A Sant’Anna di Stazzema, la mattina del 12 agosto 1944, si consuma uno dei più atroci crimini commessi ai danni della popolazione civile nel secondo dopoguerra in Italia. La furia omicida dei nazi-fascisti si abbatte, implacabile, su tutto e su tutti, causando la morte di 560 persone tra cui anziani, donne, più di cento bambini. Anna, l’ultima nata nel paese aveva appena 20 giorni. Il bambino di Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, non vedrà mai la luce. Un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola attraverso al terrore.

“Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti - si legge sul sito dedicato al ricordo della strage - Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera”.

“Non avevo ancora compiuto sette anni all’alba di quello splendido sabato estivo - ricorderà anni dopo Enio Mancini (6 anni nel 1944) - niente faceva presagire ai circa quattrocento abitanti di Sant’Anna e agli oltre mille sfollati che si trattasse di un cupo giorno di terrore e di morte, il giorno del massacro di cinquecentosessanta vittime innocenti, delle quali circa centocinquanta erano bambini sotto i quattordici anni (…) Arrivammo alle ‘Case’ dove abitavano i nostri parenti: cadaveri sparsi dappertutto, rovine, fuoco e i pochi sopravvissuti impietriti dal dolore. In una casa, sventrata dal fuoco, su una trave che ancora ardeva - incastrata - una rete di un letto e sopra tre corpi quasi completamente consumati. Al nero dei tessuti carbonizzati faceva contrasto il bianco dello scheletro; uno dei corpi era piccolo, il corpo di un bambino. E poi l’odore acre, intenso, della carne arrostita. Una nonna, per fortuna, riprese noi bambini per riportarci verso Sennari. Avevamo visto molto, troppo per la nostra tenera età. Una esperienza drammatica che segna per sempre un’esistenza, ma comunque meno tragica di altri giovani ragazzi sopravvissuti nell’eccidio che, feriti o incolumi, videro massacrare i propri cari. Poi ci fu il dopo, ma quella è un’altra storia”.

A cinquant'anni dal conferimento al Comune della Medaglia d’oro al valor militare, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato (quinto presidente della Repubblica a visitare i luoghi dell’eccidio dopo Pertini nel 1982, Scalfaro nel 1998, Ciampi nel 2000, Napolitano insieme al presidente tedesco Gauck nel 2013) nel febbraio dello scorso anno a Sant’Anna di Stazzema.

Tra i superstiti incontrati dal presidente anche Enrico Pieri, presidente dell’associazione Martiri, ed Enio Mancini, curatore del Museo della resistenza del paese toscano, nominati a 76 anni dall’eccidio Cavalieri dal capo dello Stato tedesco Steinmeier. Enrico il giorno della strage aveva dieci anni: nascosto nel sottoscala, si ritrovò davanti al massacro della mamma Irma, incinta di quattro mesi, delle due sorelle più piccole Luciana e Alice, del nonno Gabriello e della nonna Doralice, degli zii, del papà Natale, uccisi in meno di cinque minuti a scariche di mitra nella cucina di casa insieme ai vicini. Enio aveva sei anni: con la sua famiglia fu messo contro un muro, insieme a un altro centinaio di persone. Le mitragliette erano già pronte, ma all’ultimo momento un ufficiale nazista ordinò di spostare tutti i prigionieri. Incolonnati, i civili vennero affidati al controllo di un unico nazista, un ragazzo giovanissimo, che, rimasto solo con loro, gli ordinò a gesti di stare zitti e di scappare.

La memoria - affermava Sergio Mattarella - è un dovere, costituisce un patrimonio della comunità, il tempo può attenuare il dolore ma non possiamo consentire che le coscienze si addormentino, la testimonianza fa parte del nostro dovere di solidarietà. Dobbiamo essere vigili: i mutamenti epocali offrono opportunità in ogni campo ma provocano spesso paura, disorientamenti, chiusure e il germe dell'odio non è sconfitto per sempre, il timore del diverso, il rifiuto della differenza, la volontà di sopraffazione sono sentimenti che possono ancora mettere radici e svilupparsi e propagarsi”.

Perché se comprendere è impossibile conoscere è necessario, anche oggi, forse soprattutto oggi.