Cinquecento donne protagoniste e oltre ottomila video, prodotti dall’8 marzo a giugno 2020. Sono le persone e le storie da cui nasce “Tutte a casa- Memorie digitali da un mondo sospeso”, documentario partecipato composto da video girati con il proprio cellulare, da donne di estrazione sociale ed età diverse, durante lo tsunami sanitario causato dal Covid-19. Il film andrà in onda l’8 marzo, alle 21.30, su La7d. Una data nella quale gli elementi simbolici si moltiplicano, triplicando il valore di questa prima tv. Il giorno dedicato alla festa internazionale della donna, ma anche un anno esatto dall’inizio di questa avventura cinematografica e umana, che coincide esattamente con il principio del lockdown. Una regia a distanza, l’uso dello smartphone e la trasformazione dei video selfie in video diari sono gli elementi principali di un esperimento cinematografico innovativo.

“Tutte a casa” è un film corale, realizzato dal Collettivo omonimo di lavoratrici dello spettacolo. La regia è di Nina Baratta, Cristina D’Eredità ed Eleonora Marino, a cui si affianca il lavoro di scrittura, produzione e comunicazione di altre tredici professioniste: Federica Alderighi, Giovanna Canè, Maria Raffaella De Donato, Flavia De Strasser, Maria Antonia Fama, Rosa Ferro, Elisabetta Galgani, Elisa Flaminia Inno, Désirée Marianini, Beatrice Miano, Viola Piccininni, Elettra Pizzi, Francesca Zanni. Un collettivo, ma anche una casa di produzione al femminile, nata in uno dei momenti storici più complicati per il settore dell’audiovisivo. Mentre tutto era fermo (e continua ad esserlo), le sedici professioniste di sono conosciute virtualmente sul gruppo facebook Mujeres nel cinema e hanno ideato e prodotto questo film.

“Tutte a casa” si sviluppa a partire da una riflessione su alcune parole chiave: la casa, il corpo, la cura, la crisi, la rinascita, la libertà. La casa, per secoli eletta a spazio ristretto d’azione della donna, con la quarantena è diventato uno spazio multifunzionale, in cui si cercano di conciliare i traguardi di un secolo di emancipazione con la pressione dei vecchi modelli sociali.

Nel film c’è la difficile quotidianità delle commesse del supermercato, la donna che in quarantena è riuscita a scappare da un compagno violento e chi, come S., vive in un seminterrato di 30 metri quadrati e dalla finestra vede pezzo di cielo: “Mai come ora – dice - è chiaro che le scelte non sono uguali per tutti. Non avere un lavoro stabile non è uguale per tutti. Certi possono pure starci senza soldi per mesi, altri semplicemente no”. In parallelo, esiste un mondo di donne che invece lottano con la malattia, dai letti di casa, dalle corsie degli ospedali. Medici, infermiere, badanti. Ma anche operatrici ecologiche, tassiste e ostetriche. E poi ci sono i giochi con i bambini, l’insegnante alle prese con la dad, la figlia che si prende cura della madre, le feste di compleanno via whatsapp, le sarte che cuciono mascherine di stoffa da distribuire gratuitamente, le volontarie che consegnano la spesa agli anziani. 

Su tutte aleggia il dubbio, assillante: “Riusciremo a riprendere in mano la nostra vita?”. Non basta la crisi per fermare il tempo.  La fine del lockdown, però, ha trovato le protagoniste cambiate. Quando avevano paura di perdere tutto, hanno imparato a non dare per scontato niente e, alla fine, ce l’hanno fatta. Libere, tutte.