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I fatti ormai li conosciamo: domenica 13 aprile sembra tutto tranquillo alla mostra Art of Play di Roma, nel Prati District, dove famiglie con bambini e semplici appassionati di arte accorrono ogni giorno per entrare nella casa gigante di Hello Kitty, o in una stanza piena di grandi e morbidi orsi rosa. Che però non sono dei pupazzi. Dentro ci sono attrici e attori, o giovani che si pagano gli studi arrotondando in questo modo, abbracciando i visitatori in turni di sette/otto ore, con una di pausa pranzo.
I fatti
Dentro a uno di quegli orsi c’è un’attrice, danzatrice e insegnante di tap dance che, senza alcun tipo di preavviso, si vede sferrare un pugno in piena faccia. L’aggressore dirà poi subito dopo che non sapeva ci fosse una persona dentro – quindi vandalizzare un’opera inanimata avrebbe fatto la differenza? - e cercherà di motivare quale logica abbia spinto lui e la sua fidanzata a fare un video per immortalare l’azione. La lavoratrice ha spiegato più volte la dinamica, confermata dalle telecamere di sorveglianza, e ha denunciato l’uomo. Ed è qui che cominciano le sorprese perché, prima di recarsi al pronto soccorso, i suoi responsabili le suggeriscono di evitare, che tanto il signore si è pentito, che possono “mettersi d’accordo tra loro, perché ha capito che ha sbagliato, si sta dimostrando molto collaborativo”.
Senza contratto e senza assicurazione
D’altronde la donna lavora senza un contratto regolare e al momento dell’accaduto non è assicurata. “Urlavo, piangevo – racconta – ma quando ho capito cosa stava succedendo ho deciso che sarei andata al pronto soccorso e avrei denunciato”. Dopo una prima visita le danno una prognosi di 10 giorni. “Però continuavo ad avere dolori alla testa, senso di nausea e vomito, stavo male, non ero io”. Dopo ulteriori accertamenti la prognosi diventa di sessanta giorni e la risonanza magnetica evidenzia un edema profondo, che le impedirà di tornare a muoversi e a ballare come faceva un tempo per almeno sei mesi/un anno.
Un pugno che si poteva evitare
“Questo cazzotto si poteva evitare” osserva con amarezza, raccontando di essersi sgolata insieme ai colleghi per mesi, chiedendo all’azienda organizzatrice della mostra immersiva di trovare una soluzione efficace per dichiarare la presenza del figurante all’interno dell’orso Teddy che fosse una risorsa in più nella sala, un jingle radiofonico, o semplicemente facendolo dire alla biglietteria. Richiesta ovviamente bypassata. “Dopo mesi di bullismo siamo riusciti a ottenere un cartello appeso al collo con su scritto ‘abbracciami con dolcezza’. Ma nemmeno il cartello è servito”. Il pugno che si è presa E. , però, non è stato il primo, c’erano già stati altri episodi. Dopo la sua aggressione E. dice che basta, così non si può più andare avanti. E con grande coraggio procede anche nei confronti dell’azienda, grazie al supporto della Cgil.
La vertenza grazie a Slc Cgil
“Ci ha chiamato in lacrime e l’abbiamo subito accompagnata presso uno dei nostri uffici vertenza – racconta Mihai Popescu, segretario generale Slc Cgil Roma1 –. L’abbiamo seguita con l’Inca per la pratica Inail, la stiamo seguendo con il supporto dei nostri legali”. Il sindacato sta pian piano portando allo scoperto una serie di pratiche selvagge sistematicamente messe in atto dalla società che produce la mostra. Un’installazione che a una famiglia con bambini può arrivare a costare oltre cento euro, con un biglietto di ingresso tutt’altro che popolare. Eppure si risparmia sulla sicurezza dei lavoratori, avvalendosi di co.co.co e di prestazioni occasionali promesse e mai fatte firmare. O firmate mesi dopo. “Per fortuna ho incontrato la Slc, che mi sta seguendo passo passo”, dice E.
"Dentro a un orso gigante per arrivare a fine mese”
E. sente ancora il dolore di quel pugno, ma a fare male è anche tutta l’amarezza della situazione vissuta. “So che io per prima non mi sono mai preoccupata di chiedere se fossimo assicurati, di pretendere di firmare un contratto – confessa –, ma bisogna capire che spesso non abbiamo altra scelta. Anni e anni di studio e di allenamento per diventare dei professionisti. E poi ti ritrovi a fare i conti con le bollette, con la svolta che non arriva. E decidi che sì, anche stare dentro a un Teddy gigante per sette, otto ore può valere la pena, se ti aiuta a respirare”.
Al talento non corrisponde un salario dignitoso
La Slc Cgil quotidianamente si confronta con situazioni come quelle di E., anche se non tutti, come lei, hanno il coraggio di denunciare, di andare fino in fondo. “Stiamo parlando di artiste e artisti con professionalità altissime – spiega Popescu – che accettano di arrotondare con 500, 600 euro al mese prestando le loro capacità nei negozi, nei centri commerciali, nelle feste aziendali. Questo perché il loro talento non viene mai retribuito con stipendi dignitosi”. Senza tralasciare pratiche burocratiche poco ortodosse operate dalle aziende a spese di questi lavoratori che si ritrovano a loro insaputa classificati nei modi più svariati dal punto di vista contributivo. "Prima di morire mio padre mi disse: Ti sto lasciando un mestiere - racconta E., figlia di un grande ballerino di tap – pensavo che avrei vissuto solo di questo. Purtroppo non è così”.
“Questa è una vicenda che racconta con forza il perché abbiamo scelto come simbolo di questa battaglia referendaria la precarietà – conclude Popescu -, perché dove c’è precarietà non c’è sicurezza”.