“Essere di sinistra ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena”, scriveva nel suo ultimo post pubblico il 20 novembre del 2020 Emanuele Macaluso, politico, sindacalista, giornalista, libero pensatore che ha attraversato la storia della sinistra italiana come dirigente nella Cgil e nel Pci, sempre in prima linea contro la mafia.

Em. Ma. morirà esattamente 2 mesi dopo, il 19 gennaio 2021, andandosene nell’anno del centenario del Pci. Un Partito al quale ha dato tanto, come del resto a tutti noi che lo abbiamo salutato poco meno di un anno fa a Corso Italia, sede della Cgil, della sua Cgil.

Nato il primo giorno di primavera del 1924 in una famiglia di modeste condizioni economiche (il padre era operaio delle ferrovie e la madre casalinga), Emanuele studia presso l’Istituto minerario Sebastiano Mottura di Caltanissetta. Nel 1941 aderisce clandestinamente al Partito Comunista d’Italia. Giovanissimo è tra i protagonisti del movimento sindacale siciliano, diventando nel 1944 segretario generale della Camera del lavoro di Caltanissetta. Proprio a Caltanissetta, dal 10 al 12 maggio del 1947, si tiene il primo Congresso della Cgil Sicilia.

È qui che il giovane Emanuele incontra per la prima volta Giuseppe Di Vittorio “che nelle mie scelte - dirà nelle proprie note autobiografiche - ha avuto un ruolo molto importante. Lo conobbi quando venne in Sicilia, nel maggio del ‘47, per il Congresso regionale della Cgil, che si tenne a Caltanissetta, dove ero segretario di una Camera del lavoro che aveva guidato straordinarie lotte di contadini e di minatori”.

Nei giorni del Congresso - ricorda Macaluso - Di Vittorio, “si informò in modo particolareggiato sulla vita della Camera del lavoro di Caltanissetta, e dopo pochi giorni propose la mia elezione a segretario regionale della Cgil, nonostante avessi solo 23 anni. Mi trasferii quindi a Palermo. Conoscevo poco la città e ancora meno i palermitani. Era difficile, in quegli anni, inserirsi in una società rigidamente stratificata e chiusa in ogni ceto. Palermo puoi amarla o odiarla. O, come capita a me, amarla e odiarla. La Camera del lavoro di Palermo era una grande realtà, ben più ampia della sinistra storica. Mi è rimasta impressa l’immagine del segretario del sindacato Albergo e mensa, si chiamava Castiglione (non ricordo più il nome), monarchico, deputato di quel partito all’Assemblea regionale siciliana. Castiglione venne eletto ma rimase sempre al suo posto alla Camera del lavoro, e ogni sera lo si poteva incontrare all’Extrabar, in piazza Politeama, con giacchetta bianca e pantaloni neri mentre serviva i clienti ai tavoli: sempre, sino alla fine del mandato parlamentare. Altri tempi. Conobbi in quegli anni grandi, piccoli e piccolissimi centri della Sicilia. Ogni angolo”.

Sono gli anni della lotta dei contadini per la terra, degli zolfatari per il lavoro, il salario e condizioni di vita decenti, gli anni della lotta contro la mafia. A causa del suo impegno sindacale Macaluso subisce molti processi, uno insieme a Pio La Torre per le occupazioni delle terre a Corleone nei feudi controllati dal mafioso Luciano Liggio.

In qualità di segretario generale della Camera del lavoro di Caltanissetta, Emanuele è sulla piazza di Villalba insieme a Li Causi quando don Carlo Vizzini guida la sparatoria contro il comizio del leader del movimento contadino siciliano al quale i contadini avevano partecipato disubbidendo al diktat del boss. “Fu quello il mio primo bagno nella mafia del feudo, la mafia che aveva le terre in affitto”, ricorderà anni dopo.

Nel maggio del 1948 Emanuele è a Portella della Ginestra per commemorare il primo anniversario della strage. A Portella, nella sua amata Sicilia, ritornerà per l’ultima volta nel maggio del 2019. “Non volevo mancare a quest’ultimo appuntamento della mia vita - dirà - Questa sarà forse la mia ultima presenza qui (…). Volevo tornare qui oggi dove sono cresciuto politicamente. Non potevo mancare a questo appuntamento, volevo tornare qui, questi sono stati i momenti della mia formazione. Per me, che poi ho avuto tanti incarichi, la mia formazione politica, sociale e umana è legata agli anni in cui sono stato nel sindacato in cui ho potuto coltivare un rapporto umano con migliaia di lavoratori, contadini, metallurgici, operai, braccianti e zolfatari. Quando gli operai del Cantiere scioperavano per 40 giorni e gli zolfatari per 60 giorni, pensate che io di notte potessi dormire? No, pensavo a quelle donne, a quegli uomini a quei bambini. Uno sciopero in quegli anni per me diventava un modo diverso di concepire il lavoro e la battaglia sindacale. E questo è stato. Ho diretto l’organizzazione del Pci, sono stato senatore, direttore de l’Unitá, ma la mia nascita come persona è qui”.

Macaluso, affermava il giorno dei funerali l’ex ministro Peppe Provenzano, “ha avuto una gran vita, vittorie e sconfitte, grandi amori e grandissimi dolori. È stato generoso nel raccontarli. Alcuni, li ha solo confidati. Oggi lo piange la famiglia (…) Lo piangono i compagni, gli amici di una vita, quelli che il 21 marzo non sapranno come festeggiare l’arrivo della primavera, tutti coloro che lo considerano un maestro. Per me è stato come un padre. Un padre, in una Patria sempre più povera di padri. Ma non si resta orfani di padri come lui. Noi non siamo orfani. Una storia così, dallo zolfo alle stelle, è una storia che non muore”.

Una storia che è anche la nostra e che onoreremo, giorno per giorno, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta. Perché “Essere di sinistra ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena”. Ne vale la pena.