Pasolini viene percosso e poi travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, sul litorale romano. Una donna trova il suo cadavere alle 6.30 del mattino. Accade tutto nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975. Pino Pelosi, 17 anni, noto alla polizia come ladruncolo e "ragazzo di vita", verrà condannato come unico responsabile del delitto. Ma in tanti, da subito, sosterranno che il ragazzo non fosse solo. In tanti sosterranno che la morte di Pasolini non fosse legata a vicende personali, ma fosse invece un modo per mettere tacere un pensatore scomodo.

“Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali - scriveva su Scritti corsari il poeta - Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo”.

Il 6 agosto del 1968 appare sul settimanale Tempo la rubrica di Pasolini Il caos.

Perché ho accettato di scrivere per “Tempo” la presente rubrica? É una domanda che faccio a me stesso, più che per rispondere preventivamente a coloro, che con simpatia o con antipatia, me la porranno. Ci sono molte ragioni: la prima è il mio bisogno di disobbedire a Budda. Budda insegna il distacco dalle cose (per dirla  all’occidentale) e il disimpegno (per continuare con il grigio linguaggio occidentale): due cose che sono nella mia natura. Ma c’è in me, appunto, un irresistibile bisogno di contraddire a questa mia natura.

“Io so - scriveva nel novembre del 1974 sul Corriere della Seraso chi ha compiuto le stragi, chi ha coperto, chi ha depistato. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto quello che succede, che coordina fatti anche lontani, che mette assieme pezzi disorganizzati e frammentari  di un intero quadro politico, che ristabilisce la logica la dove sembra regnare: l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Un intellettuale scomodo, un uomo scomodo, nella definizione di Oriana Fallaci, che al potere e alla società ben pensante fa paura e che si cerca in tanti modi di far tacere.

Soltanto per i suoi film Pasolini viene denunciato 33 volte. Mamma Roma, La Ricotta, I Racconti di Canterbury, il Decameron, Salò e le 120 giornate di Sodoma vengono accusati di offesa al comune senso del pudore, oltraggio alla religione e vilipendio, censurati e sequestrati. In diverse occasioni lo scrittore riceve attacchi e derisioni dalla destra, ma anche la sinistra, anche il partito, il suo partito, non sempre lo accetta.

Il 26 ottobre del 1949 lo scrittore viene espulso dalla Federazione comunista di Pordenone per indegnità morale e politica (“La federazione del Pci di Pordenone - si legge su l’Unità - ha deliberato in data 26 ottobre l’espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese”.). 

“Ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, ch’io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no”, scriverà in una lettera inviata il 10 febbraio 1950 a Silvana Mauri da Roma. Decide così di lasciare il Friuli e si trasferisce con la madre a Roma (“Fuggii con mia madre e una valigia e un po’ di gioie che risultarono false, / su un treno lento come un merci, / per la pianura friulana coperta da un leggero e duro strato di neve. / Andavamo verso Roma. / Avevamo dunque, abbandonato mio padre / accanto a una stufetta di poveri, / col suo vecchio pastrano militare / e le sue orrende furie di malato di cirrosi e sindromi paranoidee. / Ho vissuto /quella  pagina di romanzo, l’unica della mia vita: / per il resto, che volete, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso”).

Sono gli anni in cui scopre le borgate romane. Pubblica La meglio gioventù, Ragazzi di vita, realizza i suoi primi film da regista e soggettista. Negli anni della contestazione studentesca assume una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Nel 1972 decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua e insieme ad alcuni di loro firma il documentario 12 dicembre, sulla strage di piazza Fontana a Milano.

Nel 1973 comincia la collaborazione al Corriere della Sera. Nel 1975 pubblica Scritti corsari. Il 2 novembre dello stesso anno viene ucciso. Riferirà Ninetto Davoli:

Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Livide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato.

“Dicono che tu fossi capace d’essere allegro - scriverà pochi giorni dopo la sua morte Oriana Fallaci - chiassoso, e che per questo ti piacesse la compagnia della gioventù: giocare a calcio, per esempio, con i ragazzi delle borgate. Ma io non ti ho mai visto così. La malinconia te la portavi addosso come un profumo e la tragedia era l’unica situazione umana che tu capissi veramente (…) Ogni volta io avrei voluto agguantarti per il giubbotto, trattenerti, implorarti, ripeterti ciò che ti avevo detto a New York: 'Ti farai tagliare la gola, Pier Paolo!'. Avrei voluto gridarti che non ne avevi il diritto perché la tua vita non apparteneva a te e basta, alla tua sete di salvezza e basta. Apparteneva a tutti noi. E noi ne avevamo bisogno. Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu”.