Sono prevalentemente donne, storiche dell’arte e con una lunga carriera alle spalle nei musei della città. Ma il contratto di collaborazione coordinata e continuativa che hanno firmato le costringe a un eterno limbo, per colpa di un “cavillo”. Questi lavoratori somigliano ai mitologici centauri metà uomini e metà cavalli: non possono, infatti, essere considerati disoccupati neanche quando non lavorano e perciò, pur non percependo alcun reddito, non hanno diritto agli ammortizzatori sociali.

E’ così che centinaia di precari della cultura, fermi da mesi per la chiusura delle attività, sono rimasti esclusi anche dai bonus previsti dal decreto Ristori. “Il governo intervenga subito – chiedono la Cgil e il Nidil Roma centro Ovest Litoranea - riconoscendo agli storici dell'arte un adeguato ristoro".

In Italia, gli operatori dei beni culturali sono spesso confinati in una zona grigia che, come osserva il sindacato in una nota, “stralcia diritti e professionalità, impiegando lavoratori precari inquadrati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa”. La denuncia del Nidil e della Cgil riguarda le istituzioni museali romane, ma c’è da supporre che situazioni analoghe si siano verificate anche in altre città d’arte. Dalla Galleria Borghese alla Nazionale, da Palazzo Barberini a Palazzo Venezia, dalla Galleria Spada alla Corsini, i più importanti siti artistici della capitale sono curati da professionisti estremamente qualificati e contrattualmente bistrattati.

Prima il Dpcm del 3 novembre 2020 ha sospeso le mostre e i servizi di apertura al pubblico dei musei, poi il decreto Ristori bis del 9 novembre ha negato ai lavoratori rimasti a casa la possibilità di ottenere un sostegno economico. “Rileviamo che si tratta di persone – concludono nella nota Nidil e Cgl -abbandonate a se stesse, oltremodo deluse, consapevoli della situazione emergenziale dovuta alla pandemia ma non più disposte a pagare, tra tanti precari, un prezzo così alto”.