Alle elezioni comunali di Palermo nel giugno 1975 lo scrittore Leonardo Sciascia si candida come indipendente nelle liste del Pci; viene eletto con un forte numero di preferenze, ottenendo il secondo posto come numero di preferenze dopo Achille Occhetto, segretario regionale, e davanti a un altro illustre candidato, Renato Guttuso. Si dimette dal partito pochi anni dopo. Eletto deputato nelle fila dei radicali nel 1979, manterrà la carica fino al 1983 occupandosi dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, dopo aver pubblicato l’anno prima L’affaire Moro.

Scriveva Emanuele Macaluso il giorno successivo alla morte dello scrittore: 

Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato presto. Avevo visto Leonardo l’ultima volta, a casa sua, dieci giorni fa e l’ombra cupa della morte lambiva un uomo vivissimo, lucido, con una mente vigorosa e un’aggressività critica intatta. Con me c’era Antonello Trombadori, l’amico più caro degli ultimi anni, e quando ci ha visti ha avuto un momento di intensa commozione, singhiozzando. Alcune settimane addietro ero andato a trovarlo a Milano: avevo notato la stessa commozione, ma c’era, in lui, ancora la speranza di vincere il male, di continuare a combattere anche se veniva sempre meno la fiducia nei medici e nelle medicine. A Palermo, nella sua casa, con tutti i suoi cari e le sue cose, forse avvertiva più acutamente un distacco ormai inevitabile. Stentava ad alzarsi dalla poltrona, faticava nel fare ogni movimento essenziale e ci disse che ormai era stanco e non ce la faceva a continuare. Ma voleva continuare. Continuare a vivere, a comunicare, a parlare, a raccontare. Aveva ancora tante cose da dire. (…) Ho conosciuto Leonardo Sciascia esattamente cinquant’anni fa, a Caltanissetta. Lui frequentava l’Istituto magistrale, dove insegnava Vitaliano Brancati, ed era amico di Gino Cortese, il quale mi aveva introdotto nel giro dei suoi amici letterati. Io, che ero più giovane, studiavo invece all’Istituto tecnico minerario con il fratello di Leonardo, Salvatore. Da quegli anni il mio rapporto con Sciascia è stato continuo e forte: prima nella comune lotta al fascismo e poi nella Sicilia che lui ha raccontato in pagine indimenticabili. Un rapporto, dicevo, forte ma anche conflittuale, segnato da polemiche e da amicizie crescenti.Anche il suo rapporto con il Pci è stato di incontro e scontro, anche duro. Con Berlinguer, la polemica finì in tribunale. Bisogna ricostruire con pazienza e verità l’itinerario di questo rapporto per capire meglio Sciascia e il Pci. Oggi posso solo indicare alcuni momenti di questo itinerario. La lotta antifascista, la speranza del dopoguerra, il movimento contadino e le lotte alla mafia; la polemica con Togliatti dopo l’uscita di Vittorini dal Pci, il suo successivo reimpegno nel Pci nei primi anni Sessanta e poi ancora una distacco espresso con la metafora che ritroviamo nel suo libro Il contesto.Nel ’75 partecipò alla battaglia amministrativa a Palermo e poi ancora un suo distacco aspramente motivato per le “collusioni” del Pci con la Dc di Lima in Sicilia e sul terrorismo, la mafia e l’antimafia. Nel 1979 Sciascia fu eletto nelle liste del Partito radicale in forte polemica col Pci. Recentemente alcune battute dello scrittore siciliano “sulla mafia dell’antimafia” sono state l’occasione per rivolgergli accuse immotivate e infamanti anche da parte di esponenti del Pci. Su questo episodio scrissi, per l’Unità, un articolo critico verso Sciascia, ma rimettendo la polemica nei giusti binari, come si doveva nei confronti di una coscienza libera e limpida, di uno scrittore che con i suoi libri aveva concorso a formare una coscienza nazionale nella lotta alla mafia. Dopo quell’articolo, Leonardo mi telefonò e colsi nelle sue parole un senso di liberazione. Avvertiva come un’intollerabile barbarie quelle accuse ed era felice nel constatare che era ancora possibile litigare, polemizzare aspramente, ma su un terreno che restava comune. (…) Con l’opera di Sciascia tutti hanno dovuto fare i conti, quelli che, come noi, sono stati interlocutori attenti e coloro che si sono sempre distratti, che hanno fatto finta di niente. Perciò oggi più degli altri sentiamo un vuoto, avvertiamo che vengono a mancare una voce forte e una coscienza onesta che per tanti anni hanno stimolato la nostra intelligenza e arricchito il nostro sapere. Oggi avverto che mi viene a mancare una sponda nella vita.  Non esagero se vi dico che mi sento più solo. E con me tanti altri”
(da l’Unità, 21 novembre 1989)