Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo un estratto dal saggio di Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari, Laterza 2020

Gianni Rodari è stato il più grande scrittore di favole e filastrocche del Novecento italiano, ma non solo questo: ha scritto su quotidiani, diretto periodici, è stato attivo collaboratore di associazioni di genitori e insegnanti, ha lavorato in modo originale con le amministrazioni provinciali e comunali, autentico motore di sviluppo democratico del paese fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso.

Lo strumento che ha usato per forzare la superficie della realtà e sondarne le possibilità è stato quello dell’immaginazione, un’immaginazione che si fonda su un impiego rivoluzionario della parola che con tutti i suoi usi è il più grande strumento di liberazione che gli esseri umani abbiano mai inventato. Uno strumento democratico a patto di non tenerlo chiuso soltanto dentro i libri, per un pubblico speciale di lettori, o anche, semplicemente, per un pubblico di lettori: troppo spesso infatti, come ha scritto Mario Lodi, le sue storie sono finite "come canarini in gabbia in alcuni libri".

Insieme ad altri ha immaginato una nuova figura di insegnante all’interno di una scuola rinnovata, ha lavorato alla costruzione di un diverso modello di genitore, più consapevole e vicino ai bambini e alle bambine dell’Italia negli anni della grande e complessa trasformazione; ha guardato alle novità senza gli occhiali del passato, accogliendole, criticandole, ma mai condannandole in quanto tali. Infine, ha voluto fortemente condividere con gli altri le sue scoperte sulla Fantastica, cardine tra la fantasia e la ragione, in un libro tutto d’oro e d’argento, la Grammatica della fantasia. Un gioco, sì, ma – come ha scritto lui stesso – "il gioco, pur restando un gioco, può coinvolgere il mondo".

Rodari ha inventato un nuovo modo di guardare il mondo, ascoltandolo, fino alla fine, con il suo "orecchio acerbo", e così facendo ha portato l’elemento fantastico nel cuore della crescita democratica dell’Italia repubblicana.

Rodari è stato un intellettuale. E se un intellettuale è una persona in grado di dare un senso a quello che sta sotto gli occhi di tutti, rompendo lo specchio della duplicazione, tenendo a mente il passato e il futuro, allora Gianni Rodari è stato un meraviglioso intellettuale.

Rodari diventa scrittore per l’infanzia per caso, violando alcune convenzioni base del suo tempo: prima fra tutte, che la letteratura rivolta ai bambini debba trasmettere modelli grondanti ‘commozione’, ‘sacrificio’ e una contenuta felicità. Non che manchi una morale nelle prime filastrocche, ma il terreno è diverso: non una lezione impartita dall’alto in basso ma la chiara consapevolezza che adulto e bambino hanno "una parte di mondo in comune, perciò possono parlare la stessa lingua e intendersi". Una complicità sul terreno della fantasia. La traduzione poetica di "concetti e principi che la pedagogia contemporanea ha cercato di affermare, ostacolata dalla scuola, dalla famiglia, dalla Chiesa, dai dirigenti delle politiche scolastiche e altri ancora". Senza alcuna pretesa di sistematicità, come ha scritto il suo più attento studioso, Pino Boero.

Insegna, Rodari, il metodo dell’utopia. "Il senso dell’utopia, un giorno, verrà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato, ecc. Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo, e servirsene, per scrutare l’universo fantastico".

Come ha scritto Andrea Zanzotto, Rodari ha avuto il dono di permanere nell’infanzia, senza piagnucolare e senza autoimbrogliarsi; c’era in lui questa disposizione naturale, che è di rarissimi, a restare per davvero "all’altezza" dell’età bambina, e così facendo a vedere il presente come possibilità e non come annuncio di morte. "In Rodari la riduzione del proprio atto poetico quasi esclusivamente alla poesia per bambini e l’opzione che vi è sottintesa costituiscono un fatto di coscienza la cui validità si riflette su tutta la poesia di oggi, un gesto di chiarificazione, una scommessa compiuta secondo una nuova forma di umiltà e di allegria". Del resto è ai bambini e non agli adulti che si rivolge per invitarli a fare le cose difficili: "dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi".

Quello che Rodari ci ha voluto dire ce lo ha detto, senza giri di parole, senza misteri, in tutte le cose che ha scritto, per tutta la vita. Se poi ci sono cose tra le righe, "chi avrà voglia di scavare un po’, le troverà senza sudare, perché a scavare sotto le parole si fa molto meno fatica che scavare gallerie sotto le montagne, o a zappare la terra. Chi non ha voglia di significati nascosti è libero di trascurarli e non perde nulla: secondo me la storia sta tutta quanta nelle parole visibili e nei loro nessi". Un metodo, una postura intellettuale, uno sguardo: domandarsi sempre "chi sono io" come fa Alice alla fine del suo viaggio nel paese delle meraviglie; sforzarsi di vedere il mondo come se lo si vedesse per la prima volta.

Una lezione imparata tanti anni prima dall’amatissimo Viktor Šklovskij, uno straniamento sistematico, praticato fino alla fine, guidato da una sempre nuova curiosità verso il presente e una speranza mai sopita per il futuro. Gianni Rodari, come Bertolt Brecht, si pone per tutta la vita una domanda che è la domanda del secolo: quando arriverà il nuovo? Un nuovo più giusto e felice per tutti. Perché arriverà, dipende soltanto da noi, se non possiamo esserne sicuri almeno non dobbiamo smettere di immaginarlo.

Vanessa Roghi è una storica ed è autrice di documentari per la Rai