Le tante difficoltà della crescita dell’economia, anche se si cominciano a vedere i primi segni di inversione di tendenza. La convinzione che bisognerà affrontare ancora una transizione lunga. Poi gli effetti della globalizzazione, il futuro incerto, il ruolo delle parti sociali. Un processo di innovazione che comunque non si può rifiutare magari con atteggiamenti da tardo luddismo, ma che deve essere governato. E soprattutto la necessità di ripensare il sistema nel suo complesso, a partire dal rilancio degli investimenti. Sono stati questi i temi centrali trattati dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua lezione magistrale tenuta oggi (13 giugno) nel corso della seconda giornata dedicata a Firenze dalla Cgil al lavoro. Il governatore ha voluto premettere alla sua complessa analisi delle trasformazioni in corso, un riferimento diretto alla Cgil, un sindacato – ha detto – che si è sempre fatto carico dei problemi generali (il ricordo anche al passaggio decisivo degli anni Novanta con le scelte di Bruno Trentin).

L’Italia non ha saputo rispondere alla sfida

La prima considerazione che è emersa dalla lezione di Visco è che il nostro modello si è dimostrato incapace di rispondere ai cambiamenti. Il fatto è evidente anche dall’analisi dell’andamento del Pil nei vari paesi, fino a metà anni ’80, si è registrato un andamento omogeneo, poi si è cominciato a divaricare. Negli anni Novanta l’Italia e Germania vanno insieme, fino alla vigilia della crisi finanziaria (si parlava addirittura della Germania come il grande malato d’Europa…). Poi però i percorsi si sono diversificati. La Germania ha saputo reagire alla crisi, l’Italia invece ha perso drammaticamente la partita. Si è registrata quindi una flessione competitiva anche per la crescita di Cina, India, Corea del sud. Visco ha citato i dati sul tessile cinese (quota cresciuta di 25 punti percentuali negli scambi mondiali). In Italia si sono persi nello stesso periodo 36 punti. Fenomeni analoghi anche per quanto riguarda i settori dei macchinari e delle apparecchiature. In un contesto di accresciuta competizione globale.

La rivoluzione delle nuove tecnologie

Ma i grandi cambiamenti sono legati ovviamente anche all’introduzione rapidissima e pervasiva delle nuove tecnologie, soprattutto dall’inizio degli anni 2000. Grandissimi cambiamenti. I numeri di utenti Internet è aumentato almeno di 20 punti. Oggi l’80% delle persone che lavorano usa Internet. Anche se aumentano le differenze anche in questo settore. Poi ci sono i dati sul commercio elettronico, e anche qui le differenze sono grandi e l’Italia rimane ancora indietro. Le tecnologie cambiano radicalmente anche il modo di lavorare. Grazie ad Internet i lavoratori non devono stare negli stessi luoghi. Si interagisce in modo remoto e questo permette lo spacchettamento della produzione. Questo cambia tutto, anche nella determinazione del valore delle merci prodotte oltre che nell’organizzazione del lavoro e nella capacità competitiva delle imprese. Le conseguenze, ha spiegato Visco, sono notevoli, facendo riferimento prima di tutto ai sulla perdita di posti di lavoro negli Usa. Un milione nell’industria manifatturiera. Due milioni persi per la competizione con la Cina. Anche se ora l’occupazione Usa ha ricominciato a crescere e l’impatto. Difficile analizzare anche il rapporto tra l’innovazione e l’andamento dell’economia. Non c’è un’equazione lineare. Keynes negli anni 30 parlava di nuova malattia: la disoccupazione tecnologica. Ma diceva anche che si sarebbe trattato di una fase temporanea di aggiustamento. Trent’anni dopo un suo allievo ha riparlato dell futuro dell’occupazione. Il progresso tecnologico nel lungo periodo genera più posti di lavoro di quante ne distrugge (cambiando però il rapporto tra i diversi settori). I cambiamenti sono imprevedibili.

La polarizzazione del mercato del lavoro

I cambiamenti rapidi sedimentano la forza lavoro: c’è un’elite, ma c’è una grande fetta della forza lavoro con salari in diminuzione. C’è una dispersione più elevata dei salari, mentre si supera la distinzione tra qualificati e non qualificati. Si sta realizzando una rapida polarizzazione nella struttura occupazionale. Aumentano i lavori a bassa qualifica e quelli ad alta qualifica. Diminuiscono molto quelli a media qualifica. I lavori intermedi si sostituiscono più facilmente dai computer. Impiegati e operai nelle catene di montaggio. Uno studio di un economista italiano a Berkleey. Crescono servizi nuovi. Crescono le esigenze da soddisfare, ma la concorrenza è molto alta perché ci sono tutti quelli che escono dai lavori meno qualificati. Si tratta quindi di affrontare una nuova sfida, senza cedere – è il pensiero del governatore di Bankitalia – ad atteggiamenti di conservazione.

