Quali impatti avrà sull’economia italiana il cambiamento climatico, quali danni, quali costi comporterà? Quanto pagheremo in termini di ricchezza l’aumento delle temperature? Una risposta arriva dal progetto di ricerca pubblicato dalla Banca d’Italia, che analizza sotto molti aspetti i disastrosi effetti del global warming sul Pil nazionale se le emissioni di CO2 equivalenti continueranno a crescere, ma anche le possibilità ancora in campo di invertire la rotta, passando da rinnovabili e carbon tax.

Un lavoro dettagliato e ben documentato che però tra i diversi scenari possibili elaborati da studiosi e ricercatori, sceglie quello più ottimista. O meglio, parte dal presupposto che l’aumento delle temperature si fermerà nel 2100 a 1,5° C, con una perdita di Pil che oscilla tra il 2,8 e il 9,5 per cento.

Previsioni caute

Peccato che alla vigilia della Cop 27, la conferenza mondiale sul clima in programma a Sharm el-Sheikh dal 6 al 18 novembre, un nuovo rapporto dell’Unfccc, dell’United Nations framework convention on climate change, sugli obiettivi di emissioni mostri che stiamo correndo sulla strada di più 2,5° C (stimato da una forbice compresa tra 2,1 e 2,9° C) di riscaldamento a fine secolo e che l’impegno al contenimento a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali sia una pure illusione.

“Le previsioni degli scienziati dell’Onu sono molto più pessimiste, perché l’aumento di 1,5 gradi è quello che sta già accadendo – spiega Simona Fabiani, responsabile delle politiche per il clima, il territorio e l'ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil -. Anche sull’agricoltura il rapporto di Bankitalia è stato troppo cauto. Gli studiosi del Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici hanno stimato tra 87 e 162 miliardi di danni, e una conferma arriva da quanto è successo quest’estate: 16 miliardi di danni solo per la siccità, secondo Confagricoltura”.

Il peso sull’agricoltura

Ed è proprio l’agricoltura, insieme al turismo, il settore più colpito dalle alte temperature: un’analisi econometrica su mais, grano duro e uva da vino rivela che nella Penisola gli effetti negativi sulla resa di queste colture si manifestano quando il termometro sale oltre i 29° C circa per i cereali e oltre i 32° C per i vitigni. Il comparto è anche esposto a eventi estremi come grandinate, nubifragi, bufere di vento. Secondo i ricercatori dell’istituto italiano, nonostante l’entità dei potenziali danni, da noi le assicurazioni rimangono poco diffuse.

“Qui non condivido l’impostazione – riprende Fabiani -. Spingere gli agricoltori a fare ricorso alle assicurazioni private non mi sembra la soluzione. È vero che mette al riparo gli imprenditori dai danni, ma i danni all’agricoltura restano. Senza contare che se produci meno grano, meno riso, questo ha ricadute sulla sicurezza alimentare, che possono anche essere pesanti, una conseguenza del cambiamento climatico che vale in Italia come nel resto del mondo. Quindi bisognerebbe puntare sugli interventi di mitigazione: nel rapporto è il capitolo più trascurato”.

Calo della neve sulle Alpi

Per quanto riguarda il turismo, per gli studiosi di via Nazionale il comparto risentirà soprattutto della riduzione della neve naturale: un metro in meno durante la stagione equivale e una diminuzione dell’1,3 per cento di passaggi negli impianti, a parità di altre condizioni. E le proiezioni al 2100 riportate parlano di un calo della neve tra il 30 e il 45 per cento. “Consigliano di diversificare l’offerta, puntando anche su un turismo culturale – dice Fabiani -. Ma trascurano quello balneare, che sarà soggetto a danni e perdite quando le temperature superano i 40 gradi”. 

Demografia delle imprese

Il caldo, che da evidenze empiriche ha un impatto negativo anche sulle prestazioni degli studenti più piccoli e in particolare sugli esami di matematica, tanto che i ricercatori consigliano di spostare le date delle prove valutative, porterà conseguenze dirette sulla demografia delle imprese: riduzione della produttività, aumento dei costi, assenze dal lavoro dovute a ondate di calore, oltre ai rischi e ai danni legati alle alluvioni colpiranno le aziende specie al Sud, che patisce maggiormente i cambiamenti climatici, e soprattutto quelle di dimensioni medio-piccole.

“Sono stime preoccupanti, anche perché in prospettiva aumenteranno ancora di più i divari - spiega Simona Fabiani della Cgil -. Tutto questo dovrebbe rappresentare uno stimolo a intervenire, ma sulle politiche di adattamento e di mitigazione siamo molto indietro. Così come sul fronte dell’approvvigionamento energetico”.

Obiettivo rinnovabili

L’Italia ha una dipendenza dalle fonti fossili pari all’83 per cento, il nostro Pniec, Piano integrato per l’energia e il clima, è fermo all’obiettivo della riduzione del 37 per cento delle emissioni, mentre andrebbe completamente rivisto alla luce dell’obiettivo europeo del 55 per cento. Secondo lo studio di Bankitalia l’incremento della quota di fonti rinnovabili è auspicabile, i pannelli fotovoltaici per l’autoconsumo darebbero alle imprese una maggiore resilienza ma le nuove installazioni sono stagnanti dal 2014.

Tra gli ostacoli, quelli di natura burocratica, dati per esempio dalla farraginosità delle autorizzazioni e dalle tempistiche dilatate: una semplificazione delle procedure, orientata a ridurre ulteriormente i tempi, gli oneri e l’incertezza associati alla realizzazione di un impianto di medio-grandi dimensioni, sarebbe la soluzione. “Consentire a famiglie e imprese di autoprodurre energia e di creare comunità energetiche porterebbe benefici sul cambiamento climatico – conclude Fabiani -, sulla riduzione dei costi, sulla povertà energetica, ma soprattutto consentirebbe quella indipendenza che ci svincolerebbe dalle continue fluttuazioni dei prezzi. Perché ieri era il gas russo, domani sarà il Gnl importato dagli Usa, il problema dei costi resta”.

Avanti con la carbon tax

Bankitalia dedica infine un focus all’opportunità di introdurre una carbon tax, un’imposta sulle emissioni di gas serra come quelle già in vigore in molti altri Stati, una leva considerata efficace in termini di costi per ridurle a un ritmo necessario per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici. E per massimizzare la fattibilità politica, tutte le entrate derivanti dovrebbero essere restituite direttamente ai cittadini.