti. Qua il primo problema. Gli occhiali. Era difficile renderlo a tutti riconoscibile senza gli occhiali…. Circondai il profilo con un collage di fiori ritagliati da alcune riviste di floricultura. Poi cominciai a mettere, attorno a quel punto focale, i ritratti dei suoi compagni, quelli con i quali aveva avuto i più stretti rapporti di lavoro, nell’esilio, in Spagna, in Unione Sovietica. Tenendo conto dei rapporti con Togliatti e non della loro presenza effettiva ai funerali

Nella folla, rigorosamente in bianco e nero, si riconoscono infatti tra gli altri Lenin, Gramsci, Berlinguer - che proprio nel 1972 viene eletto segretario del Pci - Longo, Di Vittorio, Amendola, Pajetta, Ingrao, Natta, Nilde Iotti, papà Cervi, Dolores Ibarruri, Angela Davis, Stalin, Brezhnev e lo stesso artista auto immortalatosi accanto al fotografo Mario Carnicelli.

“Caro compagno Berlinguer - scriveva Guttuso al segretario del Pci il 22 marzo 1975 - quando ho cominciato a dipingere il quadro I funerali di Togliatti, ho subito pensato che proprietario naturale del dipinto fosse il Partito Comunista Italiano. Ti confermo con questa lettera il dono del mio quadro al Partito e sono lieto di farlo durante il nostro XIV Congresso (…) Per l’esposizione del quadro credo che sarebbe opportuno darlo in custodia alla nuova galleria della città di Bologna. Spero che tu e la direzione del partito sarete d’accordo con questo mio proposito che garantisce la visione del dipinto e la sua conservazione in modo adeguato”.

I mostri e il sonno della ragione

La città di Bologna, “capace d’amore, capace di morte”, tornerà drammaticamente e tristemente protagonista della produzione artistica del pittore pochi anni dopo. 

Il 2 agosto 1980 alle 10 e 25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, viene fatto esplodere causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio.

È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra: nell’attentato rimangono uccise 85 persone, oltre 200 i feriti. La più piccola tra le vittime è Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, sulle colline attorno a Firenze; il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione. Una strage spaventosa, per usare le parole de l’Unità del giorno successivo.

Al terribile avvenimento Guttuso dedica un acquerello dal titolo Il sonno della ragione genera mostri, come l’omonima acquaforte di Goya.

Scrive Francesca Gentili:

Guttuso è un abile cronista: con il pennello racconta i grandi eventi del suo tempo, dai fenomeni di massa alle realtà sociali in trasformazione, non limitandosi a una descrizione asettica ma rappresentando i desideri e le speranze di una parte della società, composta dal mondo popolare del lavoro e della cultura progressista. Una scelta realista, la sua, nata fin da giovane e maturata sotto il fascismo, declinata sia nella partecipazione alla vita politica sia nella pittura: «L’arte – afferma l’artista – non si fa per “grazia” di Dio o per rivelazione. Dio non c’entra né la grazia ma solo la quantità di noi stessi come sangue, intelligenza, vita morale, che ci si butta dentro». Già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, Guttuso realizza alcune tele dal forte contenuto sociale, come Occupazione delle terre incolte in Sicilia (1950), la Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1952) o ancora La zolfara (1953). L’artista mostra la vita delle donne e degli uomini, divenendo di fatto il pittore della sua epoca.

La Sicilia di Guttuso - scriverà Emanuele Macaluso - è la Sicilia di Verga e di Pirandello. È la Sicilia di Vittorini, di Lucio Piccolo, di Vitaliano Brancati e di Leonardo Sciascia (…). Una Sicilia che resta ‘intatta’ sino agli anni 40-50. Poi c’è l’offensiva, l’attacco contadino al feudo e a tutto ciò che rappresenta nella società. E Renato è con i contadini che rompono il feudo, attaccano la mafia, occupano le terre, spezzano la vecchia Sicilia. È con i capilega fucilati, è con gli zolfatari in lotta contro condizioni terribili. Ed è con loro in modo forte. A loro dà voce con le sue tele e li mette in comunicazione col mondo, rompendo un antico isolamento”.

Perché, in fondo, l’arte cos’è se non questo?