La foto di quello che è successo in Italia

Da noi l’effetto della globalizzazione è stato evidente e forte. Tra il 95 e il 2007 sono aumentate le importazioni dalla Cina e da altri paesi con basso costo del lavoro. Questo ha comportato la perdita di 120 mila posti persi per la concorrenza. Ma il sistema delle imprese ha reagito senza innovare: ha contratto i prezzi e e non ha potuto eviatare la riduzione dei margini di profitto che si inseriscono in una situazione di crisi economica. Invece di innovare e scommettere sul cambiamento si è scelta la strada del ricorso alla flessibilità e ai contratti a termine, il contenimento dei salari, ridotto il costo del lavoro, senza trasformare o adeguamenti alla sfida tecnologica. Le imprese hanno puntato tutto sulla riduzione dei costi di produzione. I fenomeni erano già evidenti 20 anni. C’è stata solo la riduzione del costo del lavoro, ma con una incapacità di affrontare le sfide competitive, cosa che invece ha fatto bene la Germania. Per questo si tratta oggi di ripensare il concetto di produttività di tutti i fattori. Da noi bassi investimenti, poca innovazione. Il sistema ha limitato la capacità di innovazione (imprese piccole…). Quota di famiglie proprietarie al comando delle aziende è molto più alta di quella di altri paesi. Poi viviamo il paradosso dell’istruzione. Le imprese spesso non riconoscono la formazione, pagano meno, mentre è ancora bassa la professionalizzazione (basso utilizzo dei computer). Il rischio è che la situazione del mercato del lavoro peggiori ulteriormente.

Come si affronta la sfida?

Il futuro per le prospettive del nostro Paese è incerto. E anche a livello mondiale ci si divide tra pessimisti e chi prevede una ripresa legata proprio all’innovazione. C’è chi parla del problema della domanda bassa. Altri che dicono che il problema è anche l’offerta (non ci sono più prodotti nuovi da mettere sul mercato). Altri dicono che la rivoluzione digitale deve dare ancora effetti rilevanti e positivi. Ci sono tecnologie completamente nuove che procedono a ritmi serrati e grandi processi di automazione e innovazione: basti pensare solo a Internet delle cose, alla claud tecnology, ai processi di automazione, all’introdizione di robot sempre più sofisticati. Nei prossimi due decenni un lavoro su due sarà automatizzato. Il problema quindi è quello della compensazione di quello che si perde. Per questo ci si deve rendere conto che si tratta di affrontare ancora una lunga transizione. E’ impossibile prevedere il futuro. Si può solo valutare sulla base di analisi di quello che oggi abbiamo. Bisogna cambiare la prospettiva

Ricette per la Seconda Epoca delle macchine

Si tratta quindi, per Ignazio Visco nel ruolo del professore di economia, di cercare di agganciare il cambiamento. Si tratta di saper lavorare su più leve, cedere alla tentazione di condurre battaglie di retroguardia. Ci vuole un grande sforzo di immaginazione per affrontare quella che ormai in molti definiscono la seconda epoca delle macchine. Investire in conoscenza, importanza crescente la competenza. Sapere fare, essere ricercatori per tutta la vita. Capire che cosa succede. Devi saper leggere, ma devi capire e contestualizzare. Chi lo farà? Quali saranno i soggetti che accompagneranno il cambiamento? Lla scuola prima di tutto. Poi c’è da affrontare e ripensare il secondo grande tema, quello deii tempi di lavoro. Cambia il rapporto tra tempo che si passa nella formazione e tempo che si passa al lavoro. Non si tratta di fissare per legge il tempo, si tratta anche in questo caso di ripensare il contesto e gli equilibri tra i diversi fattori. Terzo punto è quello relativo alla distribuzione delle risorse, mentre subito dopo viene il ripensamento del welfare e dei suoi equilibri interni. Il messaggio del governatore della Banca d’Italia, dopo tutto questo excursus è semplice e netto: non possiamo essere contro il progresso tecnologico, non è pensabile riproporre forme di nuovo luddismo. Si tratta al contrario di sperimentare nuove attività, valorizzando le eccellenze e favorendo l’innovazione in tutti i settori del lavoro. Ma prima di tutte queste cose è prioritario ripartire dalla tutela della legalità e dalla efficienza della pubblica amministrazione. Nella storia il progresso tecnologico è sempre stato il motore della crescita, bisogna governare il cambiamento. E in tutto questo il ruolo del sindacato è ancora fondamentale. (P.A.)