(Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto da Hervé Le Corre, L’Ombra del fuoco, E/O 2020, un noir in cui l’autore francese racconta gli ultimi giorni della Comune di Parigi, quella terribile “settimana di sangue” dal 21 al 28 maggio 1871 in cui la prima esperienza di autogoverno popolare della storia fu stroncata dall’esercito governativo di Versailles, che fucilò almeno 30mila persone. Dal 18 marzo al 28 maggio 1871 la popolazione di Parigi impose la proclamazione della Repubblica, la fine della guerra contro la Prussia e le prime riforme sociali. La Comune adottò a proprio simbolo la bandiera rossa, elesse la propria assemblea, eliminò l'esercito permanente e armò i cittadini, stabilì l'istruzione laica e gratuita e favorì le associazioni dei lavoratori. Al suo 150mo anniversario Collettiva, oltre al testo che segue, dedica anche un’altra storia francese, accaduta ai tempi del Fronte Popolare, nel 1936: la racconta Sophie Dubois-Collet nel libro La storia prende il treno, Add 2021)

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Caroline resta un momento pensosa sotto il sole, un po’ frastornata. Qualche giorno prima è andata a un’assemblea dell’Unione delle donne per la difesa di Parigi. La sala era piena di risate, clamori e proteste. C’erano alcuni uomini sul fondo che ogni tanto ridacchiavano alle speranze arruffate che finalmente venivano espresse, ma erano a disagio, perché la miseria a cui le donne si ribellavano in quella sala gremita non era più soltanto quella imposta dai borghesi, ma anche la dominazione quotidiana di un signore e padrone domestico. Nessuno veniva risparmiato: dal caporeparto al capofamiglia, dalle donne violentate in tutti i modi, picchiate e costrette al rapporto alle ragazze che si vendevano in strada per pochi soldi o venivano rinchiuse in un bordello. “A certi bisognerebbe tagliarglielo, almeno avrebbero un buon motivo per urlare!” ha gridato una giovane brandendo un paio di forbicine. “Hai ragione! Visto come lo usano…” ha approvato un donnone con un berretto da uomo.

Divertita o scossa, Caroline si inebriava di quelle passioni. Nella sala troppo piccola, oppressa da un caldo da serra, sentiva battere il grosso cuore di tutte le speranze e le sembrava che, uscendo in strada, tutte quelle donne finalmente felici avrebbero potuto spazzare via con un colpo di scialle le vecchie tirannie risalenti all’èra delle caverne.

Dalla tribuna una donna si è sgolata per chiedere un po’ di silenzio, perché stava per prendere la parola la cittadina Élisabeth Dmitrieff. Le conversazioni si sono spente mentre sul palco saliva una donna bionda dagli occhi così chiari che alla misera luce dei beccucci a gas sembravano pallidi. Timbro chiaro. Voce ferma. La donna trasmette il saluto fraterno dell’Associazione internazionale dei lavoratori alla Comune di Parigi e alla sua azione rivoluzionaria. Tutta l’Europa guarda a Parigi e al suo popolo. Da Londra, il cittadino Karl Marx segue da vicino la situazione. È la prima volta che Caroline sente quel nome. “Digli che non si preoccupi, noi la seguiamo ancora più da vicino!” grida una donna dietro di lei. Risate tutto intorno. “La seguiamo più da vicino di tutti, ci abbiamo il naso dentro, e l’odore non è sempre buono!”.

L’oratrice aspetta che le risate scemino, placa il vocio con un gesto lento da pianista che si accinge a posare le mani sulla tastiera. Tornato il silenzio, con la fronte lucida sotto i capelli biondi raccolti, ricomincia a parlare e stila un bilancio di ciò che è stato fatto, cioè quasi niente rispetto a quello che c’è ancora da fare. Compito immenso, per realizzare il quale ci vorrà più di una generazione. Parla di emancipazione per tutti i lavoratori e per tutto il genere umano, comprese le donne, che al momento sono solo mogli di guardie nazionali in servizio alle quali è stato dato un lavoro, ma che dovranno diventare cittadine a tutti gli effetti. “Diritto di voto!” grida una voce nella sala. “Uguaglianza!” le fa eco un’altra. “Certo” dice Élisabeth Dmitrieff. Certo. Le donne intorno a lei sulla tribuna sorridono e annuiscono con aria decisa.

La sala approva con un brusio ovattato. Poi la cittadina Dmitrieff annuncia che le donne del popolo di Parigi avranno l’occasione di mostrare non solo agli uomini, ma al mondo intero, che in battaglia valgono quanto i migliori soldati. Ci saranno da tenere le barricate, le vere fortificazioni di Parigi erette dai proletari, nate dalle pavimentazioni di vie e boulevard. L’ora della lotta si avvicina, perché Versailles ha deciso di punire Parigi e il suo popolo per la loro impudenza, ha deciso di invadere la città come fosse un paese straniero da dominare, mitragliare, sciabolare, saccheggiare.

Cresce un brusio costellato di grida e frasi minacciose, poi La Marsigliese comincia a vibrare debolmente in una gola, da principio flebile e tremante, e dal terzo verso in poi viene ripresa da migliaia di petti. Le donne sulla tribuna cantano all’unisono tenendosi a braccetto. Caroline si avvicina e vede meglio sui loro visi una gioia seria, ne vede gli occhi gonfi per la stanchezza o forse per l’inquietudine del dubbio. Da due settimane i versagliesi avanzano, attaccano, manovrano. E la Comune chiacchiera, tergiversa, si dibatte e si batte male. Nicolas le ha raccontato che alcuni battaglioni della guardia nazionale dubitano degli ufficiali, discutono gli ordini, progettano di arrestare generali o marciare sull’Hôtel de Ville. Si parla di un esercito di cinquantamila uomini pronti a dare l’assalto a Parigi, e i comunardi cominciano a contarsi.

Viene distolta dai suoi pensieri da due esplosioni assordanti che risuonano in lontananza più a nord, verso Auteuil o La Muette. Sugli alberi, i passeri continuano a cinguettare. Da qualche parte un merlo invisibile fa vocalizzi. Sembra che il cielo stia cantando. La stanchezza però non si è scordata di lei: le sale su dalle gambe e le si arrampica lungo la schiena. Caroline entra nell’esiguo androne abbagliata e sfinita. L’oscurità si tinge di rosso. Ci mette un po’ a distinguere la scala stretta, dai gradini irregolari, che sale reggendosi a una ringhiera traballante.

La camera è luminosa, dà sulla strada. L’odore della cera non riesce a mascherare gli effluvi di umidità. Le macchie scure sul soffitto grigiastro disegnano un misero planisfero in cui sono abbozzati continenti e isole dai contorni tremuli. In un angolo c’è una cucina di ghisa rimediata da un robivecchi dalle parti di porte de Bagnolet. Caroline si sta ancora chiedendo come abbiano fatto Nicolas e i suoi colleghi di bottega a portarla su per quelle scale micidiali.

Lancia i vestiti su una sedia. Rimasta nuda, si infila una vecchia camicia da uomo con le maniche bucate. Sprofonda nel letto come se ci annegasse. Il materasso, fin troppo soffice, sembra quasi risucchiarla come una palude accogliente e tiepida. Cerca l’odore di Nicolas sul cuscino e tra le lenzuola, e si addormenta di colpo con un gran sospiro contento.