Nato il 5 maggio 1818 in una famiglia ebrea relativamente agiata della classe media, Marx studia all’Università di Bonn e all’Università Humboldt di Berlino, iniziando a interessarsi alle opinioni filosofiche dei giovani hegeliani. Dopo la laurea contribuisce alla redazione della Gazzetta renana, trasferendosi a Parigi nel 1843. Il suo primo articolo è Osservazioni di un cittadino renano sulle recenti istruzioni per la censura in Prussia. Sempre per la Gazzetta Renana scrive l’articolo Dibattiti sulla legge contro i furti di legna.

Dopo essersi trasferito a Parigi alla fine del 1843 inizia una serie di studi di economia, la cui testimonianza sono i quaderni di appunti, pubblicati postumi nel 1932, noti come Manoscritti economico-filosofici del 1844.

Si consolida in questi anni la collaborazione intellettuale con Engels, con il quale nel 1845 pubblica il volume: La sacra famiglia ovvero Critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci. Nel febbraio 1848 i due danno alle stampe a Londra il Manifesto del Partito Comunista. Il programma, teorico e pratico, viene redatto in sei lingue per esporre al mondo modi di vedere, fini e tendenze di chi è convinto che nella lotta tra oppressori e oppressi bisogna far valere le ragioni di questi ultimi.

Nella prefazione all’edizione tedesca del 1872, Marx e Engels raccontano: “La Lega dei Comunisti, associazione internazionale degli operai (…) dette ai sottoscritti l’incarico di stendere un dettagliato programma teorico e pratico, destinato ad essere reso pubblico. Nacque così il presente Manifesto”.

Nel testo si legge:

La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.
Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dappertutto una completa divisione della società in varie caste, una multiforme gradazione delle posizioni sociali. Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, maestri d’arte, garzoni, servi della gleba, e per di più in quasi ciascuna di queste classi altre speciali gradazioni. La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche.
La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato. (…) Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai. Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme. Non erigono princìpi particolari, sui quali vogliano modellare il movimento proletario. I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d’altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l’interesse del movimento complessivo. (…) I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. (…) Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare. Proletari di tutti i Paesi, unitevi!

Un’esortazione valida anche oggi, soprattutto oggi. “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, diceva Enrico Berlinguer, e magari, questa volta, riusciremo ad imparare questa unica, basilare lezione.

“Lavorate sodo - diceva Giuseppe Di Vittorio nel suo ultimo discorso - e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo. Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire. Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni”.

Buon lavoro compagni, e buon compleanno Karl.