La Cgil ha partecipato al progetto Forum sindacale panamazonico che ha elaborato uno studio sulle sfide di una giusta transizione energetica nella regione amazzonica di Brasile, Colombia, Ecuador e Perù e che si è concluso con un documento politico di analisi e proposte, frutto del lavoro tra Tued, Cgil Italia, Cut Brasile, Cut Colombia, Cedocut Ecuador e Catp Perù.

Il Forum è stato creato ad agosto 2024 nella città di Manaus dai sindacati di sei Paesi della regione amazzonica in difesa della democrazia, del lavoro dignitoso e dei diritti umani, e per una cooperazione regionale che unisce tutti e che vada a beneficio della classe lavoratrice, delle comunità tradizionali e dell'ambiente.

Un anno di lavoro

Lo studio sulla transizione energetica frutto del primo anno di lavoro è stato presentato il 12 novembre alla Cop30 e lo sarà il 14 novembre alla Cupula dos Povos, il summit dei popoli. Il progetto è stato sostenuto dal punto di vista organizzato e finanziario da Cgil e Nexus solidarietà internazionale Emilia Romagna.

Un anno di lavoro intenso con un coordinamento a distanza dell'equipe di ricercatori e sostenitori, arrivato alla definizione di un documento di posizionamento politico che rafforza l'azione del sindacato internazionale per una transizione basata sul dialogo con le comunità e i lavoratori.

Le alleanze

Il progetto del Forum ha messo in evidenza anche l’importanza delle alleanze. La lotta per una transizione giusta va portata avanti con tutti i movimenti, le associazioni, le espressioni della società civile, della ricerca, del mondo accademico e le comunità che condividono la nostra visione. Per troppo tempo ha vinto una narrazione che contrapponeva ambiente e lavoro, mettendo lavoratori contro associazioni ambientaliste e altri movimenti, facendo il gioco del capitale e della finanza.

La Cgil è l’unico sindacato di un Paese occidentale a far parte del progetto, per questo ci abbiamo lavorato partendo da due premesse. La prima è la consapevolezza delle responsabilità dell’Italia, Paese del G7, dell’Europa e più in generale dei Paesi ricchi del Nord globale, sull’attuale stato delle cose. Non solo le responsabilità storiche e pro-capite in termini di emissioni ma anche per l’aumento delle disuguaglianze, per il colonialismo, l’appropriazione delle risorse e di terre di altri popoli.

L’altra è la convinzione che sempre ha caratterizzato l’azione della Cgil, cioè che la transizione è giusta solo se inclusiva e realizzata a livello globale. Questo impone un ripensamento culturale non semplice che provi a modificare anche gli stili di vita e i comportamenti individuali.

50 milioni di abitanti

La regione panamazzonica, con circa 50 milioni di abitanti, è strategica per l'equilibrio climatico globale, ma continua a essere caratterizzata da sfruttamento predatorio, disuguaglianze storiche e minacce all'integrità dei suoi territori e delle sue comunità. Preservare l'Amazzonia significa anche valorizzare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e porre il mondo del lavoro al centro delle soluzioni, condizione fondamentale per garantire lo sviluppo sostenibile e la giustizia sociale.

Accelerare la giusta transizione

Lo studio e le interviste hanno confermato la necessità di accelerare una giusta transizione ecologica per contrastare il cambiamento climatico e la devastazione ambientale ma anche come enorme opportunità di cambiamento. Allo stesso tempo sono emerse forti preoccupazioni in relazione agli effetti potenzialmente pericolosi di una transizione non governata dal basso. Le principali sono legate all’equità, al lavoro, all’estrattivismo verde, al colonialismo, alla militarizzazione.

Impatti anche in Italia

Molte delle preoccupazioni emerse le ritroviamo anche in Italia: per gli impatti sociali sui soggetti più vulnerabili, per l’eventuale perdita del posto di lavoro, per la crescita delle disuguaglianze, per un’espansione incontrollata degli impianti rinnovabili che risponda alle logiche di profitto e non alle esigenze collettive.

In Italia non abbiamo il controllo territoriale dei gruppi armati, per imporre i grandi progetti, né le manifestazioni fermate sparando sui civili ma subiamo l’imposizione delle politiche di governo con un progressivo restringimento degli spazi democratici e della partecipazione e con la criminalizzazione del dissenso e del conflitto di chi lotta per i diritti, il lavoro e l'ambiente.

Per quanto riguarda la preoccupazione relativa al colonialismo, emersa nello studio, il governo e le imprese italiane, comprese le grandi partecipate come Eni ed Enel, sono fra gli attori responsabili di un’economia guidata da logiche coloniali e predatorie che sfruttano, per i loro interessi, le ricchezze e le risorse dei Paesi del Sud globale e poi criminalizzano le migrazioni.

Quale transizione?

Quella delineata è quindi una giusta transizione che definisce un nuovo sistema economico e sociale con al centro il benessere degli esseri viventi e della natura, la pace e il disarmo, la piena occupazione, il lavoro dignitoso, la partecipazione democratica, la fine del genocidio in Palestina e il cessate il fuoco in tutte le guerre, la fine di ogni forma di colonialismo, suprematismo, patriarcato, sfruttamento, oppressione, discriminazione ed espropriazione, l’equità di genere, generazionale, razziale e territoriale, il rispetto dei diritti umani, il superamento del divario fra nord e sud globale, il rispetto dei limiti del pianeta, l’energia come diritto e bene comune, la tutela dei beni comuni.

La roadmap Baku-Belém non basta

A livello internazionale, a partire dalla conferenza di questi giorni, servono impegni ambiziosi e vincolanti, passare dalle dichiarazioni di intenti che vengono sempre disattese alle azioni concrete: target e risorse per l’adattamento; obiettivi di riduzione delle emissioni e di uscita definitiva dalle fonti fossili, per rispettare l’obiettivo di 1.5°C; un impianto finanziario che risponda alle reali esigenze dei Paesi più poveri. L’obiettivo della roadmap Baku-Belém non è sufficiente.

Servono almeno 5 mila miliardi di euro all’anno e non prestiti da qui al 2030 e non si dica che è impossibile trovare tutte queste risorse. Ogni anno si spendono 7 mila miliardi di dollari per le armi e 2.700 miliardi di dollari per i sussidi alle fonti fossili.

Unioni, non divisioni

Il vero conflitto non è fra lavoro e ambiente ma fra chi difende il sistema dominante, i profitti e il dominio di pochi e chi difende i diritti collettivi e il bene comune. Come ha detto il nuovo sindaco di New York, “Vogliono che la gente si scontri al proprio interno, per distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina”. Noi non abbiamo intenzione di dividerci e porteremo avanti questo conflitto con la forza della giustizia e della scienza e con la potenza dei numeri.

Sabina Breveglieri, area manager Nexus solidarietà internazionale Emilia Romagna 

Simona Fabiani, responsabile politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione Cgil